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Un ulivo intriso di sangue: qual è la situazione ad Afrin oggi

Dopo sette mesi dall’occupazione turca di Afrin la situazione è sempre più preoccupante. Da un lato il conflitto in Siria continua a causare morti e sfollati, dall’altro il controllo della Turchia sulla regione curda si mantiene saldo con un governo che risponde ad Ankara e con l’insediamento di popolazione araba attraverso una operazione di pulizia etnica

Il cantone di Afrin nella Siria nord occidentale una volta era un rifugio per migliaia di persone in fuga dalla guerra civile nel Paese. Era costituito da bellissimi campi di alberi di ulivo disseminati nella regione da Rajo a Jindires e i residenti lavoravano la terra guadagnandosi da vivere con il ricco raccolto. L’anno scorso tutto questo è cambiato, da quando la regione è stata occupata dalla Turchia

 

Operazione Ramoscello d’Ulivo

Sotto il governo dell’Assemblea della Municipalità di Afrin (una parte della Federazione Democratica della Siria del Nord, la DFNS) la regione era relativamente stabile. I membri dell’Assemblea erano funzionari eletti localmente e provenienti da diversi background, come ad esempio l’ufficiale Curdo Aldar Xelil che in precedenza co-presiedeva il Movimento per una Società Democratica (TEVDEM) – una coalizione politica di partiti che governano la Siria del Nord. I bambini studiavano nella loro lingua madre (curdo, arabo, assiro) in una nazione dove i baathisti avevano bandito l’istruzione in curdo. Le Forze di Autodifesa (HXP) lavoravano in congiunzione con l’Unità di Protezione Popolare (YPG) per mantenere l’area al sicuro da minacce concrete come gli attacchi delle Forze di Sicurezza Turche (TSK) e dell’Esercito Siriano Libero (FSA).

Questa situazione si è mantenuta fino all’inizio del 2018, quando la Turchia ha lanciato un’operazione militare su larga scala intitolata “Ramoscello d’Ulivo” con lo scopo di estromettere il TEVDEM da Afrin. Il governo turco vedeva il TEVDEM e il suo principale componente, “il Partito dell’Unione Democratica (PYD), come un’estensione del Partito Curdo dei Lavoratori (PKK), che in Turchia è inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche.

 

Con il pretesto di difendere i suoi confini dal terrorismo, il governo turco ha inviato migliaia di truppe ad Afrin con l’assistenza delle forze alleate a Idlib e nei suoi territori occupati all’interno dell’operazione “Scudo d’Eufrate”.

 

Questo ha obbligato l’Assemblea della Municipalità di Afrin all’esilio e ha mandato via i residenti così come le forze di difesa. Il TSK e le milizie sotto il controllo turco del FSA (TFSA) hanno bombardato la regione e alla fine conquistato la città di Afrin il 18 marzo, annunciando la vittoria.

Durante la campagna di bombardamento condotta dall’aviazione e dall’artiglieria turca, migliaia di persone hanno perso le loro case. Per fuggire dai combattimenti molti civili sono scappati nelle regioni vicine, principalmente Shahba. L’YPG e HXP hanno difeso l’area quanto potevano, ma hanno preso la decisione tattica di ritirarsi per proteggere i civili. I combattenti rimasti stanno resistendo all’occupazione con formazioni come i “Falchi di Afrin”, colpendo obiettivi nelle frange del TFSA.

Sette mesi dopo la fine dell’operazione militare, Afrin resta sotto il controllo turco. Migliaia di ex-residenti sono sfollati e ora vivono fuori dalla regione in campi per rifugiati, come il campo di Shahba. Privati di necessità basilari come l’acqua corrente, ed esclusi dalla rete elettrica, i rifugiati conducono una vita dura. Gli è precluso il ritorno nelle loro case perché i militari che hanno conquistato Afrin hanno distrutto le case stesse durante il processo di invasione o le stanno tutt’ora saccheggiando e occupando. Sotto l’occhio osservatore del governo turco, questi miliziani del TFSA impegnati nell’occupazione di Afrin stanno prendendo effetti personali lasciati dai civili in fuga.

