ITALIA

Sentinella, a che punto è la notte?

La pandemia rivela e preannuncia una devastante crisi economica, dopo di cui nulla sarà come prima. Il Governo – un vero Conte 3, ben distinto dai precedenti – ne approfitta per consolidarsi e gestire la crisi sanitaria, ma non è in grado di fronteggiare quella economica. Nell’emergenza chiediamo un reddito di quarantena e non sacrifichiamo la forza lavoro al contagio

Non è la fine del mondo, ma di un mondo. Anzi, è la crisi profonda di un mondo e, in quanto tale, apocalittica, cioè rivelatrice. E quel mondo è la globalizzazione neoliberale, i cui fragili flussi e catene di fornitura e consumo sono stati sconvolti e interrotti da una pandemia che forse hanno contribuito a suscitare, di sicuro ad amplificare e accelerare.

Una crisi simultanea della domanda e dell’offerta di merci e del suo combustibile fossile, una crisi aggravata da una simultaneità geografica che non ha consentito la classica manovra compensatoria di scarico territoriale secondo sviluppo ineguale. Crisi dell’economia reale che si è riflessa nella finanza e non crisi finanziaria con ricaduta sull’economia industriale e sull’occupazione, come nel 2008.

Questa crisi era latente (e ampiamente preannunciata da almeno un paio d’anni a livello sia strutturale che dei movimenti anomali di borsa), crisi che non aspettava che un segnale celeste per appalesarsi agli stupiti mortali e i quattro cavalieri dell’apocalisse sono prontamente arrivati, innestando la speculazione oracolare dei virologi invece che degli ammutoliti quanto inoperosi teologi e degli arroganti quanto poco profetici economisti.

La piaga sanitaria è ben reale e forse è soltanto la prima di un ciclo di fenomeni virali non privi di riferimento al dissesto ambientale e climatico e più direttamente alla cattiva ibridazione antropica con la flora e la fauna, con la deforestazione e l’allevamento intensivo. Ma con essi si intreccia in modo indistricabile una piaga economica, di cui abbiamo ancor più diretta responsabilità, e che rischia di segnare in profondità la fase di ripresa civile e demografica dopo i colpi del morbo.

La gestione neoliberale della globalizzazione non è stata in grado, sia nella versione protezionistica Usa sia in quella debolmente pluralistica UE sia in quella della grande armonia cinese, di equilibrare i flussi e stabilizzare gli interessi economici e geopolitici, così che le cinghie di trasmissione logistiche e i flussi di merci e di informazioni sono saltati in aria alla prima avvisaglia epidemica. Sono dapprima risorti muri e odi xenofobi, poi i virus hanno infiltrato la trama delle mascherine e le barriere sovrane, portando tutti al collasso, uno dopo l’altro, finché Trump è rimasto con il cerino in mano («il virus cinese è sbucato dal nulla») e forse con la prospettiva più agghiacciante di futura catastrofe.

Cosa mostra la crisi in corso e quali punti di intervento suggerisce?

Essa mostra l’insostenibilità di una globalizzazione fondata sul lavoro precario, illegale, irrazionalmente distribuito per logica strutturale profonda, organizzato su piattaforme per i servizi e su lavoro servile per la produzione. Diciamo su isole occidentali di lavoro qualificato e comunque sempre meno retribuito e su una ben più vasta base di rider di pizze a domicilio, conducenti di Uber, magazzinieri e distributori di Amazon, piccoli host di Airbnb nella metropoli, bambini-schiavi che fabbricano merci ed eserciti di produttori, raffinatori e distributori di droga nella periferia globale e all’interno della metropoli come immigrati. Basta un niente per far saltare questo sistema squilibrato e renderne complicata la ricostruzione, anche una volta attenuata la pandemia. La crisi finanziaria – per quanto appariscente (bastino i dati sui crolli di borsa su entrambe le sponde dell’Atlantico e del Pacifico che saranno obsoleti già al momento della pubblicazione) è solo la manifestazione superficiale di una crisi dell’economia reale, del suo sistema nervoso e sanguigno globale, da cui si esce solo con un ciclo diverso – o ancora del capitale o con altra gestione di classe.

