DIRITTI

Che libertà, senza autodeterminazione?

Pensieri sparsi sull’appello “Che Libertà” promosso dalle femministe (?) di “SeNonOraQuando libere”. Posizioni situate nel capitalismo globale e finanziario e nel rifiuto della famiglia tradizionale come dispositivo normativo.

C’è un appello che ormai da giorni circola sul web e rimbalza nei telegiornali. Nemmeno a farlo apposta o, per dirla meglio, “come nelle migliori tradizioni”, se ne fa carico in prima battuta il quotidiano La Repubblica con un articolo datato 4 Dicembre dal conturbante titolo “Femministe contro la maternità surrogata: non è un diritto”. Parole forti, oserei dire, ma mai forti come quelle contenute nell’appello che viene lanciato nel suddetto appello.

Procediamo per gradi: la storia del gruppo “SeNonOraQuando”, che si fa promotore dell’appello, inizia diversi anni fa. Proviamo a ripercorrerla brevemente.

Corre l’anno 2011 e la guida del Bel Paese è affidata al papi Silvio Berlusconi. Accade che, nei mesi che precedono l’inizio del suddetto anno, l’allora Premier viene coinvolto “suo malgrado” in uno scandalo che lo vede protagonista, assieme ad altri illustri personaggi, di una serie di singolari serate a tema Bunga bunga, ospitate ad Arcore. Immediata e furiosa la reazione dell’opposizione, che con forte indignazione tuona: “condotte intollerabili! Berlusconi si deve dimettere!”. L’accusa di concussione (che copre quella di favoreggiamento della prostituzione) è infatti inammissibile per un Presidente del Consiglio… poco importa se, nel corso del suo inestimabile operato, Silvio si sia distinto per aver promosso ben altre operazioni. Ne voglio citare giusto un paio, perché mi stanno particolarmente a cuore e perché si verificano quasi in contemporanea: la dismissione della scuola e dell’università pubblica (esercizio caro a tutti i governi, ma che Maria Stella Gelmini porta avanti con lodevole dedizione), fortemente contestata da mesi di mobilitazione da parte di un vero e proprio moto ondoso fatto di student* e precar*; nonché la compravendita di voti datata 14 dicembre 2010, con cui Silvio ottiene la fiducia in Parlamento mentre un’intera generazione (la stessa di cui sopra) si riversa nella strade di Roma manifestando con forza la propria opposizione. Ora però l’attenzione politica e mediatica, con Repubblica sempre in prima fila, è tutta rivolta ai festini in salsa escort e cocaina ospitati ad Arcore, sotto lo sguardo attento e vigile del papi. È proprio a questo punto della storia che entrano in gioco le donne di SNOQ, che lanciano un appello alla cittadinanza, specialmente quella femminile, per reagire al “modello degradante ostentato da una delle massime cariche dello Stato, lesivo della dignità delle donne e delle istituzioni”. Il tema è proprio questo: la rappresentazione della donna che emerge da questi fatti di cronaca e che, secondo SNOQ, la disegna come “nudo oggetto di scambi sessuali”. Poco importa se nel mentre, ossia dagli anni Ottanta fino a quel momento, e proseguendo con ostinazione in seguito, i diritti conquistati attraverso le lotte vengono lentamente erosi di fronte allo sguardo immobile di queste donne così combattive!