Dopo aver saccheggiato le abitazioni, i miliziani vi si sono stabiliti con le loro famiglie. Aggiungendo l’insulto alla ferita, il governo turco li ha premiati con la cittadinanza turca e ha aiutato nel facilitare un passaggio sicuro dentro Afrin dei combattenti di Jaysh al-Islam e altre forze di opposizione in fuga da posti come Ghouta Est. Centinaia di migliaia di famiglie dalle regioni di Ghouta e Daraa nella Siria sudoccidentale accompagnano questi miliziani. A causa della “politica di re-insediamento” del governo turco, migliaia di rifugiati siriani vengono trasferiti nei territori di Afrin e dello Scudo d’Eufrate.

 

Questa politica di redistribuzione ha avuto un impatto su quello che una volta era il cantone preminentemente curdo di Afrin. Le case curde si stanno riempiendo di famiglie arabe in quello che sembra essere uno tentativo orchestrato dal governo turco per cambiare la demografia della regione.

 

Le scuole che nel piano di studi una volta insegnavano il curdo fra le altre lingue, stanno ora restringendo la possibilità di insegnamento di questa lingua. Gli insegnanti curdi vengono sostituiti da quelli arabi. Nelle scuole di luoghi come al-Caviz, la lingua curda non viene proprio più insegnata.

Ai bambini viene piuttosto proposto un piano di studi arabo-centrico che ricorda il sistema educativo previsto durante il regime baathista. In aggiunta, l’elogio di Assad è stato sostituito con quello di Erdoğan, come è evidente nei video di propaganda turca che arrivano dalle scuole.

 

Pulizia etnica ad Afrin

Nei primi giorni dell’operazione, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha reso chiaro che il governo avrebbe reinsediato i rifugiati arabo-siriani che vivono in Turchia: «La situazione completa è la seguente: il55% di Afrin è arabo, il 35% sono i Curdi che vi sono stati portati e circa il 7% sono Turchi. Noi vogliamo restituire Afrin ai suoi legittimi proprietari. Ospitiamo circa 3.5 milioni di siriani [come rifugiati]. Vogliamo rimandarli indietro nella loro terra in men che non si dica».

La popolazione di Afrin è costituita principalmente da abitanti curdi che hanno abitato la regione per secoli, molto prima dell’esistenza dello Stato turco.

Inoltre, le dichiarazioni del presidente turco sono create appositamente per revisionare la storia e giustificare la politica di stato. Erdoğan non è il primo leader turco che mette in atto questa strategia, specialmente quando il bersaglio di questa politica sono i Curdi.

Quando il revisionismo è utilizzato per giustificare la deportazione di migliaia di persone di un gruppo etnico dalle loro terre madri, c’è già una certa base per definire queste azioni “pulizia etnica”, crimine di guerra.

La storia ci insegna che quando ci sono segnali di pulizia etnica, un genocidio non è così lontano. Ad esempio, durante la guerra in Bosnia, la Repubblica Srpska ha forzosamente deportato migliaia di musulmani bosniaci ed espulso queste persone dalle loro terre. Nei mesi seguenti, l’occupazione delle forze serbe in luoghi come Srebrenica ha avuto una svolta violenta che ha determinato la morte di migliaia di persone.

Oggi viene definita “genocidio”. Afrin non è ancora vicina a questo stato, ma è importante tenere a mente dove può portare una pulizia etnica.

 

Sciovinismo dello Stato turco

Dimostrando disinteresse per la realtà fattiva e per gli abitanti originari della regione, Erdoğan ha speso settimane, per di più in preparazione delle elezioni, mobilitando il paese a favore della costosa operazione. Approfittando del fervore della nazione, Erdoğan ha legittimato la violenza contro gli oppositori riunendo gli ultranazionalisti e aggravando le leggi sulla censura.