Abbassiamo però umilmente lo sguardo alla sola situazione italiana, che è stata in Occidente il focolaio maggiore del Covid-19 e probabilmente lo sarà pure della crisi. I soldi in deficit Conte ce li ha messi subito ed è andato a scalare da 3 a 25 miliardi di euro, come se dovesse salvare una banca. Il che significa che al governo hanno capito che bisogna puntellare il sistema prima che crolli. E su cassa integrazione estesa, sconti fiscali, sostegno del reddito per varie fasce  per il momento non fanno obiezioni (almeno a parole), perfino il premiato duo Alesina&Giavazzi, spiega che tutto è lecito, costi quello che costi,  per sostenere la domanda e le abitudini di spesa, addirittura garantire incondizionatamente i lavori in essere quale ne sia la forma contrattuale.

Naturalmente le aspettative di riequilibrio si fondano sull’ipotesi di una stagnazione delle lotte sociali, che però è ipotesi evanescente quando finirà la paura del virus e degli assembramenti e scarseggeranno denaro e merci – una classica situazione deflattiva di stagnazione. Al momento però il governo Conte, con il decisivo supporto del Pd, ne esce relativamente bene: ha imposto la sua unità nazionale, silenziando Salvini e rifiutando di concedere all’opposizione un commissario con pieni poteri che avrebbe realizzato in forma sbilenca i deliri del Pepetee Beach e comunque indebolito la compagine di governo, ha ottenuto un voto di fiducia pressoché unanime sulle misure di sforamento del deficit e rinviato ad autunno (e oltre) le elezioni regionali e il referendum costituzionale, tagliando le unghie e forse le palle al molesto pressing delle destre. La bandiera del voto anticipato raggiunge in soffitta i barconi e Bibbiano. Magari pure l’autonomia differenziata e il taglio dei parlamentari. Sicuramente le promesse di revisione radicale dei decreti Sicurezza, insomma una perfetta operazione democristiana.

Tanto che adesso possiamo parlare di un Conte 3: dopo il Presidente ostaggio della maggioranza giallo-verde a trazione salviniana e il Presidente del cartello di convergenza M5S-Pd-renziani, abbiano finalmente un Presidente davvero autonomo, o forse meglio un ticket Conte-Gualtieri che ha emarginato pentastellati, taglieggiatori di Italia Viva e parte del Pd e punta a governare il trapasso dalla crisi sanitaria a quella economica e a nuovi assetti europei.

Ma cosa sta già succedendo, in attesa degli annunciati provvedimenti governativi per il sostegno al lavoro e alle imprese? Che prevedibilmente verteranno sull’estensione della Cassa integrazione in deroga e dei congedi parentali straordinari, sul blocco dei contributi e delle imposte per le partite Iva, ecc. – secondo l’abituale strategia italiana di puntare a «una molteplicità di interventi, ammortizzatori sociali, sgravi fiscali, ecc., [rispondendo] all’universalismo necessario con particolarismi e discrezionalità», come sul nostro sito scrivono le Clap proponendo un reddito di quarantena. Questo dovrebbe coprire proprio le figure non tutelate dai meccanismi di compensazione tipici del lavoro dipendente formale – operatori sociali, dipendenti di cooperative, lavoratrici e lavoratori del terzo settore, della cultura e dello spettacolo, finto e vero piccolo lavoro autonomo, ristorazione, alberghi, palestre, turismo, formazione ecc., che vanno incontro a un blocco totale e di non breve periodo delle retribuzioni e del reddito – come ben documenta, a proposito del terziario romano, Sarah Gainsforth.

