ROMA

Spazio Donna: un laboratorio di empowerment nel cuore di San Basilio

Hanno provato a intimidirle con due intrusioni notturne a pochi giorni una dall’altra, nella seconda settimana di aprile. Spazio Donna, però, continua a lottare per l’autodeterminazione delle donne di San Basilio e dintorni. Con un approccio positivo

C’è stato bisogno del buio della notte per entrare forzando la porta e mettere a soqquadro ogni cosa, in un luogo in cui le donne costruiscono giorno per giorno la loro autodeterminazione alla luce del sole. È accaduto a San Basilio, per due volte, a distanza di poco tempo, nello Spazio Donna. «Ovviamente non sappiamo chi è stato. Abbiamo trovato tutto in disordine, tutto buttato per aria. Ma non mancava nulla», racconta Marta Mearini, coordinatrice di Spazio Donna, indicando le stanze luminose e accoglienti del centro, arredate con cura e colori vivaci. Un atto intimidatorio, insomma, con il solo scopo di mostrare un po’ di machismo.

«L’unica cosa che mancava era il telefono di servizio, uno di quei Nokia da 20 euro: anche questo ci ha fatto pensare che magari era più per vedere che numeri erano stati chiamati, con chi avevamo avuto dei contatti». L’idea, quindi, è che si possa trattare di una persona collegata ad alcune delle storie più complicate di donne seguite in questo periodo. Comunque, è la prima volta che succede qualcosa del genere, dopo quattro anni che Spazio Donna è presente sul territorio. Ma che cos’è Spazio Donna?

«Uno spazio di aggregazione e di empowerment – spiega Marta sorridendo – con tutto quello che vuol dire questa parola. Perché chiaramente creando legami e rafforzando relazioni aumenta anche il proprio potere personale. Perché noi sappiamo bene che più una persona è isolata, meno ha relazioni anche con l’esterno, più è fragile». Situato lungo una traversa di via del Casale di San Basilio, in quella parte di città che a tratti pare diventare campagna, nasce nel 2016 grazie al finanziamento della ong We World e al supporto della cooperativa Be Free, che a Roma partecipa a numerosi centri antiviolenza, sportelli e case rifugio.

Spazio Donna, però, ha una sua particolarità: l’idea di non concentrarsi direttamente sulla violenza ma lavorare sulle potenzialità, sull’empowerment, sul positivo. «Poi è chiaro che ci sono anche tante situazioni che richiedono l’intervento di chi sa lavorare su questo [la violenza, ndr] e quando emergono o ce le invia qualcuno, noi le sappiamo trattare. È una domanda che comunque esiste e che devi cogliere», spiegano. Questo lavoro viene fatto su due piani. Da una parte il sostegno individuale fornito tramite diverse figure professionali. Una psicologa si occupa della genitorialità e quindi dei minori, se ci sono bambini o bambine che hanno situazioni di difficoltà legate a violenza assistita o violenza diretta. Per loro sono presenti anche due educatrici. Mentre rispetto agli assistenti sociali si collabora con quelle del municipio e del consultorio. C’è poi l’ufficio legale di Be Free.

Dall’altra parte ci sono le attività di gruppo: laboratori che vanno dallo yoga alla scrittura creativa, dal corso di teatro a quello di tango, dove vengono messi in discussione i ruoli di genere. Non mancano poi le presentazioni di libri e le gite nel fine settimana. Tutto gratuito. «Il percorso individuale va di pari passo con quello di gruppo – aggiunge Federica Festagallo, collega di Marta – nel senso che funzionano proprio insieme. Quindi magari all’inizio le donne arrivano e cercano uno spazio individuale, che comunque è importante a volte anche per risolvere tutta una serie di questioni pratiche. Però contemporaneamente il fatto di poter venire qui e vedersi la presentazione di un libro, uno spettacolo teatrale … comunque è qualcosa in più».