Questa dimostrazione di sciovinismo turco attraverso la legittimazione dell’ultranazionalismo è spaventosa. Ancora più spaventoso è ciò che è accaduto a quegli oppositori che dentro il paese sono stati imprigionati. Quelli che hanno osato criticare l’operazione del governo si sono ritrovati in stato d’arresto per “favoreggiamento del terrorismo” oppure picchiati dagli ultranazionalisti.

 

Il nazionalismo turco non si è fermato entro i confini della nazione, ma si è esteso ai fronti di combattimento. I soldati al fronte hanno dimostrato il loro entusiasmo per l’operazione con canzoni nazionaliste e mostrando il saluto dei “Lupi Grigi”.

 

Altri hanno esternato il loro orgoglio nel piacere sadico di filmare le torture sui civili di Afrin e innalzando la bandiera turca sugli edifici conquistati. Alcuni video ritraggono bandiere curde bruciate, segno di un sentimento anti-curdi che Erdoğan dichiara non essere presente.

Quando i soldati del TFSA e del TSK sono entrati nella città di Afrin, la statua curda del fabbro Kawa, che a lungo era stata il cuore della città, è stata abbattuta, dichiarando che la statua ritraeva il leader del PKK Abdullah Ocalan, attualmente imprigionato.

Persino gli edifici antichi non sono stati risparmiati durante l’offensiva: il tempio ittita di Ain Dara è stato danneggiato dall’aviazione turca. Il livello di distruzione perpetrato sui monumenti di quelle che una volta erano le antiche civiltà in Siria durante questa guerra siriana è devastante. Si dice che una volta il senatore statunitense Hiram Johnson abbia dichiarato: «la prima vittima, quando arriva la guerra, è la verità». Si potrebbe aggiungere che la seconda vittima della guerra è la storia.

Occupazione turca

Dopo aver espulso il governo del TEVDEM e l’Assemblea della Municipalità di Afrin, la regione è stata posta sotto una nuova amministrazione. Sapendo di essere sotto il controllo della provincia di Hatay nella Turchia del sudovest, i funzionari nominati dal governo turco stanno governando la regione di comune accordo con la politica statale. Ogni incarico di servizio nel controllo del cantone viene pagato in Lire turche ed è sottoposto al controllo del TSK. Una assemblea “locale” ad interim formata prima dell’invasione sta amministrando la regione congiuntamente al governo turco.

Questo modello di controllo condiviso è stato adottato da altre aree occupate dalla Turchia come i territori incorporati nello “Scudo d’Eufrate” (la sacca di Jarabulus-al-Bab). Questo modello ha delle analogie con il modello adottato dalla Turchia e dalla Francia per la Repubblica di Hatay negli anni ’30 del secolo scorso. Questo, ovviamente, prima che la Repubblica venisse annessa dalla Turchia nel 1939. Non dovrebbe quindi sorprendere se venisse formata una “Repubblica Turca della Siria del Nord”, sulla scia della “Repubblica Turca del Cipro del Nord” e di altre aree occupate dove il controllo turco si è definitivamente consolidato.

 

L’annessione di Afrin da parte della Turchia riflette l’ideologia del neo-ottomanesimo supportata da una grossa fazione dei nazionalisti turchi. La bramosia di ristabilire il potere globale della Turchia è presente in migliaia di cittadini turchi. C’è un desiderio diffuso che la Turchia rivendichi la sua storia e stabilisca il controllo sugli Stati del Medio Oriente che in precedenza erano possedimenti Ottomani.

 

Questo senso di nazionalismo si allarga alle istituzioni religiose, con gli imam turchi (ed Erdoğan) che tentano di persuadere il mondo Islamico che la Turchia è la loro protettrice e sola rappresentante. Le istituzioni militari non sono rimaste immuni da questa ideologia. Lo evidenzia la politica turca in materia di affari esteri delle ultime due decadi in aree come Cipro e Siria.

