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Zero. Benvenuti nella normalità degli afroitaliani

La serie tv è su Netflix da settimane, ma ancora se ne parla. Quel che piace e quel che delude continua a ripresentarsi in un flusso costante di recensioni e interventi social, che si focalizzano principalmente attorno a una questione: Zero parla davvero alla realtà degli afroitaliani del Paese?

LA GENTRIFICAZIONE DELLE PERIFERIE

Il razzismo non è la questione centrale della narrazione e nemmeno il ritardo nel riconoscimento della cittadinanza per gli italiani di origine straniera. Il tema attorno a cui gira Zero è la gentrificazione delle periferie di Milano, un fenomeno che riguarda i quartieri abitati non solo da famiglie straniere, ma tutta la classe proletaria della città, che si cerca di allontanare per trasformare gli spazi da loro abitati in luna park per turisti e palazzi per benestanti.

Zero sorprende proponendo una trama ambiziosa e creativa che però insegue troppo l’ideale cinematografico americano e i suoi cliché, con il gangster sudamericano in combutta con la mafia meridionale e pistole che sbucano fuori all’improvviso. Le gang sudamericane sono una realtà di Milano, ma la serie dà l’impressione di vedere una storia estranea a quelle che si vivono generalmente in gran parte d’Italia. Zero, infatti, sembra non rivolgersi a tutti gli afroitaliani, ma più specificatamente a quelli di Milano. Forse le vicende raccontate dicono qualcosa a chi a Milano ci vive, ma lascia spaesato il resto degli spettatori davanti allo schermo, perché questi aspetti delle società milanese non sono spiegati ma spettacolarizzati, senza dare il tempo a chi guarda di capirli e digerirli, per colpa di una narrazione affrettata e spezzata.

LA STORIA SPARISCE

Zero ha ricevuto critiche anche a causa di aspettative troppo alte che attendevano l’uscita della serie. Il libro da cui è tratta la storia è rivolto ad adolescenti ed è chiaro che lo sia anche la serie, inserendosi all’interno del filone dei teen-drama.

In questo contesto, diventa più interessante cogliere aspetti e temi tipici del pubblico teen, come la relazione tra Omar e il padre Thierno, che cattura le differenze generazionali all’interno delle famiglie di origini miste, con genitori legati a una certa visione del mondo e della famiglia e i figli con una vita proiettata nel Paese in cui sono nati e cresciuti. Il padre però, senza un processo evolutivo esplicito, passa in un primo momento dall’essere severo ed esigente ad abbracciare amorevolmente il figlio, dimostrando comprensione e appiattendo la complessità della relazione tra i due. Qui arriviamo a un altro problema di Zero: la recitazione a tratti non convince e i dialoghi forzati e poco credibili rendono difficile immergersi nella storia, seguirla per ciò che racconta e dimenticare, come succede di solito, che si sta guardando un film.

IL CORPO NERO IN TV

C’è qualcosa di Zero da elogiare senza se e senza ma? Il personaggio di Sara, ad esempio, è entusiasmante e ben riuscito sia per come è costruito, sia per le ottime capacità recitative dell’attrice. Se da un lato i personaggi femminili neri (sia Sara che Awa, la sorella del protagonista) sono rappresentati in modo stereotipato, in quanto mostrano solo il lato “angry black woman” ovvero la tipica aggressività che si affibbia alle donne nere, dall’altra il personaggio di Sara in particolare incarna alcuni tratti di astuzia e resilienza che queste hanno dovuto scovare dentro di sé per affrontare le varie difficoltà di una società poco aperta al diverso come quella italiana. Sara è forte, autonoma e lucida anche nelle situazioni d’emergenza. È una vera ventata d’aria fresca nella selva dei succubi personaggi femminili del cinema italiano e non solo.

Un altro momento di forte impatto è quello dello scontro tra Omar e il padre di Anna quando quest’ultimo viene rilasciato dai Carabinieri. Omar stava aspettando l’imprenditore all’ingresso della caserma per dirgli quel che pensa davvero di lui. Qui assistiamo a un giovane ragazzo nero che urla in faccia a un uomo bianco e imprenditore davanti alla sede della polizia, una scena con un profondo significato simbolico se si considera da un punto di vista politico. Infatti, spesso i corpi neri che si vedono associati alle forze dell’ordine sono raffigurati in posizione di inferiorità, sottomissione o maltrattamento.  

LA RIVALSA DEI FIGLI ITALIANI DEGLI IMMIGRATI

In un’intervista al New York Times lo scrittore Dikele Distefano, che ha co-scritto anche la serie, ha confidato che avere un cast quasi totalmente nero in Italia è, per lui, una vittoria.  Inoltre anche parte della produzione è costituita da professionisti di origine straniera, tra cui il regista dei primi episodi: Mohamed Houssalmedin. La serie ha l’onere ma allo stesso tempo l’onore di essere prima nel suo genere, dovendo quindi tener conto delle aspettative degli spettatori che si sentiranno più o meno rappresentati da questa pluralità, non è però semplice giudicarla data la sua unicità, non potendola dunque paragonare ad altri prodotti simili. Zero dev’essere considerata più come apri-pista: adesso non si può più dire che non si può fare.

Forse il più grande pregio di Zero è il tentativo ben riuscito di non rimarcare la diversità culturale delle “nuove generazioni” italiane in modo stereotipato e irreale, bensì mostrarle nella loro quotidianità, per offrire finalmente una rappresentazione normalizzata, al di là del colore e delle provenienze.