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ROMA

San Lorenzo tra malamovida e malagestione

Il quartiere di Roma San Lorenzo è stata trattato come una riserva indiana per lo sballo. Un divertimentificio, un territorio sacrificato, un quartiere abbandonato a sé stesso dove fare al massimo qualche passerella politica di tanto in tanto. Ma il problema di San Lorenzo non riguarda solo San Lorenzo, e non si risolve dentro San Lorenzo

Mia sorella non fa che comprare tappi per le orecchie. A San Lorenzo, mi racconta, le farmacie hanno esaurito le scorte. La notte è un lancio di bottiglie continuo, urla, musica sparata dalle automobili a tutto volume fino all’alba, risse e aggressioni. Ieri, entrando a San Lorenzo dal sottopasso di Santa Bibiana, ho fisicamente percepito un’ondata di energia negativa che mi investiva come il caldo paralizzante di questi giorni. Ho sempre pensato a quel punto della città, dove anche io ho abitato per anni, come a un territorio traumatizzato, un coacervo di contraddizioni irrisolte, di pura violenza.

La mia prima casa a San Lorenzo era un appartamento comprato all’asta dal proprietario che ce l’ha affittato così com’era, svuotato dei mobili, con le mattonelle e le finestre rotte, a 2000 euro al mese sospetto in nero (eravamo in 5-6). La seconda casa pure era senza mobili, senza riscaldamento né acqua corrente (ha i cassoni) roba che quando una volta è venuta l’Acea hanno detto facciamo finta di non aver visto niente. Quando è andata in corto una presa è venuto un amico elettricista, ha detto ma voi siete pazzi, l’impianto è degli anni Venti. Ho dovuto smontare tutta la casa perché lo rifacesse, era luglio e si moriva di caldo.

Per la mia terza casa a San Lorenzo, quando ormai avevo superato i trenta, il proprietario ha voluto la garanzia di mio padre. In teoria il costo dell’affitto non deve superare il 30% del proprio reddito…. che ridere eh. E pensare che io avevo pure un regolare contratto di lavoro, ma voleva a garanzia la pensione di papà. Quando andai via – me ne andai negli Stati Uniti con l’idea di restarci – mi ringraziò per avergli fatto scoprire Airbnb.

Piazza dei Sanniti, iniziativa della Libera Repubblica di San Lorenzo

Io però amavo moltissimo San Lorenzo. Amavo il senso di possibilità che si respirava al Cinema Palazzo e in tutti gli spazi curati e animati da tutte le persone che hanno tenuto in vita il quartiere negli ultimi anni. Il Cinema Palazzo era nato quando nel 2011 a Roma chiudevano i cinema e aprivano i compro oro, i casinò, le sale bingo, e le macchinette VLT invadevano ogni bar del quartiere.

Aprivano sempre più locali. Montadidos, paninerie, piadinerie, shottinerie, minimarket, cineserie, take-away. Negli anni sono stati chiusi i parchi, le biblioteche, addirittura intere strade, accaparrate dal multiproprietario di turno, sono crollati muri, sono state sfrattate le associazioni di volontariato, la palestra popolarle, il centro anziani, sono stati tagliati i fondi ai progetti contro le dipendenze. Il reparto di Neuropsichiatria Infantile del Policlinico in via dei Sabelli ha subìto tagli e attacchi di ogni tipo e se ancora resiste è solo merito di chi si ostina a lavorarci con passione e dedizione.

L’unico spazio dedicato allo sport all’interno del perimetro storico del quartiere è diventato a pagamento.

Il Comune aveva promesso una piscina pubblica in un fazzoletto di terra di proprietà dell’Università che ci voleva fare sapete cosa? Parcheggi. La piscina però non si può fare, scavando è emersa una villa romana. Bene, facciamo un ecomuseo, dicono i cittadini. Oggi quel fazzoletto di terra rischia di diventare il parco del Soho House, residenze di lusso per creativi con piscina sul tetto.

Mi fermerei qui. Ma c’è anche la vicenda della particella 26, verde pubblico inaccessibile, della ex dogana venduta a Student Hotel da Cassa Depositi e Prestiti, dopo averla affittate per anni a chi ne ha fatto una discoteca a cielo aperto, o di tutti i palazzi di mini-appartamenti che stanno spuntando in ogni interstizio libero del quartiere grazie ai permessi a costruire elargiti a manciate come coriandoli dagli uffici del municipio. Lo stesso che “a sua insaputa” ha concesso passi carrabili per cancelli di privati che hanno chiuso strade pubbliche come in via dei Galli, o che hanno rinunciato a intervenire in difesa di parchi dai cittadini sottratti al degrado, come il Parco dei Galli. Di queste cose, del “degrado” di San Lorenzo, abbiamo parlato per anni.