La costruzioni di basi militari per un’occupazione a lungo termine sotto l’egida della “guerra al terrorismo” e lo stabilirsi di amministrazioni che non riflettono i desideri della popolazione locale suggeriscono che c’è qualcosa di ancora più sinistro in gioco. Quando l’amministrazione sostenuta dalla Turchia prende ordini da Ankara, considerandosi de facto parte della Turchia, quando questa paga i suoi impiegati in Lire turche e quando concede ai miliziani la cittadinanza turca, quello che veramente sta facendo è Imperialismo. Lo sviluppo delle infrastrutture turche ad Afrin non fa che dimostrare ulteriormente questa verità.

 

Silenzio e violenza

La comunità internazionale è stata silente sull’operazione militare e sull’occupazione di Afrin da parte della Turchia. Proclami di “profonda preoccupazione” per la condotta dell’operazione sono stati ripetutamente diffusi, ma materialmente è stato fatto poco. Non si è tenuto nessun Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite d’emergenza, né alcuna nazione ha osteggiato la Turchia. Alla fine, la comunità internazionale è stata complice dell’operazione turca.

Questo non stupisce considerando l’importanza strategica della Turchia come membro della NATO. Così è continuata la lunga tradizione dei governi occidentali nel rimanere silenti sulle ingiustizie commesse dai loro alleati, condannando allo stesso tempo quelle dei loro nemici. In tutto il mondo ci sono state proteste nelle strade per fare ciò che i diversi governi non hanno voluto fare.

 

Ad Afrin la resistenza continua con lo scopo di scalzare l’esercito occupante dalla posizione di controllo della regione.

 

Gli attacchi proseguono con l’obiettivo di colpire i complici delle forze di occupazione, arrivando fino ai funzionari che assistono la Turchia. Mine esplosive lasciate dopo i combattimenti continuano a uccidere truppe del TSK e del TFSA. Lo YPG ha giurato di riprendersi Afrin dalla Turchia, nonostante questa occupazione sia molto lontana dal vedere la sua fine. Con l’offensiva di Idlib nell’orizzonte del regime di Damasco, le forze turche sono state distribuite nelle zone di occupazione, da Idlib ad al-Bab.

La relazione fra chi ha in mano il destino della Siria (Russia, Turchia e Iran) continua a fluttuare a causa dei giochi della Turchia sul da farsi con Idlib. L’occupazione dei territori siriani è stata costosa per la Turchia e la prospettiva di una offensiva contro Idlib non fa che esacerbare la situazione. Erdogan vuole continuare a essere percepito esternamente come un “leader forte” con crescente potenza militare, ma allo stesso tempo dare una stretta al dissenso interno che va aumentando. Questa situazione precaria non durerà per sempre.

La guerra in Siria è attualmente al settimo anno. Centinaia di migliaia di persone sono morte e i rifugiati sono più di due milioni. Il mondo continua a guardare il susseguirsi delle crisi umanitarie, incontrastate e senza alcun segno di poter terminare.

 

I dittatori continuano a controllare la nazione con timide reazioni della comunità internazionale. Il sangue dei siriani continua a essere versato.
Nonostante morte, distruzione e devastazione siano imperanti nel paese, ci sono segni di sviluppo e progresso. Nella Siria nordorientale alcune persone stanno costruendo comunità e scegliendo di vivere.

Ci potrebbe essere la minaccia dell’invasione della Turchia dal nord e dell’invasione del regime dal sud, ma questo non fiacca gli animi di queste persone. I bambini giocano con gioia nelle strade di Kobane (una città che era stata devastata da Daesh), a Manbij le famiglie arabe e quelle curde convivono le une con le altre. Questi sono lampi di luce nell’oscurità. Queste luci sono tutto ciò di cui si ha bisogno per instillare la speranza nel futuro.

 

Articolo pubblicato su The Region.org

Traduzione a cura di DINAMOpress