Il problema individuato non è dunque legato alla graduale dismissione della legge 194 sull’aborto o alla totale mancanza di welfare e di servizi, e nemmeno alla disparità salariale che vede le donne – a parità di livello – guadagnare comunque meno dei colleghi uomini. Il problema non sembra neanche essere rappresentato dalla pressoché totale assenza di servizi a tutela delle donne vittime di violenza, né dall’uso strumentale che si fa dei corpi delle donne per giustificare politiche securitarie e razziste… il mostro da combattere è causato da una “cultura diffusa che propone alle giovani generazioni di raggiungere mete scintillanti e facili guadagni offrendo bellezza e intelligenza al potente di turno, disposto a sua volta a scambiarle con risorse e ruoli pubblici”. E ‘sti cazzi della libertà di scelta, dell’autodeterminazione o delle condizioni di vita delle donne in Italia (fattori che incidono pienamente sul clima culturale contestato), si scende tutte in piazza per difendere la “convivenza sociale e l’immagine in cui dovrebbe rispecchiarsi la coscienza civile, etica e religiosa della nazione”, chiedendo agli uomini “Se non ora, quando?” nel disperato tentativo di provocare una qualche reazione nel variegato universo del maschio italico. I nomi a sostegno di questa campagna sono di certo illustri: attrici, cantanti, intellettuali che rappresentano quella sinistra da salotto che ha davvero a cuore la condizione delle donne in Italia. La domanda dunque sorge spontanea: a cosa ha portato tutto questo zelante impegno “femminista”? Beh, è presto detto: poco tempo addietro Silvio Berlusconi è stato assolto in Cassazione nel famoso “processo Ruby”; le donne in Italia non hanno ottenuto maggiori diritti, almeno da quel che ne so io; e le SNOQ si sono riversate nei vari territori in cui esistono (ma esistono?).

Tutto questo fino ad una decina di giorni fa, quando inizia a circolare il testo che porta appunto il titolo “Appello Che Libertà”. La richiesta delle promotrici, tra cui figurano nuovamente nomi “importanti”, appare chiara e semplice: la maternità surrogata deve essere messa al bando in tutta Europa, così come lo è già in Italia. Si fa dunque appello direttamente alle istituzioni europee affinché questa pratica venga dichiarata illegale all over the World. Queste filantropiche eroine del ventunesimo secolo non possono infatti più tollerare che: “solo perché la tecnica lo rende possibile, e in nome di presunti diritti individuali, le donne tornino a essere oggetti a disposizione: non più del patriarca ma del mercato” perché “nessun essere umano può essere ridotto a mezzo”.

Chiariamo, il tema della surrogacy è complesso ed articolato. Difficilmente riducibile alla dicotomia del “favorevole” o “contrario”, necessiterebbe di approfondimenti teorici capaci di tenere assieme l’etica e la biologia, il diritto e la medicina. Insomma, una questione che non può essere affrontata così, “all’acqua di rose” e intorno alla quale sarebbe importante articolare un dibattito serio. Quello che però non si può tollerare, almeno da parte di chi scrive, è la natura profondamente moralista e tinteggiata di paternalismo che guida da sempre l’operato delle SNOQ. E così, forti dei loro ruoli sociali da “Grande Bellezza”, queste donne tutte d’un pezzo si ergono a difesa dello sfruttamento della figura femminile (tutto corpo e niente cervello), bypassando totalmente un problema non trascurabile e che molti sono soliti chiamare “capitalismo globale” o anche “economia postfordista”. Ebbene sì, nelle ultime decadi i rapporti di forza determinati dal capitalismo selvaggio su scala globale hanno contribuito a rendere i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. C’è il famoso 1% che detiene gran parte della ricchezza ed il restante 99% che prova a dividersi le briciole rimanenti. È a partire da queste premesse che si producono quei meccanismi di mercificazione dei corpi e delle intelligenze su cui è fondato il nostro mondo.

Come se poi, tra l’altro, la pratica dell’utero in affitto fosse il solo ed unico dispositivo di controllo e sfruttamento esistente. Tanto per dirne una a caso, sui corpi di donne e uomini che migrano verso l’Europa nel tentativo di scappare da guerra e morte, si stanno sperimentando le “migliori” politiche: chiusura delle frontiere; obbligo di non prestare soccorso ai migranti dispersi in mare per evitare di favorire l’immigrazione clandestina. Per non parlare dei finanziamenti che l’Unione Europea ha deciso di concedere alla Turchia di Erdogan (un dittatore/assassino), nella speranza di contenere il fenomeno dei flussi. Non si riesce dunque a comprendere fino in fondo per quale motivo ci si indigni così tanto per lo sfruttamento dei corpi delle donne nei casi di surrogacy, mentre si taccia sulle tante condizioni lavorative che vanno a braccetto con lo sfruttamento. La badante che si occupa di un anziano h 24 senza usufruire di alcun tipo di tutela; la baby sitter senza contratto che si prende la responsabilità della gestione materiale ed affettiva di uno o più bambin*; l’operatrice sociale che lavora in un centro d’accoglienza e che puntualmente non viene pagata dalla cooperativa. Per non parlare delle condizioni di semi-schiavitù che caratterizzano il lavoro nei paesi del cosiddetto Terzo Mondo. Contro lo sfruttamento di queste figure e per rivendicarne dignità non circolano appelli firmati da attrici e cantanti, non si organizzano eventi patinati e non si convocano piazze al grido di “Se non ora quando?”.