Il parco archeologico Dalmati-DeLollis attende da anni di essere realizzato, ma il suo futuro è incerto

Che cosa hanno fatto la politica, l’Università, le forze dell’ordine, Cassa Depositi e Prestiti, contro il progetto di un casinò a San Lorenzo, contro i compro-oro, contro le slot machine, e poi contro i B&B, che cosa hanno fatto per favorire le librerie, gli artigiani, i negozi di vicinato, le associazioni, gli spazi culturali, di socialità e aggregazione? Niente. Non hanno fatto niente.

Se vent’anni fa San Lorenzo era a un bivio, oggi è in un baratro. È evidente che il fenomeno della malamovida non è riconducile solo alla gestione del territorio. Ma se i politici, gli amministratori, i proprietari di case, i palazzinari e gli imprenditori, l’Università, e tutti i cosiddetti stakeholders coinvolti nel disegnare il futuro del quartiere si sono fatti i beati cazzi loro, adesso che il quartiere è invaso da ragazzini che fanno i cazzi loro in maniera tanto fastidiosa, di cosa ci stupiamo?

Probabilmente sarebbe più interessare affrontare la questione della “malamovida” da un punto di vista sociologico, psicologico, antropologico, con strumenti di lettura che io non ho. Perché è un problema enorme. Un sociologo della devianza scrive: «Tradizionalmente il disagio giovanile implicava una critica dell’orizzonte valoriale da interiorizzare, mentre lo sballo contemporaneo sembra non voler introdurre nessuna emendazione delle dimensioni di senso che strutturano i processi di socializzazione, proponendone semplicemente l’abolizione». Non lo so, non so giudicare. Mi viene da dire, però: ma perché i giovani dovrebbero emendare “le dimensioni di senso che strutturano i processi di socializzazione”costantemente minate dall’alto?

Penso al gioco d’azzardo dilagato nelle nostre città a partire dalla sua promozione attiva da parte dello Stato per quel gettito erariale pure misero in confronto al reale giro d’affari: gli italiani spendono per il gioco d’azzardo più di 100 miliardi di euro l’anno. Una cifra incredibile. Ma siccome spendono soldi, e lo fanno nelle sale dai vetri oscurati ai bordi della città, questo non dà fastidio.

Il muro di Villa Mercede. La ricostruzione è iniziata a due anni dal crollo.

Ma parliamo dei giovani. A Roma, dove sono in aumento i lavori a carattere temporaneo che riguardano soprattutto le fasce giovanili di occupati, gli under 30 guadagnano mediamente meno di 10mila euro all’anno.

Il tasso di disoccupazione giovanile (18-24 anni) a Roma è al 29,2%. Il 18% dei giovani tra i 18 e i 29 anni non studia e non lavora. E so che in Italia il 95% dei giovani rimane a vivere con i genitori perché «solo i giovani provenienti da famiglie benestanti sono ancora in grado di accedere alla proprietà della casa, a differenza dei giovani provenienti da famiglie più modeste che non hanno il sostegno necessario» si legge nell’ultimo rapporto di FEANTSA, la Federazione europea delle organizzazioni nazionali che lavorano sul tema dell’abitare. E questo prima della pandemia. La nostra meritevole classe dirigente, però, da anni li chiama bamboccioni. E quelli che provano a cambiare lo stato di cose in questo paese vengono presi a manganellate, come ricordiamo in questo anniversario ventennale dei fatti di Genova.

Quale idea di futuro può avere una generazione cresciuta tra crisi economiche, climatiche, ambientali, senza lavoro, senza una casa propria, senza alcuna possibilità di mobilità sociale (i posti letto in studentati a Roma sono appena duemila), senza alcuna attenzione particolare nei loro confronti, o politica che li riguardi che non sia quella di indebitarsi con un bel mutuo?

Dopo un anno in cui anche la vita sociale è stata azzerata adesso gli si chiede con un ritorno alla “normalità” come se nulla fosse successo,senza il tempo di elaborare i lutti e le ferite, immersi in un clima politico di individualismo esasperato.

L’individualizzazione e la personalizzazione della politica – la scienza e l’arte di governare, cioè la teoria e la pratica che hanno per oggetto la costituzione, l’organizzazione, l’amministrazione dello stato e la direzione della vita pubblica, secondo Treccani – ha raggiunto livelli inediti.

Residence De Lollis, “nuovissimi appartamenti servizi all-inclusive” per studenti e turisti

La campagna elettorale romana per l’elezione del nuovo sindaco è ridotta a una gara tra tra l’Ego di questo e l’Ego di quello, al di fuori di qualsiasi dibattito su temi, contenuti, proposte politiche. Siamo al “vota me perché sono meglio di te”. Ma in base a cosa? Non è dato saperlo. La politica è uno spettacolo penoso. È lo spettacolo di una classe dirigente incapace di ascoltare, di relazionarsi, di costruire una visione e una progettualità comune a partire dal dialogo, dall’ascolto, dal riconoscimento dell’altro, delle energie che, come quelle esistenti a San Lorenzo, tengono in vita una città stremata. Nei contesti europei la ricognizione dei soggetti e delle risorse dei territori è una fase preliminare delle progettualità. I centri civici e i laboratori di quartiere sono finanziati in quanto strumenti di partecipazione, di conoscenza e di intervento sul territorio; le occupazioni artistiche ricevono finanziamenti milionari per la rigenerazione di spazi. Da noi nulla di tutto ciò: la partecipazione è solo retorica. E la frustrazione, ottusa e costante, di queste energie, sta provocando danni enormi.

