editoriale

Andiamocela a cercare: il nostro posto è nelle piazze

Una riflessione collettiva su quest’estate di stupri e femminicidi. Oggi h 18.30 a ESC, assemblea Non Una Di Meno

Italia, estate 2017. Forse una di quelle che sarà ricordata per la pesantissima ondata di violenza contro le donne: fisica, verbale, mediatica, politica. Maschile. Fascista. Istituzionale. Dei leader di partito e dei “giornalisti”.

Sono stati due i casi di cronaca che, tra i tanti altri, più hanno segnato quest’estate di barbarie e violenza: il primo messo in atto da un gruppo di quattro ragazzi nordafricani; il secondo, da due carabinieri in servizio. Che differenza c’è tra questi due stupri? Nessuna, in entrambi i casi si tratta di violenza sessuale. Ma la differenza è stata segnata, eccome! Perché uno viene considerato meno grave dell’altro?

Nel caso dello stupro di Rimini l’attenzione è stata immediatamente rivolta al “branco” di nordafricani, tre minorenni e un maggiorenne, per cui è scattata la gogna mediatica ben prima dell’arresto. L’esibizione morbosa dei particolari dello stupro a mezzo stampa è stata una nuova violenza per la donna polacca e la trans peruviana. La loro esposizione mediatica ha definitivamente leso la loro dignità e la loro volontà.

Nel caso dello stupro di Firenze, invece, l’attenzione si è subito concentrata sul “decoro” dell’Arma dei Carabinieri, come se fosse l’Arma la parte lesa di una violenza avvenuta in circostanze davvero preoccupanti. In questo caso le cautele non sono mai state troppe, dalla ministra Pinotti al quotidiano Libero, «il condizionale è d’obbligo» e il garantismo nei confronti dei due carabinieri è massimo: solo pochi giorni fa ne sono state diffuse le generalità, ancora nessuna misura cautelare è stata ordinata, non sono nemmeno stati ancora esaminati, al contrario delle due studentesse interrogate per ore per verificare eventuali contraddizioni nella loro versione dei fatti. La criminalizzazione, stavolta, ha riguardato principalmente le studentesse americane, ree di andare in discoteca senza accompagnatore, di aver bevuto e di aver fumato hashish, insomma di essersela cercata… il suggello al caso lo ha messo prontamente il renziano Nardella, sindaco di Firenze, con dichiarazioni shock: «Firenze non è la città dello sballo».

Molto è stato detto e scritto in questi giorni. Ora però vorremmo porre noi l’attenzione su quanto NON è stato scritto: sono infatti tante le donne che – nell’indifferenza generale, nel disimpegno istituzionale, tra gli sberleffi del machismo mediatico e social – subiscono ogni giorno stupri e violenze. Solo il 7% degli stupri, infatti, viene denunciato.

E allora pensiamo che sia imprescindibile riaffermare, gridandolo, che uno stupro è uno stupro. Senza distinzione di nazionalità, provenienza, censo, per chi lo compie. La violenza sessuale è uno schifo, sempre. Ugualmente grave se a subire violenza sono ragazze in giro da sole, mogli o sex worker.

La divisa non è un’aggravante, dunque, ma è un problema concreto che andrebbe finalmente affrontato. Perché definisce un rapporto di potere arbitrario quanto asimmetrico, come dimostrano i tanti abusi e i casi di morte nelle mani delle forze dell’ordine. Perché non è la prima volta che l’Arma dei Carabinieri è coinvolta in casi di violenza sessuale. Ricordiamo lo stupro avvenuto nella caserma del Quadraro a Roma solo qualche anno fa, o quando i carabinieri della divisione Pastrengo di Milano ordinarono a dei fascisti lo stupro di Franca Rame per punire il suo impegno politico.

In questa forbice nauseabonda, tra la rappresentazione dei corpi vittimizzati a uso della “difesa” neofascista e quella dei corpi sballati e quindi facili, dov’è lo spazio della nostra autodeterminazione?

Mentre la procura di Napoli chiede l’archiviazione per l’induzione al suicidio di Tiziana Cantone, Noemi Durini, una ragazza di soli 16 anni, scomparsa da dieci giorni, viene ritrovata uccisa a pietrate nella campagna salentina. Un film che si ripete, anche in questo caso, seguendo il solito improbabile copione: è stato il “fidanzatino”, sbandato e geloso. Questi, ormai lo sappiamo fin troppo bene, non sono casi isolati né tanto meno privati, ma sono l’espressione più cruenta di una società sempre più gerarchizzata, profondamente fragile e violenta.

Così come facemmo dopo il femminicidio di Sara di Pietrantonio a Roma, torniamo a chiederci: qual è il nostro posto al mondo? I fatti di questi giorni ci restituiscono ancora una volta l’urgenza di una nuova marea femminista capace di riconquistare la parola, di riaffermare la necessità di una rivoluzione sociale, politica e culturale, di riconquistare autonomia e aprire spazi di conflitto contro la violenza come forma di governo delle nostre vite, di lottare contro il razzismo istituzionale di cui rischiamo di essere strumento e vittime.

Non possiamo allora fare a meno di ribadire che il corpo delle donne non è territorio di conquista utile ad imporre retoriche razziste e neofasciste. Il nostro posto è nelle piazze ed è lì che siamo pronte a tornare!