TERRITORI

Stato e mafia sul litorale: Ostia come capro espiatorio

Pubblichiamo le riflessioni su quanto sta accadendo a Ostia di Stefano Portelli, ricercatore che sta conducendo un lavoro sulla comunità dell’Idroscalo.

Un migliaio di abitanti di Ostia hanno manifestato sabato 21 contro la proroga per altri sei mesi del commissariamento del Municipio: un’iniziativa che, sin dalla sua preparazione, è stata sommersa dalle polemiche e dagli attacchi. Questa è una pratica abituale sul litorale, da quando lo spettro della mafia ha reso molto più difficile ogni manifestazione di dissenso. La mattina stessa di sabato, un articolo di Attilio Bolzoni su Repubblica accusava i manifestanti di voler mantenere Ostia come “cosa loro”, come uno “stato nello stato” senza legge. Inoltre, la partecipazione di Casa Pound alla protesta, fin dagli incontri preparatori, ha esposto tutti i manifestanti ad una seconda accusa, quella di andare “a braccetto con i fascisti”. È lo stesso espediente usato dal PD al referendum del 4 dicembre, per screditare il 60% di votanti che hanno detto “no” alla riforma della Costituzione; ma in un territorio come Ostia, esso crea ancora più fratture e amarezze. Oltre al livello delle affiliazioni politiche, infatti, sul livello locale contano i rapporti sul territorio, la presenza e il ruolo di ognuno nel tessuto sociale.

Ostia ha una lunghissima storia di opposizione politica, di proteste, di sperimentazioni, di cultura alternativa, di occupazioni; i protagonisti di questa storia – una vera epopea, per contraddire Bolzoni – trovano senza dubbio imbarazzante condividere una manifestazione con Casa Pound, ma non possono evitare di riconoscere la sua presenza sul territorio, e anche la legittimità che ai suoi militanti attribuiscono molti ostiensi. Li conoscono personalmente; hanno condiviso con loro la scuola o le piazze, li hanno visti crescere, costruirsi una visibilità; hanno osservato con preoccupazione come la loro organizzazione tentava di mettere radici nei quartieri più disgregati, cavalcando il disagio, spesso senza successo, ma a volte riempendo il vuoto lasciato dai loro partiti e dalle loro organizzazioni. Se non capiamo questa articolazione territoriale della politica locale, possiamo semplificare tutto, ridurre i manifestanti a fascisti e mafiosi, descrivere Ostia come Casal di Principe o Corleone, terra di clan e di gente allo sbando. Ma non otterremo altro effetto che fare il gioco terrorista dei politici e dei giornali legati al governo, per cui ogni periferia è razzista, fascista e mafiosa, e quindi ben venga il potere centrale che decide, delibera, zittisce.

Su Ostia bisogna fare un ragionamento più complesso. Sembra che il PD abbia sperimentato sul litorale, sin dal 2015, quella stessa politica di “blitz” giustificati dall’emergenza poi implementata in tutta Roma. La delega di Marino ad Alfonso Sabella, con i suoi sequestri arbitrari “contro la mafia”, sembra la prova generale di Tronca, dei sigilli e delle multe colossali che minacciano ogni attività culturale autogestita della città. Gesti eclatanti, simbolici, che non hanno intaccato le strutture corrotte e clientelari che pretendevano di combattere, ed hanno invece indebolito i territori, privandoli di risorse fondamentali e consegnandone molti alla malavita. Scopo principale di queste azioni è costruire una legittimità, fingere un’efficacia, mettere al riparo chi comanda dalle accuse di collusione; nonché rendere ancora più difficile la dissidenza. Molti ostiensi considerano il commissariamento solo una messa in scena, finalizzata a riversare sul Lido una problematica che riguarda tutta Roma. Le carte dell’inchiesta Mondo di mezzo menzionavano Ostia solo di striscio, come uno dei tanti territori su cui Buzzi e Carminati avevano messo le mani; la geografia del malaffare, i “luoghi di Mafia capitale”, erano quasi tutti a Roma Nord, nei quartieri bene, tra la borghesia progressista di Vigna Clara e Ponte Milvio (si veda qui e qui).

