ITALIA

Ultras Juve S.P.A.

Quello che emerge dall’inchiesta giudiziaria della Procura di Torino che ha coinvolto i capi della curva sud della Juventus, al di là dei risvolti penali della vicenda, sono gli affari, le relazioni e le commistioni tra i gruppi e la società; dinamiche analoghe a quelle che ritroviamo nelle curve delle altre grandi squadre metropolitane, le stesse in cui spesso si mischiano neofascismo, malavita e coperture politiche.

«Puoi andare a dirglielo (inteso alla società e al presidente Andrea Agnelli) che noi ci ricordiamo tutto di quando lui, D’Angelo e Marotta hanno incontrato la famiglia Dominello a Napoli e che quindi per questo saremo noi a chiamare Report così vi rompiamo il culo». È da un dettaglio contenuto in un dialogo intercettato dalla procura di Torino, tra alcuni capi ultras della curva sud della Juventus e Alberto Pairetto, “head of stadium revenue” della società bianconera (responsabile dei rapporti con la tifoseria) che si intuiscono tante cose. E questo va ben al di là di ciò che raccontano le cento dodici pagine dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dalla procura di Torino che lunedì scorso ha portato in cella, tra carcere e domiciliari, dodici uomini. Ma vediamo perché. Partendo dalle biografie. Quella della famiglia Dominello, per esempio. Rocco Dominello nel 2017 è stato condannato a sette anni di carcere in primo grado nell’inchiesta giudiziaria “Alto Piemonte”, la quale ha svelato gli interessi al Nord delle famiglie calabresi legate all’ndrangheta. Insieme a suo padre Saverio, il quale è stato condannato invece a dodici anni. A Torino, per diversi anni, i Dominello sono stati i padroni del bagarinaggio e, soprattutto, hanno rappresentato l’anello di congiunzione tra i gruppi ultras bianconeri, con i loro affari, i biglietti da vendere e il merchandising da smerciare, e la dirigenza della Juventus, appunto. Dunque, quel dettaglio intercettato dai giudici torinesi serve oggi a ricordare che le cose sono sempre più complicate dei fatti così come vengono cotti e mangiati nella cronaca quotidiana. Perché, così dicevano ad Alberto Pairetto alcuni degli uomini arrestati nell’operazione Last Banner: «ricordati che quelli che sono in carcere non vedono l’ora di confermare quello che noi diremo». E l’uomo, fratello dell’attuale arbitro di serie A, Luca, ma soprattutto figlio di Pierluigi, storico arbitro internazionale, condannato due volte e poi prescritto per i rapporti vantati con gli allora dirigenti della Juventus, Moggi e Giraudo (per aver violato il principio di terzietà che dovrebbe presiedere alla scelta di un direttore di gara) così rispondeva: «di non preoccuparsi e che avrebbe riportato tali parole alla dirigenza della Juventus, ma che in ogni caso non avevano nulla da nascondere». Si diceva, le biografie sono importanti per capire i mille rivoli di cui si compone questa storia di malaffare, al di là delle cronache. Quelle degli ultras arrestati lunedì scorso lo sono. Così come le attività dei diversi gruppi organizzati della curva sud sono anche fondamentali per comprendere il contesto in cui ci innesta l’operazione giudiziaria dello scorso lunedì.

Il gruppo più importante al comando della curva bianconera è quello dei “Drughi”, simbolo è l’Alex del film Arancia Meccanica, con i suoi Drughi, appunto. «Il gruppo svolge una serie di attività lucrative mediante la vendita di materiale vario con il loro logo che è registrato ufficialmente, tramite il sito internet “drughi-store”, oppure attraverso le bancarelle allestite all’esterno dello stadio in occasione delle partite casalinghe della Juventus», scrive la giudice per le indagini preliminari (Gip) del Tribunale di Torino Rosanna Croce motivando gli arresti. Ma non ci sono soltanto gli affari. Ecco gli incroci con il neofascismo: nella sede dei Drughi, che si trova a Moncalieri, in provincia di Torino, la polizia ha sequestrato bandiere con simboli nazisti e fascisti, oltre a calendari, quadri e bassorilievi rappresentanti Benito Mussolini. Ma per nessuno degli arrestati è scattata l’apologia del ventennio, reato previsto dal nostro ordinamento. Anche se il procuratore di Torino Paolo Borgna ha riferito nella conferenza stampa successiva agli arresti «quella dei Drughi era una organizzazione di tipo militare al comando di Dino Mocciola». Non soltanto. Dopo il gruppo capeggiato da Mocciola che è il più numeroso, con 700 aderenti, ci sono i “Tradizione” che ne hanno 400, di iscritti, ed hanno il loro quartiere generale a Grugliasco, in provincia di Torino, presso il bar “black&white gestito dal leader del gruppo – arrestato anche lui lunedì scorso – Umberto Toia, il quale è anche amministratore della ditta individuale “tradizione lifestyle s.r.l”, che si occupa della vendita del materiale del gruppo. Sono un gruppo a conduzione famigliare, “un clan”, i Tradizione, dato che lo stesso Toia è affiancato nella leadership del gruppo dai fratelli Massimo e Claudio. Anche qui affari ed estetica neofascista vanno di pari passo.

