EUROPA

Sarah Everard, quando la violenza di genere è anche violenza di stato

Il caso della donna uccisa nel Kent interseca la questione della violenza di genere con il problema degli abusi sistematici da parte delle forze dell’ordine: un tragico fallimento istituzionale nell’affrontare il problema della violenza di genere

La cittadina britannica Sarah Everard è scomparsa a sud di Londra nella giornata del 3 marzo di quest’anno e, dopo alcune giornate di ricerca, il suo corpo privo di vita è stato trovato in un bosco nei pressi di Ashford, nel Kent. Nel frattempo Wayne Couzens, agente del Metropolitan Police Service di Londra è stato arrestato con l’accusa di omicidio. 

Si tratta di un episodio di violenza di genere che interseca la questione degli abusi sistematici da parte delle forze dell’ordine e l’impunità a loro garantita dai sistemi legislativi vigenti. A partire da sabato scorso, in tante città del paese migliaia di persone si sono riunite in veglie e mobilitazioni di protesta che, nella capitale, sono state brutalmente represse dalla polizia. 

Il seguente articolo, apparso l’11 marzo sul sito di NovaraMedia, affronta il nesso fra violenza di genere e violenza istituzionale, a partire dalle reazioni che il caso di Sarah Everard ha suscitato nella popolazione.

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In un’epoca di gratificazioni istantanee, “auto-ottimizzazione”, liberalismo tecnocratico e strategie per aumentare la propria produttività quotidiana, non c’è da stupirsi che le reazioni – filtrate e mediate dai social media – alla scomparsa di Sarah Everard si siano orientate verso soluzioni pratiche e individuali. Costantemente, giorno dopo giorno, su Internet gli uomini chiedono alle donne: cosa posso fare per renderti più sicura?

Questo tipo di inchieste “benintenzionate” ha stimolato la produzione di una valanga di consigli sia da parte di donne terrorizzate che di uomini virtuosi: attraversa la strada; non avvicinarti troppo mentre fai jogging. Resta nella parte della via più illuminata, di modo che lei possa vederti per bene; fai rumore, così che lei possa sentirti; non parlarle, in nessuna circostanza.

 

Da una parte, questo scambio di informazioni e consapevolezza è toccante: si tratta pur sempre di un tentativo di esercitare collettivamente solidarietà e cura all’indomani di un trauma comune. Tuttavia, il rischio è di mal indirizzare le nostre energie.

 

Modifiche nei comportamenti individuali non avrebbero salvato Sarah Everard. Lo possiamo dire perché sappiamo che lei aveva fatto tutto in maniera corretta – aveva indossato indumenti dai colori brillanti, aveva chiamato il proprio ragazzo, aveva evitato i vicoli oscuri – e, ciononostante, ha incontrato la stessa violenta fine che subiscono 66mila donne ogni anno; la polizia ha ritrovato resti umani nel Kent, ieri (10 marzo 2021, ndt), benché debba ancora procedere all’identificazione.

Certo, immagino le obiezioni: il problema non è stato il comportamento di lei, ma quello di lui. Non abbiamo bisogno di coprifuoco e restrizioni per le donne, ma per gli uomini. Non sono le donne ad aver bisogno di consigli, ma gli uomini. Oltre a presumere un tasso di ingenuità da parte degli uomini che è chiaramente assente, una tale inversione ha il difetto di sovrastimare l’importanza dell’azione individuale negli episodi di oppressione. Gli uomini sanno come non uccidere le donne.

 

Non è che nella foga del momento alcuni decidano di ignorare questa loro consapevolezza: semplicemente agiscono lo stesso, nella certezza che gli ingranaggi del sistema statale andranno a fornire una copertura alla loro violenza.

 

Naturalmente, lo Stato è completamente franco rispetto a questo, dal momento che ha da poco rinviato la discussione di  un disegno di legge che consentirebbe ai suoi agenti di torturare, stuprare e ammazzare, con il plauso dell’“Opposizione Più Fedele a Sua Maestà”.

Inazione, negligenza, manipolazione psicologica: è ben documentato il tragico fallimento da parte delle forze dell’ordine nell’affrontare il problema della violenza contro donne e ragazze. Ciò non dovrebbe stupire, visto che gli ufficiali di polizia sono tra l’altro fra le principali figure che perpetrano gli abusi. Uno studio condotto negli anni ‘90 ha evidenziato come all’incirca il 40% degli agenti di polizia negli Stati Uniti avesse commesso atti di violenza domestica (contro il 10% di persone appartenenti al resto della popolazione).

 

(commons.wikimedia.org)

 

Nonostante non esitano indagini simili riferite al contesto del Regno Unito, la situazione è talmente grave che nel 2019 il Centro per la Giustizia delle Donne (Cwj) ha sporto denuncia – tramite un particolare meccanismo legale detto “super-complaint”, che consente alle organizzazioni designate di sollevare obiezioni di carattere pubblico sulla condotta di organi aziendali o istituzionali – presso l’ispettorato penitenziario, sostenendo che ci si trova di fronte a un “fallimento sistematico” nella protezione delle donne che hanno subito abusi da parte di ufficiali e personale di polizia.