Le donne che usufruiscono dei servizi e dei laboratori, poi, sono spesso le prime a proporre iniziative e a portare supporto. «Questo ci fa capire che chi attraversa questo spazio effettivamente si sente parte di qualcosa», aggiunge Federica. Tra l’altro, le intrusioni delle scorse settimane hanno avuto come conseguenza una forte solidarietà anche da parte delle altre realtà che operano nel sociale in questa zona. Esperienze con cui Spazio Donna ha creato una rete di collaborazione fin dal primo anno di attività. Come spiega Marta, si tratta di «un quartiere molto vivace da questo punto di vista, ci sono un sacco di realtà, dal Casale Alba 2 al Comitato Mammut che fa il doposcuola a Rebibbia. Proprio qui a Sa Basilio, dall’altro lato, c’è la grossa biblioteca e centro culturale Aldo Fabrizi e un centro popolare nelle case occupate, perché San Basilio ha una forte tradizione di lotta per la casa».

Oltre che creare reti col territorio, Spazio Donna spesso svolge anche un ruolo di mediazione con i servizi istituzionali a cui si rivolgono le donne vittime di violenza, che volte in quei luoghi non vedono riconosciuti gli abusi che hanno vissuto e perciò hanno bisogno di qualcuno che stia dalla loro parte. «Noi partiamo dall’idea che la violenza di genere è una questione culturale e quando hai a che fare con tutte le realtà che se ne occupano, te ne rendi conto in maniera proprio palese – spiega Marta – Ma le stesse assistenti sociali, i tribunali, per non parlare delle forze dell’ordine, sono i primi che non la riconoscono. O che criticano la donna, la colpevolizzano, la vittimizzano. Quindi da noi arrivano spesso donne che non sono state credute, non sono state capite, a cui è stata imposta la mediazione familiare in casi di violenza. Parte del nostro lavoro è anche quello di cercare di sostenere il percorso. E provare a incidere sulla mentalità dominante». E Federica aggiunge: «Sì, difficilmente l’uomo viene messo in discussione in questo periodo perché, soprattutto quando ci sono di mezzo i figli, il padre è sempre il padre, indipendentemente da quello che fa e come si comporta. E questo è difficilissimo, ed è difficilissimo anche per le donne poi portare avanti un percorso che magari hanno iniziato con grande difficoltà quando non viene riconosciuto loro quello che hanno vissuto e che stanno vivendo».

Proposte di legge come il ddl Pillon, infatti, poggiano su una base culturale maschilista: quella che tante donne soffrono quotidianamente sulla loro pelle. In Italia, del resto, il 31,5 % delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale e il 62,7 % degli stupri è commesso dai partner (dati Istat 2014).

In tale contesto diventa allora fondamentale la presenza di spazi del genere, in cui le donne abbiano la possibilità di essere ascoltate, credute, di trovare delle soluzioni e creare anche una comunità, una rete di scambio e di confronto. Inizialmente a Spazio Donna le persone venivano inviate da enti, servizi o associazioni, mentre con il tempo si è sviluppato molto il passaparola, come dice Federica con soddisfazione: «Non siamo di San Basilio, quindi è stato difficile farsi conoscere all’inizio, c’è stato un percorso. Però oggi siamo riconosciute e le donne che hanno bisogno sanno che possono venire qui. Questo per noi è un bel risultato».

Sally, che frequenta da poco Spazio Donna, tra qualche sorriso e un po’ di timidezza dice che le sue amiche non conoscevano questo posto, ma adesso lei sta spargendo la voce in giro: «Loro curano diversamente le situazioni da come può fare un assistente sociale o una casa famiglia. Hanno proprio un approccio diverso. Trattano la situazione diversamente e quindi c’è bisogno anche di loro. Penso che in tutti i quartieri ci vorrebbe un posto come questo».

E invece a Roma gli spazi femministi sono sotto attacco. Lo ha denunciato giovedì 18 aprile la manifestazione di Non Una Di Meno in Campidoglio, che ha contrapposto al totale silenzio istituzionale il rumore e l’allegria dei cori, delle canzoni e dei tamburi della murga. Erano presenti anche Marta e Federica, insieme alle attiviste di Be Free. «Partecipiamo perché Lucha y Siesta, come La Casa Internazionale delle Donne, sono le nostre sorelle. Lavoriamo con loro, ci inviamo reciprocamente casi – raccontano – Poi non possiamo proprio accettare che in un momento del genere vengano messi in discussione gli spazi esistenti, che già sono pochi, invece di crearne altri. Questo non lo possiamo proprio permettere».