C’è poi il gruppo dei Viking, 300 aderenti che occupano una porzione del primo anello della curva sud  dell’allianz stadium. Il loro leader è Loris Grancini, che si trova già in carcere da un po’ di tempo, accusato di concorso in tentato omicidio ed estorsione ai danni della società “easy event” di Milano, adibita alla vendita di biglietti per eventi sportivi. Milanese, giocatore professionista di poker, Grancini ha buone entrature con le cosche calabresi e siciliane. E, tuttavia, Loris Grancini non è mai stato condannato per fatti di mafia, anche se il suo nome è comparso diverse volte nelle inchieste sulle infiltrazioni delle cosche calabresi nella curva della Juventus. Andrea Agnelli, intercettato al telefono con un suo collaboratore, si lamentava così, qualche anno fa, di Grancini: «Il problema è che questo ha ucciso gente». Anche nella biografia di Grancini gli affari si legano alla curva, saldandosi con gli ambienti malavitosi del Sud Italia, ma anche con quelli del neofascismo milanese. E ancora: la lettura della sentenza di primo grado del processo “Alto Piemonte” che qualche anno fa aveva svelato «l’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore della rivendita dei titoli di accesso alle partite, parallelo al canale ufficiale, gestita dai gruppi della tifoseria organizzata», permette oggi di poter chiarire le vicende degli ultimi arresti senza per forza dover parlare di vittime (la società) né di carnefici (gli ultras). In tutti i casi, le dichiarazioni rilasciate a suo tempo agli inquirenti da Alessandro D’angelo, security manager della Juventus, chiariscono bene i ruoli dei diversi attori: «pur rendendomi conto dell’irregolarità amministrativa di quel che facevamo, ma ritenendo di agire per garantire l’ordine, rappresentai a Dominello (n.d.r. Rocco Domjnello condannato nella già citata sentenza per 416 bis c.p) la proposta di venire incontro ai gruppi», ha raccontato D’Angelo, il quale era in stretti rapporti con Raffaello Bucci, l’uomo che era scelto dalla società nel 2015, come Vice Supporter Liaison Officer, l’uomo che cura i rapporti tra società, tifosi e forze dell’ordine, vice di Alberto Pairetto, dalle cui rivelazioni ai magistrati si è scatenata l’ondata di arresti di lunedì scorso. Un anno dopo, il 7 luglio 2016, Raffaello Bucci che per anni aveva gestito per conto dei Drughi i soldi legati al bagarinaggio “si butta” dal cavalcavia della bretella autostradale di Fossano, all’ingresso della Torino-Savona. Il 6 luglio era stato ascoltato dai magistrati che indagavano sui rapporti tra Juve, ultrà e ‘ndrangheta. Si è detto che avesse paura, Bucci, e non avrebbe retto alle pressioni. Ma proprio il 6 luglio aveva rivelato, lui, ultras, informatore dei servizi e della Digos, che «l’uomo che manteneva l’ordine pubblico all’interno dello stadio era il figlio del boss Saverio Dominello, Rocco» e che «questa informazione lui l’aveva avuta dal responsabile della sicurezza della Juventus, Alessandro d’Angelo, insieme ad altre cose riguardanti l’entrata in curva della destra eversiva e delle famiglie di n’drangheta». Ed è proprio di queste ore la notizia che la procura di Cuneo ha deciso di riaprire il fascicolo di quella strana morte, dell’ex’ultras, informatore dei servizi di sicurezza, e affarista, al soldo degli Ultras Juve S.p.a.