ITALIA

Settembre, andiamo: non è tempo di migrare

A una settimana dalle elezioni italiane molti risultati, dall’astensionismo alla vittoria della destra, erano prevedibili. Un “semplice elettore” ripercorre la strada dei partiti e le riflessioni degli elettori che hanno probabilmente portato a questo esito

A vedere le cifre degli elettori, non è poi cambiato molto. La destra era maggioritaria in Italia da secoli e non si è spostata di lì. Il Pd ha continuato una lenta emorragia, ma neppure con balzi clamorosi. Il voto pentastellato si è sgonfiato e redistribuito, in buona parte verso destra e verso l’astensionismo, che è cresciuto con ritmo regolare, più o meno secondo gli standard europei.

Eppure tutto è cambiato.

Colpa della legge elettorale che ha moltiplicato i seggi di chi ha avuto il buon senso di correre uniti e ha bastonato i coglioni che hanno rifiutato di coalizzarsi? Sicuro, ma gli interessati lo sapevano, sia i furbi che i coglioni, soprattutto i secondi che l’avevano proposta (l’eponimo Rosati in quota Renzi, il relatore Fiano, in quota tutto il Pd insieme appassionatamente, il grande europeista Gentiloni che ci aveva irritualmente posto la fiducia). I calcoli erano tutti pronti a inizio settembre e gli appelli alla remontada erano meno eleganti delle pubblicità Taffo.

Eppure tutto è cambiato il 26 – all’apparir del vero.

Le cifre restano quelle, ma il contesto è leggermente mutato e la congiuntura illumina e riqualifica i dati inerti, li organizza in modo nuovo, cambia il “riscontro”, come diceva Old Nick, sempre impiccione, negli Orti Oricellari e agli Stagni dei Patriarchi. E il contesto è la guerra, l’inflazione fra poco a due cifre, il ritorno su bollette e carrello della spesa, la recessione in arrivo.

E allora il 44% di destra si trova tutto in mano a una leader, e pure piuttosto estrema, con gli altri reazionari che starnazzano ma per il momento devono starci. Il che differisce da una coalizione litigiosa, anche se poi è la congiuntura stessa che l’ha creata a condizionare il suo potere accresciuto. Sotto il 9% la Lega perde potere di negoziazione e subisce il pesante veto Nato su Salvini (che per di più ha pareggiato la gara di autolesionismo con Letta), però Meloni è costretta a venire a patto con i poteri forti europei e anche il suo margine di gioco (opzione polacca contro quella franco-tedesca) è piuttosto limitato: Il fronte baltico offre generosamente aringhe e regressione sui diritti civili, ma non gas ed elettricità. La vera scommessa è la guerra e quanto la sorregge l’essere atlantista sino in fondo e ovviamente avere una sponda americana (Ron DeSantis più che The Donald). Dopo il mid-term si vedrà.

Al momento la destra (estrema ma sdoganata e riplasmata in tempore belli) si prende il governo, in barba alla costanza delle cifre. È la congiuntura, folks. Il ciclo reazionario butta così. Non è il caso di salire in montagna o di emigrare.

Il Pd si è accorto, tutto di un colpo, di non esistere. Percezione soggettiva, certo, ma basta averla e si è finiti, non te ne entra più una giusta. Da adesso in poi una serie interminabile di sbattimenti, autocandidature, rivalità, veleni. Invece del solito e innocuo tornare alle radici, ripartire dalle periferie, ritrovare le ragioni della propria identità, subentra ripartire dai candidati, cambiare nome e logo, riorganizzare le correnti, trovare tante donne, rifondare. Insomma, mesi di tempo perso e di appassionante coinvolgimento nei processi reale.

Boldrini nella piazza di NUDM, ecco. E prudenti gli altri, non farsi neppure vedere. Andrà il Pd verso un lento o precipitoso declino? Si spezzerà prima di arrivare a un congresso? Che ruolo giocherà SI, che almeno all’inizio partecipa dello stesso processo ma non è detto che resti agganciata alla venerata salma? Inutile fare pronostici prematuri, le cose corrono già abbastanza di per loro.

