MONDO

Sentenza storica: le multinazionali sono colpevoli dei cambiamenti climatici

La Commissione per i Diritti Umani filippina dopo quasi quattro anni di indagini sentenzia contro le 50 aziende che inquinano di più al mondo

Dal 2 dicembre in molte parti del mondo si guarda a Madrid dove, fino al 13 dello stesso mese si svolgono i negoziati della COP25, la conferenza annuale ONU sui cambiamenti climatici.

All’interno di quel contesto, è uscita lunedì 9 una notizia che con grande probabilità segnerà il passo nella lotta per la Giustizia Climatica. La Corte per i Diritti Umani delle Filippine ha emesso un giudizio rispetto al caso presentato da una larga coalizione della società civile nel 2016, riguardante la messa in stato di accusa delle 50 multinazionali più inquinanti al mondo in quanto a produzione di gas serra, per violazione ai diritti umani della popolazione filippina, essendo queste aziende provocatrici di cambiamenti climatici.

Carroll Muffet, presidente del Center for International Environmental Law (CIEL) ha affermato che il fatto che la Commissione abbia provato la presenza di un intento criminale nel loro negare le conseguenze climatiche del loro agire è particolarmente significativo. «Le prove dimostrate dalla Commissione in questa indagine rappresentano non la fine delle indagini legali nei confronti delle maggiori aziende del fossile, ma al contrario un nuovo grande inizio per queste indagini per quanto riguarda sia la loro responsabilità civile che la loro responsabilità penale nelle varie giurisdizioni del mondo».

Le raccomandazioni della Commissione non hanno una ripercussione legale diretta, ma possono portare a regolamenti più stringenti e mettere pressione nei confronti delle multinazionali per obbligarle a ridurre le proprie emissioni, nelle Filippine come pure in altri luoghi del mondo.

Il presidente della Commissione Cadiz ha detto, sempre durante la COP 25:«Quanto abbiamo dimostrato può essere utilizzato come precedente per chiunque cerchi giustizia sociale all’interno della problematica del cambiamento climatico. Le Commissioni per i diritti umani possono gestire questioni che tribunali normali non toccherebbero o con le quali non sono familiari». Quando la Commissione ha iniziato le sue indagini, nel 2016, il sistema giuridico regolare non aveva alcun precedente in merito. «Non c’era neanche un caso in cui il cambiamento climatico potesse essere inteso come un tema di diritti umani».

Secondo Amnesty International,«la Commissione per i Diritti Umani Filippina ha oggi dato un filo di speranza a tutte le vittime dell’attuale crisi climatica. Per la prima volta un’istituzione atta a tutelare i diritti umani afferma che le multinazionali del fossile possono essere legalmente responsabili per violazione a diritti umani dovute al cambiamento climatico.»

Non è fortuito che il primo caso di questo tipo sia avvenuto nelle Filippine. Il paese asiatico è tra i paesi al mondo più colpiti da cambiamenti climatici. Questo è dovuto alla sua conformazione (isole di dimensioni anche piccole e prive di grandi catene montuose) e alla sua posizione in zona equatoriale dell’Oceano Pacifico. Le acque antistanti si stanno riscaldando in modo incontrollato sempre più frequentemente provocando tifoni e uragani che colpiscono l’arcipelago causando danni gravissimi. Negli ultimi anni si calcolano in media 20 tifoni ogni anno. Inoltre le isole sono drammaticamente soggette all’innalzamento del livello del mare.

Le Filippine sono infine un caso emblematico di ingiustizia climatica. Sono un paese molto povero del Sud del mondo, con una capacità di inquinamento e di emissione di gas serra molto limitata eppure sono i primi a pagare il fenomeno dei cambiamenti climatici provocati da aziende multinazionali con sedi decisionali nel Nord del mondo e che estraggono combustibili fossili per produrre energia che si consuma nei paesi economicamente avanzati.

Tra le 50 aziende, due sono italiane.  Al dodicesimo posto al mondo in quanto aemissioni di gas serra c’è l’Eni, dietro ai giganti USA come Chevron, Exxon e alle europee Total, BP e Shell, ma davanti alla spagnola Repsol.  Al quarantasettesimo posto c’è Italcementi.

La stampa indipendente di tutto il mondo ha ripreso la notizia.  In Italia, nonostante la presenza di aziende nazionali, è calato il silenzio e ci si limita a parlare della versione finale approvata dalla Camera del decreto clima. Tuttavia la questione ci riguarda direttamente e il precedente filippino potrà essere utilizzato anche qui, pure per casi emblematici come quello della città di Venezia. Si apre un nuovo fronte di lotta per il movimento per il clima.

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