Viene poi da domandare come sia possibile trattare il tema dei diritti a partire non tanto da una loro affermazione ma da una riduzione su scala nientemeno che globale. Parlare di diritti significa, almeno per chi scrive, rivendicarne immediatamente l’estensione. Qui invece ci troviamo di fronte al singolare caso per cui un gruppo di persone, non si capisce bene il perché né tantomeno con quale autorevolezza, si è messo in testa di decidere per tutt* (scusate, ma qualcun* ve l’ha chiesto?). Sarebbe in questo senso utile fare un esercizio di memoria e ricordare, come insegna bene la Storia, che quando una cosa viene messa al bando perché dichiarata illegale, in un attimo si diffondono modalità alternative di praticarla e che tali modalità, essendo clandestine e non monitorate, mettono a rischio gli stessi soggetti coinvolti e ne favoriscono lo sfruttamento. Al contrario, invece, la possibilità di agire alla luce del sole e di usufruire di servizi adeguati e accessibili a tutt*, rappresenta una condizione indispensabile affinché non si produca quella mercificazione denunciata nell’appello; rendendo inoltre i soggetti interessati liber* di scegliere e di autodeterminarsi (la legge 194 resta, in questo senso, l’esempio più calzante). Eh già, perché se una donna è libera di scegliere e sostenuta nella sua scelta in termini etici e soprattutto materiali, allora le possibilità che diventi vittima si riducono drasticamente! C’è poi da aggiungere che affermare il primato della natura in un mondo in cui l’essere umano è intrinsecamente legato alla tecnologia, risulta insopportabilmente miope! In poche parole: o figli biologici e sacralità della riproduzione, nella cornice della famiglia tradizionale, O NIENTE! E anche qui occorre ricordare che decenni di lotte femministe ci hanno insegnato a rifiutare, mettere in discussione, ribaltare l’istituto della famiglia tradizionale, proprio perché al suo interno vengono riprodotte intollerabili dinamiche di oppressione. A tal proposito sarebbe importante tenere a mente che viviamo nel ventunesimo secolo, e che la famiglia del Mulino Bianco con mamma, papà, figlio e figlia biologici è stata soppiantata da una miriade di nuovi modi di vivere e costruire le relazioni affettive. Esistono le famiglie ricostituite, le famiglie monogenitoriali, quelle omogenitoriali (in attesa di un riconoscimento giuridico), quelle adottive. Esistono le relazioni poliamorose, le convivenze non basate su legami di sangue o su legami coniugali. Esistono coppie (etero e/o omo) che non hanno figli perché non vogliono averne e coppie che invece, per tanti e diversi motivi, non possono averne. Forse sarebbe utile, se non doveroso, interpellare anche queste persone ed ascoltarne il punto di vista, prima di prendere parola per loro.

Insomma, tutta questa solfa per dire che di Misericordia basta e avanza quella del Giubileo, perché di quella elargita dai divani in pelle di qualche salotto in centro non sappiano che farcene!

La Libertà reale, quella con L maiuscola, necessita di ben altri sforzi che sappiano rivendicare la fine delle disuguaglianze e l’estensione dei diritti; o magari un welfare dignitoso e forme di reddito sganciate dalla prestazione lavorativa! Oppure il rifinanziamento dei servizi pubblici e la possibilità di accesso gratuito ed universale agli stessi. Ma anche la fine di questa insopportabile crociata contro la paurosa “teoria del gender”.

Queste sono le premesse in grado di liberare, queste sono le battaglie da portare avanti.

La domanda da porsi, care SNOQ, non è proprio “Se non ora quando?” ma semmai: Che libertà, senza autodeterminazione?

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