All’improvviso, tutta l’attenzione è passata dal centro alla periferia, da Roma Nord a Roma Sud, e dalla borghesia al sottoproletariato. Appare Ostia: sufficientemente lontana da rendere difficile per i romani controllare le notizie, i suoi quartieri più poveri sono lo scenario ideale per una rappresentazione che distolga l’attenzione pubblica dal Campidoglio. Era il momento di fare luce su concessioni e appalti in tutta la città, su vent’anni di storia dei suoi poteri, e su tutti i 1300 km quadrati della sua superficie: da Castelnuovo di Porto all’Eur, da Malagrotta a Roma Tre, a via di Salone. Ma il clamore dei giornali porta tutta l’attenzione su Ostia e sull’illegalità, sulla cronaca nera e sul piccolo abusivismo edilizio. Dalle pagine di Repubblica si descrive un “mondo alla rovescia” senza legge né civiltà (come se il resto di Roma rappresentasse la legge e la civiltà), dove si susseguono l’orrore delle “baracche” dell’Idroscalo, il “racket” dei garage occupati a piazza Gasparri, le torture dei “clan” degli zingari. Le operazioni anticrimine e antidroga abituali in uno dei quartieri di case popolari più bistrattati di Roma (Nuova Ostia), vengono presentate sotto l’etichetta Mafia Capitale, così come le vicende amministrative dell’ultimo quartiere autocostruito di Roma che ancora non riesce a regolarizzarsi, e che rischia nuovi sgomberi (Idroscalo).

Quello che molti ostiensi hanno chiaro è che il commissariamento è un rituale di capro espiatorio. Il capro espiatorio è un rituale preciso, con le sue regole: una parte del corpo sociale viene investita del male che affligge tutta la società, un Municipio viene espulso simbolicamente dalla città, relegato alla cronaca nera, sospeso dalla comunità democratica, per purificare tutto il resto. Roma si ripulisce ritualmente emarginando una parte di sé: esso è distinto chiaramente dalla società “civile”, caricato ritualmente di ogni negatività, poi sbattuto fuori, con un grande clamore, anch’esso rituale.Si immagina una “linea sottile” che divide i buoni dai cattivi, la “parte sana” contro i “veleni di Ostia”, i bravi cittadini contro lo “stato nello stato”; “angeli vs dèmoni” è il titolo del blog della giornalista di Repubblica che più attivamente ha promosso quest’immaginario. Queste divisioni fittizie nascondono la complessità della storia, le violenze che lo stato ha inflitto alla popolazione, l’urbanistica “del disprezzo”, le strategie di resistenza spesso illegali, ma spesso legittime, che gli abitanti hanno dovuto mettere in atto per sopravvivere. Scrive Corrado Stajano in un libro del 1979 su Africo, paese della Calabria dove un trasferimento di massa ha disgregato e impoverito la popolazione: “È difficile giudicare l’illecito in un paese al limite della sussistenza e della stessa sopravvivenza”. Anche a Ostia molti abitanti sono stati trasferiti in massa dai “borghetti” autocostruiti di Roma Est: Mandrione, Borghetto Prenestino, Acquedotto Felice. Come ad Africo don Stilo, vero “prete-boss”, accusava i comunisti di essere mafiosi, anche a Ostia sono spesso le associazioni di base, che hanno contrastato il potere dei gruppi criminali, a subire lo stigma e il disprezzo dei media.

Un caso eclatante è quello dell’Idroscalo. Nelle casette autocostruite che da oltre mezzo secolo popolano la foce del Tevere, gli appelli a “ristabilire la legalità” sono percepiti come avvisi di futuri sfratti. Circa cinquecento nuclei familiari da decenni lottano per una regolarizzazione del quartiere, che immaginano come un “borghetto” ristrutturato e protetto sulla Foce. Ma i loro progetti vanno contro gli interessi del Porto Turistico, il cui progetto di espansione nella zona è ancora in vigore, nonostante l’arresto di Balini. Nel 2010 Alemanno sgomberò 35 famiglie, demolendo le loro case senza neanche avvisarli prima; molti di loro vivono ancora nei residence che il Comune paga profumatamente ogni mese ai privati. Un’associazione locale, la Comunità Foce Tevere, attiva proprio nella zona delle demolizioni, denuncia quotidianamente le collusioni del Porto Turistico con l’amministrazione municipale, da molto prima che Balini (Porto Turistico) e Tassone (Municipio, PD) fossero arrestati per le indagini di Mafia Capitale. Eppure, i giornali che difendono il governo e il commissariamento accusano proprio la Comunità Foce Tevere di essere “la parte marcia” del quartiere, capro espiatorio del capro espiatorio. Che li si chiami “mafiosi” o “facinorosi” poco importa: quello che conta è screditare le opposizioni, alimentando un clima di sospetto, e rendendo sempre più difficile al resto del territorio manifestare la propria solidarietà.