I cittadini non possono fare tutto da soli. Non possono gestire la città come volontari, comprando tende per i senza tetto di San Lorenzo, portandogli pasti, chiamando la Sala Operativa Sociale, gestendo le emergenze sociali che sono destinate ad aumentare con la ripresa di sfratti e sgomberi.

A San Lorenzo una rete di cittadini e associazioni interviene per le emergenze come quella di Niang che passa le notti in strada, urlando. Deve essere stato torturato, dice mia sorella. Nelle chat ci si parla e ci si attiva. Reti sociali di questo tipo esistono in molti quartieri, e fanno il possibile in assenza di un progetto strutturale di accoglienza, di cura, di inserimento lavorativo. La rimozione del problema lo scarica verso il basso.

Di consapevolezza, invece, parla Walter Tocci: «Roma si trova al centro del grande flusso delle genti dal Sud al Nord del mondo. Può continuare a subirlo oppure può diventarne il luogo della consapevolezza, come capitale culturale del Mediterraneo, e quindi città internazionale per eccellenza. Ecco la priorità di governo per il 2050. È la più impegnativa opera di riconoscimento di Roma per sé e per il mondo».

Quarantena solidale: raccolta di beni essenziali

Oggi la sopravvivenza dei legami di solidarietà, di cura, di comunità, sembra essere garantita soltanto dagli sforzi di singoli cittadini e associazioni. A parte qualche lodevole eccezione in alcuni municipi, lo scollamento della politica, dei partiti, delle personalità singole che si candidano a governare Roma dai territori, la loro incapacità di intercettare le richieste, le idee e le energie di Roma, emerge ogni volta che si parla di priorità per Roma: il Giubileo, i grandi eventi, il turismo.

Ora, è evidente che la movida adesso non si risolve organizzando l’ennesimo evento culturale in piazza. È tardi. È evidente che non esiste una ricetta, una soluzione semplice al problema.

Sarebbe bello, però, sarebbe importante, sarebbe un primo passo, che i cittadini ricevessero delle scuse. Sarebbe bello che, per una volta, una classe dirigente che ha dimostrato di non essere capace di governare le trasformazioni (e neanche sembra intenzionata a farlo) chiedesse scusa.

San Lorenzo è stata trattata come una riserva indiana per lo sballo. Un divertimentificio, un territorio sacrificato. È stato un quartiere abbandonato a sé stesso dove fare al massimo qualche passerella politica di tanto in tanto, nell’anniversario del bombardamento (ad azzeccarlo) per esempio.

Il parco di Villa Mercede, settembre 2019

Nessuno dei politici transitati per San Lorenzo ha mai ascoltato davvero le proposte dei cittadini, o provato a organizzarle e metterle in pratica con un percorso di partecipazione reale. Siamo ancora alle ricette di ordine pubblico. Chiusura anticipata di locali e più polizia. Questo è il massimo che la politica riesce a immaginare.

Una eccezione è rappresentata dell’assessore Montuori, l’unico che dopo anni di battaglie sta dando seguito, per quel che può, alle promesse di una rigenerazione sociale, economica, culturale, del quartiere. Rigenerazione che si sarebbe dovuta avviare 20 anni fa per tamponare il collasso del tessuto sociale di un quartiere-merce evitando che diventasse una specie di paese dei balocchi del consumo. Perché, a parte più polizia (il che significherà più scontri con la polizia se è vero che i ragazzi si danno appuntamento con l’intenzione di scontrarsi con la polizia), per fermare e arginare la malamovida probabilmente non si può fare proprio niente. Ma si può però fare tanto, tantissimo, per migliorare la qualità urbana di Roma.

Dovrebbe far riflettere che oggi la malamovida riguardi piazze e quartieri che sono stati – in anni, non da un giorno all’altro – svuotati. E allora pensando a Roma tutta, bisogna fare la stessa domanda: che cosa ha fatto la politica negli ultimi dieci anni mentre interi quartieri di Roma sono diventati dei Luna Park per turisti, ormai invivibili e vuoti?

Il problema di San Lorenzo non riguarda solo San Lorenzo, e non si risolve dentro San Lorenzo. Il problema riguarda e chiama a una risposta, a un’ammissione di responsabilità, e a uno sforzo politico collettivo, tutta la città. Sarebbe bello che questa politica scendesse dalla poltrona e cominciasse arisarcire i cittadini almeno a parole. Per adesso, si potrebbe ripartire da qui.

Roma ritorna alla “normalità”: spazio pubblico e “retorica del degrado”. Ne parleremo giovedì 1 luglio alle ore 19.00 a Communia

Immagine di copertina e foto nell’articolo: Emma Catherine Gainsforth