Ma nell’ex campo largo non ci sta soltanto il Pd, che a dire il vero lo aveva sbarrato. Ci sta oggettivamente il M5S. Anzi, tutta un’altra cosa e che ha preso oltre il 15% dei voti, di fatto in prima battuta perché è un partito nuovo ed è assurdo computarlo in rapporto all’omonimo M5S del 2018, all’accozzaglia dei taxi del mare, dei vaffa e delle scie chimiche. Oggi, invece, cos’è? Il partito del reddito di cittadinanza e del Sud – orrore, il 65% sotto le vele di Scampia, lazzari maledetti! E che razza di partito di classe sarebbe? Rassegnatevi, “riscontratevi” con la congiuntura, con il nuovo che è brutto e cattivo, avido di sopravvivere, con la faccia di Gennaro Savastano al limite. Però – però c’è qualcuno che oggi, oltre a quell’infame reddito da divano che nuoce gravemente all’assunzione di bagnini e camerieri h24 per tre euri l’ora, chiede un salario minimo di nove euri lordi/ora e addirittura una riduzione dell’orario settimanale di lavoro? Bella forza, ma tutti vogliono il salario minimo, lo vuole l’Europa, ci stava nell’agenda Draghi che gli infami interruppero e mio padre al mercato comprò.

Peccato che tutti hanno scoperto il salario minimo dopo che il governo ha perso il potere di decretare e che nessuno ha fatto cifre – che volgarità! – né ha detto chiaramente che quella è la cifra che va in tasca indipendentemente dai minimi contrattuali di categoria vigenti, e parliamo dei contratti confederali non di quelli pirata.

Chiaro che la normativa salariale è complicata, che occorre tener conto dei contributi, delle ferie, dei diritti accessori, ecc., ma per un’anima semplice nove euri lordi orari (una miseria rispetto agli standard francesi e tedeschi) è un programma elettorale suggestivo, un “ingannevole” obiettivo di classe, oltre a quel vile sussidio per fannulloni che impedirebbe di accettare retribuzioni inferiori.

Basta questo a dare carattere di classe al Matrix reloaded contiano? In una logica leninista direi di no (credetemi, ho compulsato la bibliografia di settore e qualche voce l’avevo anche scritta) e tanto meno in una logica Ztl, ma i poveri abboccano facile – si sa. E allora, diciamo, il nuovo M5S è una formazione ad alta concentrazione di poveri. Cambierà tutto? Certo che no, io però l’ho votato – sono anch’io un elettore semplice.

Ora quel partitaccio populista diretto da un fedele di Padre Pio con pochette giura e spergiura che difenderà con unghie e denti il RdC dagli attacchi del nuovo governo? Speriamo che lo faccia. Sorgeranno comitati per la difesa del RdC, trasversali fra SI e M5S, magari come ponte per riorganizzare qualcosa a sinistra? Meglio ancora, mi sembra una strada se non proprio tempestiva, quasi niente sbagliata. Ci saranno amministrazioni comunali e pezzi del Pd che si associano a questo processo? E chi sono io per dispiacermene? Questi poveri sono anche contrari all’aumento delle spese militari e stanno in trepidazione per la pace? Già, dimenticavo, tutta la congiuntura nasce e si sviluppa con la guerra. Io non ci tengo a lasciare la mia ombra stampata su un muro, come a Hiroshima. Sono un pavido, lo confesso. Anche per questo ho votato, pur in presenza di altre offerte pacifiste.

Vi sembra giusto dedicare tutto questo spazio ai contraccolpi del 25 settembre (il nostro 9/25) sugli schieramenti di partito? Probabilmente no e avete ragione.

In un giusto ordine espositivo avrei dovuto partire dai FFF che erano già in piazza dal venerdì prima a denunciare la corsa verso il collasso climatico; avrei dovuto proseguire contro il grande ciclo di cortei e contestazioni femministe di mercoledì, una barriera di corpi contro cui andrà a sbattere ogni progetto di restaurazione e anche ogni pratica di mantenimento dell’infame status quo di oggi.

Altri ne hanno scritto su Dinamo e ci sono pure le foto e le cronache a dare il giusto rilievo all’opposizione materiale. Però qualcosa va detto anche sull’esangue quadro politico in cui la destra muoverà i primi passi, pesanti, e l’opposizione i suoi, più incerti. È uno sporco lavoro, ma qualcuno doveva pure cominciare a farlo.

Immagine di copertina da pixabay