“Aoh qua semo tutti mafiosi!”, si dice spesso a Ostia per prendersi gioco amaramente di queste accuse. Per la maggior parte di loro il commissariamento finora ha rappresentato, oltre allo stigma, soprattutto il blocco dell’erogazione di contributi al sociale, con l’interruzione di servizi fondamentali come il trasporto disabili, l’assegnazione delle palestre comunali, addirittura alcune spese di manutenzione ordinaria; senza piano per l’emergenza freddo, quest’inverno sono già morti diversi senza tetto. Molto meno chiaro è quanto esso stia toccando i punti chiave del malaffare sul litorale, visto che a gennaio 2016 sono state prorogate decine di concessioni balneari, tra cui molte di quelle sospette. Le ragioni legali della proroga non sono ancora state rese pubbliche, e molti abitanti interpretano questa mancanza come segno del fatto che si tratti di un gesto puramente politico, che voleva impedire che il PD perda il controllo del Municipio e delle sue risorse (a Ostia il M5S ha preso la percentuale più alta di tutta Roma). Alla chiarezza sulle cause del commissariamento si sostituisce il clamore mediatico: a novembre è bruciato un capannone dell’Idroscalo, dove tra le rotative e le copie invendute del “Quotidiano del Litorale” si conservavano le scenografie del Teatro Fara Nume di Nuova Ostia. Il giorno successivo il Teatro, che si trova a oltre un km di distanza, avrebbe ospitato un’iniziativa pubblica contro la mafia. I responsabili del capannone hanno affermato che il teatro non c’entrava niente, ma i giornali hanno comunque tuonato “Mafia: incendio al teatro” e “Non fermeranno la legalità”: un mese dopo è stata annunciata la proroga. Proprio la Comunità Foce Tevere aveva ottenuto da poco una parte del capannone per realizzarvi attività con i bambini; sarebbero quindi loro le principali “vittime” di questo incendio, se davvero fosse stata un’intimidazione.

Di fatto a Ostia ci sono state diverse manifestazioni di dissenso al commissariamento. Su Corso Duca di Genova sabato hanno sfilato due cortei: quello di Casa Pound, partito da Nuova Ostia senza simboli né bandiere tranne il tricolore, era composto da cento o duecento persone, quasi tutti giovani e giovanissimi (ma pochi veramente di Nuova Ostia) dietro allo striscione “Riprendiamoci il X Municipio”; l’altro, più grande, partito da Piazza Repubbliche Marinare, e composto soprattutto da attivisti dei comitati di quartiere e del volontariato, artisti e intellettuali del litorale, quasi tutti di mezza età, molti anziani. Alla confluenza, i due cortei si sono mantenuti separati, anche se vicini, e l’imbarazzo era evidente. Altri ostiensi hanno scelto di esprimere comunque il loro dissenso, ma tenendosi lontani dal corteo. Alcuni attivisti hanno pubblicato un appello per una riflessione più profonda, che vada al di là della questione del voto. Un’altra piccola iniziativa è stata promossa dalla Comunità Foce Tevere, ugualmente critica con la manifestazione ma per ragioni diverse. Un gruppo di madri e bambini dell’Idroscalo ha percorso il litorale parallelamente ai due cortei, con un travestimento da mucca e il cartello “L’Idroscalo di Ostia e il Municipio X non sono né mafiosi né una mucca da mungere”. Ad ogni tappa del percorso segnalavano i diversi luoghi legati al commissariamento: il capannone dell’Idroscalo, il Porto Turistico, e due locali gestiti da esponenti del PD di Ostia, dove nel 2015 ci sono stati presunti incendi dolosi che hanno generato il rituale clamore mediatico. Prima dell’azione avevano pubblicato un comunicato, tra le migliori letture per capire questa complicata fase della storia di Ostia. Appena arrivati davanti al Municipio, la polizia ha strappato i loro striscioni: la manifestazione era illegale. Ma non certo illegittima.