MONDO

Tre giorni di lotta per la luce in Venezuela

Sospesi tra l’ipotesi del sabotaggio e l’emergenza nazionale. Ma insieme al blackout emergono alcune verità: il “New York Times” scrive che il rogo dei camion con gli aiuti è avvenuto a causa di una molotov lanciata dalle fila dell’opposizione.

Una città fantasma, così si presentava Caracas alla mezzanotte di sabato 9 marzo 2019. Il blackout era quasi totale e resistevano soltanto le luci dei ristoranti di lusso pieni di gente, di alcune stazioni di servizio, farmacie e alberghi, oltre a quelle delle poche auto e moto in circolazione. Silenzio e oscurità, uno scenario da film. Ancora sul blackout e su un aspetto importante: la totale assenza di focolai di violenza e la ridotta presenza poliziesca in punti sensibili.

La luce è tornata in alcune zone del paese e della città soltanto alle prime luci dell’alba di domenica 10 marzo. In alcune zone, però, non era ancora tornata per la sera o addirittura la notte dello stesso giorno, ciò significa che migliaia di persone sono rimaste al buio per più di tre giorni a partire da giovedì alle 17, istante in cui il blackout nazionale ha gettato l’intero paese in uno spazio-tempo sconosciuto. Spesso non si ha cognizione di quante attività siano dipendenti dall’energia elettrica: comunicazioni, pagamenti, trasporti terrestri e aerei, sistemi sanitari, turni lavorativi, approvvigionamento idrico, riserve alimentari, studio, lavoro.

 

Un blackout totale e prolungato blocca fino alla paralisi un paese intero, le sue imprese, le istituzioni, le case e la sua vita quotidiana e spinge tutto verso l’orlo del burrone man mano che si prolunga. E questo, si sa, genera reazioni.

 

Per questo la tranquillità vissuta in uno scenario di questa portata è stata un elemento chiave. Le immagini della mattinata di domenica ritraevano l’allestimentodi mercati di frutta e verdura, code per fare il pieno di benzina e di acqua, preoccupazioni per i propri familiari e atti di solidarietà e quotidianità in una situazione di assedio.

Non è così difficile intuire come l’obiettivo del blackout fosse quello di scatenare uno scenario apocalittico. «Nel caso del Venezuela, l’idea che un governo come quello degli Stati Uniti intervenga a distanza contro il sistema di approvvigionamento energetico è abbastanza realistica. Le operazioni informatiche a distanza raramente richiedono una presenza massiccia sul territorio, trasformandosi in operazioni di ingerenza perfette che non vengono riconosciute come tali», afferma un articolo pubblicato dalla rivista “Forbes”in cui ci si interroga sulla possibilità di un attacco informatico come spiegazione per il blackout.

E ancora: «L’obsolescenza informatica e delle infrastrutture energetiche del paese oppone scarsa resistenza a questo tipo di operazioni e facilita l’esclusione di qualsiasi ipotesi di intervento straniero […] delegittima il governo in carica con la stessa forza con cui il governo in attesa si propone come alternativa concreta».

Un sabotaggio della rete elettrica di questa portata può essere inserito all’interno della serie di eventi cominciata ainizio anno, i cui sviluppi principali sono stati: il non riconoscimento di Nicolás Maduro, l’autoproclamazione di Juan Guaidó, la riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il 23 febbraio come appuntamento per l’ingresso di aiuti umanitari e la conseguente impossibilità di raggiungere tale obiettivo, nuove riunioni delle Nazioni Unite, rientro di Guaidó nel paese ed infine il blackout.

 

A partire dal 23 febbraio abbiamo assistito a uno spostamento della retorica utilizzata, in primo luogo alla riduzione della minaccia di un intervento militare da parte degli Stati Uniti, forse dovuta, tra le altre cose, all’impatto negativo generato sull’opinione pubblica.

 

La conseguenza è stata lo slittamento verso uno scenario da blackout in base al quale la discussione si è polarizzata su due punti: l’evento in quanto tale, con tutte le conseguenze del caso, e l’interpretazione, ovvero lo scontro per l’attribuzione delle responsabilità. Su questo punto, la centralità è assunta dall’abilità di persuasione. Uno degli insegnamenti generati dagli eventi recenti è la vulnerabilità della verità di fronte all’enorme capacità di posizionamento delle idee data dalla commistione tra le grandi agenzie di stampa e i governi.

Il caso più emblematico è il rogo dei camion con gli aiuti umanitari apparentemente causato dalla polizia venezuelana il 23 febbraio. Un articolo recente del “New York Times”mostra che, proprio come affermato da “Pagina12”, in realtà è stato causato da una bomba molotov lanciata dalle fila della destra e di come non esista documentazione alcuna che dimostri la presenza di medicinali all’interno dei camion.

Tuttavia, l’evento è stato ripetuto e diffuso come verità dai mezzi di comunicazione e, tra gli altri, ribadito alle Nazioni Unite dal vicepresidente americano Mike Pence e dal diplomatico americano responsabile della questione venezuelana, Elliot Abramos. Lo scontro per la persuasione si inasprisce con il blackout per via della difficoltà nell’ottenere prove, per la scarsità di elementi oggettivi sull’attacco, per le forme con le quali sono stati portati avanti gli attacchi informatici, elettromagnetici e fisici (come segnalava il presidente Maduro), oltre che per complicazioni interne.

A tutto ciò, si aggiunge il fatto che l’instabilità del sistema elettrico ha rappresentato un tema ricorrente in alcune zone del paese, come ad esempio nello stato di Zulia [al confine con la Colombia e ricco di petrolio, gas naturale e carbone – ndt]. Questo, insieme alle denunce sulla mancanza di investimenti nella rete elettrica (retorica ripetuta giornalmente a sostegno della tesi che questo governo sia solo un luogo di corruzione) sommate a comunicazioni intempestive e agli effetti reali degli attacchi, ha fatto sì che la tesi del sabotaggio non sia riuscita a convincere la maggior parte della società venezuelana.

Le priorità del governo adesso sono stabilizzare il sistema elettrico, garantire l’approvvigionamento di emergenza di cibo, acqua e gas, ripristinare la quotidianità tra le mille difficoltà esistenti e per le quali, tra le tante azioni, ha dislocato funzionari negli ospedali e nei centri alimentari e dichiarato questo lunedì 11 marzo non lavorativo.

 

Possiamo presagire che ci saranno altri attacchi volti a generare un altro blackout e dobbiamo lavorare politicamente sulle eventuali conseguenze. Potranno assumere caratteristiche diverse: abbiamo a che fare con uno scenario complesso con tante variabili, fronti di attacco, possibilità, attori, tempistiche e disperazioni.

 

Non bisogna perdere di vista il quadro generale all’interno del quale si materializzano questi sviluppi: l’obiettivo di creare un governo parallelo per obbligare Nicolás Maduro a lasciare il potere politico, a qualunque costo. Guaidó ha proclamato una sessione straordinaria dell’Assemblea Nazionale per oggi [11 marzo 2019 – ndt] per dichiarare lo Stato di Emergenza Nazionale e ha lanciato l’ennesimo appello alla Forza Armata Nazionale Bolivariana, questa volta con l’avvertimento che si tratta dell’ultima occasione che leviene concessa. Altri dirigenti della destra si sono nuovamente espressi a favore di una possibile uscita violenta con un intervento armato. La lotta per la luce, fondamentale per l’attacco in questo momento, non è ancora finita.

 

Pubblicato sul quotidiano argentino Pagina12 e sul blog di Marco Teruggi Hastaelnocau. Traduzione a cura di Michele Fazioli per DINAMOpress