A questo si aggiungono due problemi altrettanto grossi. Il primo è la pressione sui dipendenti del settore pubblico per usufruire di ferie e permessi, fino a suggerire di scalare i giorni di assenza dal TFR, invece di considerarli correttamente giorni di malattia fuori da ogni limite, alla stessa stregua dell’obbligo a non uscire di casa per ridurre il contagio. Il secondo è la dilagante rivolta spontanea (cioè non supportata e quindi boicottata dalle centrali sindacali) degli operai di fabbrica, che non vogliono diventare le cavie per l’incubazione del Coronavirus solo per salvaguardare il loro regime di sfruttamento. Gli assembramenti di protesta sono proibiti, mentre li si consente nei capannoni e alla catena di montaggio. Forse vale la pena di capovolgere la situazione. Perfino le aziende che vogliono tenersi (viva) la manodopera qualificata cominciano a chiudere.

Nello stesso tempo il reddito di cittadinanza pentastellato non riesce a mantenere i suoi criteri workfaristici e condizionali, facendo circolare a cerchi concentrici di distanza gli pseudo-lavori inventati dal giulivo esperto del Mississippi: non ci sono i posti né li si potrebbe raggiungere per il blocco degli spostamenti né i comuni si sognano di svolgere lavori di pubblica utilità. Un reddito di quarantena può costituire una soluzione provvisoria per unificare figure eterogenee di assistenza ed erogazione di mezzi di sussistenza ai milioni di precari non coperti da assicurazioni di disoccupazione garantite contrattualmente. Il problema è oggi di sopravvivenza, domani di riattivazione della domanda, senza di cui le aziende italiane, oltre tutto bloccate sul versante esportazioni dalla presente catastrofica interruzione delle catene di forniture a distribuzione, non riusciranno ad avere un mercato interno. Sempre che siano sottratti al contagio gli operai che oggi ne sono minacciati per la miopia di Confindustria e le incertezze del Governo. Inutile aggiungere che queste misure, valide per italiani e migranti, lavoratori formali o informali, soggiornanti e “clandestini” ­ cioè per la forza-lavoro effettiva che produce ricchezza e che consuma, devono accompagnarsi a un potenziamento del welfare, a cominciare dalla tutela della salute, che va ben oltre il sacrosanto aumento delle strutture ospedaliere e di terapia intensiva criminalmente tagliate nel corso degli anni dalle strategie neoliberali dei governi di destra e di centro-sinistra.

Nessuno si illude che bastino provvedimenti emergenziali, pur indispensabili in una situazione di emergenza. L’uscita dalla crisi pandemica non segnerà l’uscita dalla crisi economica e il finanziamento congiunturale con lo sforamento del debito dovrà fare i conti con cambiamenti di struttura della spesa pubblica e del prelievo fiscale. Lotta all’evasione fiscale, certo (lo biascicano e lo biascicheranno tutti), ma anche imposizione patrimoniale straordinaria, interventi sul regime proprietario delle imprese strategiche e inversione delle privatizzazioni. Il lavoro intermittente e supersfruttato che fioriva intorno alle vecchie filiere neoliberali esplose non si ricostituirà più bello e felice che pria e all’ordine del giorno verranno – ancora in un regime capitalistico – consistenti aumenti salariali e reddito incondizionato di cittadinanza. In alternativa un caos “virale”, migrazioni di popoli e guerre – è più che possibile.  Diamoci da fare per impedirlo.

Al viandante nel deserto che domanda a che punto è la notte, la sentinella una risposta gliela dà e come. Interlocutoria ma con un bel rimpallo di responsabilità: «la notte sta per finire, ma l’alba non è ancora spuntata; tornate di nuovo perciò a domandare; non vi stancate, insistete!» (Isaia, 21). La pressione e la lotta devono continuare per uscire dalla quarantena e recuperare la grande salute. Non sarà una passeggiata né una festa di gala. Questo l’abbiano capito in questi giorni, “stando a casa” come prescritto.