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Tecnopolitica parte II: una moltitudine connessa

Dopo aver evidenziato i punti salienti della relazione tra rete e politica dal basso che il gruppo di studio sul 15M spagnolo ha chiamato “Tecnopolitica”, proseguiamo quel ragionamento assieme a uno degli animatori di quella ricerca, Javier Toret Medina[…]. Assieme a lui abbiamo cercato di comprendere la cultura che ha animato l’utilizzo della rete e i mutamenti di paradigma proposti dai movimenti spagnoli rispetto alla relazione tra tecnologie e saperi e al mutamento dello stile e delle forme della militanza. Cominciamo in ordine cronologico, chiedendogli di ricostruire il periodo precedente alla esplosione del movimento alla Puerta del Sol.

Insistete molto sul fatto che il 15M è dovuto anche alla formazione di una “massa critica” in rete, un movimento di lotta ed opinione che ha preparato il 15M vero e proprio. Ci spieghi meglio in cosa consiste tutto ciò?

Il 15M è stato preceduto da campagne legate ad una nuova forma di politicizzazione e di espressione dell’esistenza digitale delle persone. Erano movimenti che difendevano il diritto a condividere materiali su Internet, musica, video. Sono nati per difendersi dall’attacco che il governo socialista aveva portato alla libertà di condividere. Ci si è mobilitati per difendere la cultura libera e la neutralità della rete, coinvolgendo giuristi e utilizzando i social network come Facebook e Twitter, attraverso video virali. È un ambito di attivismo che ha coinvolto molta gente che ha creato una massa critica e che ha avuto la capacità di far comprendere temi che una volta riguardavano solo i nerd anche alle persone comuni. Ciò ha prodotto la capacità di avere una visione critica della rete e l’abilità di lottare per condividere. E anche di condividere le tattiche di lotta contro la crisi in senso ampio. Blogger e operatori del web hanno scritto un manifesto con le rivendicazioni che ha avuto un consenso sociale incredibile che ha raccolto in un giorno 800 mila adesioni su Facebook. È stata una denuncia molto forte che ha costretto il governo a rispondere. In seguito ha fatto la sua comparsa il movimento “No Les Votes”, che non si limitava alla libertà in rete e che allargava lo spettro delle rivendicazioni. Il ragionamento era questo: in Spagna non c’è democrazia perché i partiti non ci rappresentano, dunque non li votiamo. Era un modo per attaccare il bipartitismo e la mancanza di democrazia che era stata palesata dalla mobilitazione ampia contro la legge sulla rete, che era stata approvata nonostante il larghissimo dissenso. Il movimento che è venuto dopo si basava proprio sull’idea di portare in piazza quelli che prima si erano mobilitati solo in rete. Da qui nasce “Democracia Real Ya”: i cui attivisti non erano hacker, erano cittadini che avevano affrontato i temi della crisi e della democrazia bloccata dapprima in rete. Ecco perché parliamo del passaggio dalla rete alla strada, attraverso una struttura molto aperta e includente, poco identitaria, trasversale del punto di vista sociale: uno spazio nuovo di politicizzazione che scende in strada. Ecco perchè le acampadas sono stati un percorso di autonomia sociale.

Come si è rapportata la cultura hacker storica, quella degli anni novanta, con questa nuova soggettività?

La domanda è importante. Perché quella che chiamiamo “moltitudine connessa” è composta da persone che non erano attiviste ma che si sono rapportate con una componente dell’universo hacker. Questo pezzo di quel movimento non ha assunto posizioni anarco-insurrezionaliste, tutte sulla difensiva. Gli hacker hanno evitato le derive cospirazioniste e paranoiche e si sono uniti a pratiche di guerriglia comunicativa in rete. Il gruppo degli Hacktivistas, ad esempio, che viene dai centri sociali e dai cordoni in piazza, non ha assunto posizioni talebane, cercando di agire utilizzando la memetica e immaginando l’intervento nei social network. C’è anche l’esempio di N-1 che è un social newtork di informazione libera che ha avuto un ruolo molto importante in alcuni passaggi del 15M, assieme all’esperienza di N.Net. Le tre esperienze di cui ti parlavo prima sono una minoranza tecnopolitica, ma una minoranza che ha giocato un ruolo molto importante nel divenire tecnopolitico moltitudine del 15M. Queste minoranze hanno incrociato le fasi della gestazione, della nascita e della esplosione di quel movimento. Il militante tecnopolitico sta in mezzo alla gente nella sua immanenza con le sue esperienze e la sua capacità.

In “Tecnopolitica” sottolineate molte volte la necessità della relazione tra le strade e la rete, lo scambio di parole tra le due sfere, quella reale e quella virtuale.

Viviamo in rete umane e reti digitali. Non vogliamo contrapporre Internet alla strada, ma oggi solo la rete può permettere di fare un partito o di scendere in strada. In rete, quando hai una sfera pubblica aperta, puoi attivare un milione di persone come nel caso del 15M. Quando hai una dinamica di costruzione di un evento pubblico, o di un’azione, la Rete permette di amplificare ciò che avviene in strada. Non penso che si tratti solo di manifestare di più, anche perché dopo un po’ la gente si stanca di fare cortei: si tratta invece di costruire un potere costituente. La relazione tra rete e strada serve a sincronizzare corpi e cervelli: paradossalmente la migliore maniera di palesarsi nel mondo fisico è organizzarsi in quello virtuale. L’azione su Internet peraltro, permette di influenzare i media, di scrivere l’agenda politica e culturale. In Spagna, l’attività dei movimenti traina Internet ed evita che venga usato in modo banale, anche grazie all’esistenza di una massa critica di cui parlavamo prima. Il 15M è un clima ma è anche uno stato d’animo, la rete consente di creare stati d’animo potenti. Fare attivismo in rete significa porsi dei problemi e cercare le soluzioni, coscienti del fatto che non parliamo solo tra militanti ma con tutti i cittadini. Il sistema-rete è un “clima sociale”, è una cultura del risolvere i problemi, molto pragmatica, volto alla cooperazione. Qui sta circolando molto “El kit de la lucha en Internet”, un libro di Margarita Padilla che racconta un episodio emblematico, capitato durante il movimento contro la guerra. Si incontrano in due riunioni parallele un gruppo di militanti ed alcuni hacker. I militanti si dicono che bisogna scrivere un documento, individuare la linea politica e infine decidono di metter su una radio. Dopo quattro ore di riunione ritrovano gli hacker, gli comunicano la decisione e questi dicono: “Ma noi stiamo già trasmettendo da tre ore”. Questo significa che se i militanti hanno una cultura orale del ragionare, gli hacker hanno la cultura scritta e del fare.