 

Nel rapporto che accompagna la denuncia, il Cwj evidenzia un dato allarmante: il tasso di condanne inflitte per violenza domestica, che sul totale dei casi è un già molto basso 6,2%, si riduce ulteriormente al 3,9% quando gli imputati sono ufficiali di polizia.

 

Per questo il sindaco di Londra Sadiq Kahn, che in risposta alla scomparsa di Everard ha menzionato delle “«pattuglie di rassicurazione», è sembrato – a detta di un commentatore – uno «duro d’orecchi». Non solo la polizia fatica a garantire la sicurezza delle donne: molto spesso è la polizia stessa a rappresentare una minaccia per loro. Visto l’arresto per sospetto omicidio dell’agente in forze al Met Wayne Couzens, avvenuto due giorni fa, la vicenda di Everard potrebbe tragicamente costituire un esemplificazione perfetta di tale assunto.

«La legge considera e tratta le donne allo stesso modo in cui gli uomini considerano e trattano le donne», afferma la ricercatrice femminista statunitense Catherine McKinnon. Potremmo spingerci anche oltre. Il nostro sistema legale non solo riflette i pregiudizi insiti nella popolazione, la cosiddetta “mentalità da spogliatoio” (una sorta di microcosmo che a sua volta riflette la nostra società nella sua interezza), ma è concepito per legittimare e sostenere i meccanismi di oppressione – inclusi quelli basati sul genere, sulla razza e sulla classe sociale – messi in atto dagli individui.

 

E i primi attori individuali di questa oppressione sono appunto quell’istituzione eletta a tutrice dell’ordine costituito dallo stato stesso, ovvero la polizia che, non dimentichiamolo, è un organo nato in primo luogo per difendere la proprietà privata.

 

Non è una coincidenza che nessun ufficiale britannico ha mai subito un’incarcerazione per aver ucciso un membro della cittadinanza: al contrario, si tratta di un corollario implicito nell’uso da parte dello Stato della polizia come mezzo per mantenere chi è senza potere nella sua condizione subordinata.

 

 

Si tratta di una consapevolezza diffusa nelle comunità di persone di colore. Il mese scorso, Mohamud Hassan è morto dopo essere stato rilasciato da una presa in custodia della polizia, durante la quale ha avuto contatti con 52 agenti. A giugno, gli agenti di polizia si sono messi in posa per una fotografia assieme ai cadaveri di Bibaa Henry e Nicole Smallman, due donne nere trovate morte in un parco di Londra.

La ragione per cui la scomparsa di Everard ha sconcertato così tanti è data dal fatto che la violenza di genere è stata spesso considerata un’eccezione possibile alla regola per cui “All Cops Are Bastards”. Se togliamo finanziamenti alla polizia, cosa succederà con gli stupratori?

 

Ma una tale domanda presuppone che le donne, in particolare le donne bianche, facciano parte di un gruppo privilegiato di pochi eletti che è esente dalla brutalità della polizia. L’esperienza di Everard dovrebbe invece metterci in guardia rispetto a questo assunto fantasioso.

 

Se l’intreccio tra Stato e violenza di genere può sfuggirci in relazione al contesto del Regno Unito, per le donne latinoamericane si tratta di un collegamento lampante. Nel 2006, uno studio argentino ha reso noto come gli agenti statali fossero responsabili per oltre l’80% di tutti i casi di violenza contro le persone trans. Il femminicidio è endemico nella regione, che comprende cinque dei 12 paesi con i più alti tassi al mondo. Come spesso accade, è una canzone popolare di protesta a inquadrare il problema con tagliente precisione: ideata dal collettivo femminista Las Tesis e diventata estremamente conosciuta durante il movimento di protesta cileno del 2019-20, Un violador en tu camino (uno stupratore sul tuo cammino) parodizza lo slogan della polizia cilena “un amico sul tuo cammino”.

La canzone è chiara su chi sia il colpevole dell’epidemia di violenza di stampo sessuale sul continente: “El Estado opresor es un macho violador” (lo stato oppressore è un macho stupratore). Un grido che è risuonato in 52 paesi, ma che nelle strade di Santiago è spesso cantato mentre ci si accovaccia, proprio come le donne e le ragazze vengono costrette a fare durante le detenzioni poliziesche.

 

Le proteste in Cile, conosciute come El Estallido Social (lo scoppio sociale), sono state innescate non da un caso di femminicidio, ma da un aumento di alcune tariffe.

 

L’obiettivo e le motivazioni delle proteste si sono rapidamente ampliate, fino a comprendere un complesso insieme di questioni che, probabilmente rifletteva anche la consapevolezza collettiva di quanto gli assi dell’oppressione fossero intimamente intrecciati: una donna che non può permettersi l’autobus potrebbe, per esempio, ritrovarsi a camminare verso casa per le strade di Clapham a tarda notte. Mentre la paura diffusa per la scomparsa di Everard si concentra in una rabbia profonda ma circoscritta, è necessario rifiutare le risposte troppo semplici. I colpevoli non sono solo gli uomini che commettono violenza sulle donne, ma lo Stato che la esercita su tutti e tutte noi.

 

L’articolo è apparso sul sito di Novara Media

Traduzione dall’inglese a cura di Francesco Brusa per DINAMOpress

Immagine di copertina dal profilo Twitter di Sisters Uncut