ITALIA

Roma, migliaia in piazza per difendere Afrin e la rivoluzione curda

Un grande corteo nell’anniversario dell’arresto del leader curdo Abdullah Öcalan. Per difendere la rivoluzione del Rojava e il suo modello femminista, ecologista e democratico

“Defend Afrin, libertà per Öcalan e giustizia in Kurdistan” questo il tema al centro della manifestazione che oggi ha sfilato per le vie di Roma. Migliaia i presenti. Il corteo è partito da piazza dell’Esquilino dopo che, per motivi di ordine pubblico era stata vietata piazza della Repubblica, inizialmente autorizzata. Dal primo pomeriggio è iniziata a confluire la comunità curda e tutte le realtà romane e nazionali solidali.

Proprio il 17 febbraio di 19 anni fa veniva arrestato a Roma e consegnato alle autorità turche il leader curdo Abdullah Öcalan, in seguito a un complotto internazionale ordito da diversi importanti attori internazionali. Da quel giorno, il governo turco tiene segregato il leader curdo nell’isola prigione di Imrali, in completo isolamento e senza contatti con il mondo esterno. Negli ultimi anni, Öcalan ha avuto crescenti ostacoli a comunicare anche con la sua famiglia o con i suoi avvocati, in violazione dei diritti umani sanciti dai trattati internazionali. Oggi, 17 febbraio 2018, il corteo aperto dalla comunità curda ha voluto ribadire la propria vicinanza al leader in prigione, che nonostante l’isolamente è comunque riuscito a essere fonte d’ispirazione per il confederalismo democratico della federazione della Siria del Nord.

Subito dopo lo spezzone della comunità curda, che apriva il corteo, si è posizionato lo spezzone delle donne curde costruito insieme al movimento Non Una di Meno, per ribadire che “le donne in lotta scrivono la storia, con le curde fino alla vittoria”. Il ruolo centrale delle donne curde nel confederalismo democratico e nell’autogestione della società, così come nell’autodifesa, rappresenta un punto di riferimento mondiale per la lotta femminista e per la liberazione della donna.

Sconfiggendo Daesh, le donne curde ci hanno dimostrato come combattere l’estremismo religioso. Oggi, nella battaglia di Afrin, ci ribadiscono che è possibile costruire un fronte comune contro il fascismo patriarcale rappresentato da Erdogan. Dalla Siria del nord al confine con la Turchia, fino in Italia, le donne sono la prima linea di resistenza contro i nuovi fascismi, che le vorrebbero subalterne e schiave.

In molti interventi si è ricordato come l’Italia sia complice della guerra della Turchia contro i curdi, in primo luogo attraverso la vendita di armi, uno dei pochi settori economici italiani in crescita, in violazione dell’articolo 11 della Costituzione sul ripudio la guerra. In tantissimi hanno ricordato i numeri delle vittime della operazione “Ramo d’Olivo” contro il cantone di Afrin, dove sono già morte più di 80 persone, di fronte al silenzio assordante della comunità internazionale, in primis Stati Uniti e Russia. Proprio oggi sono arrivate notizie sull’uso di gas nell’aggressione militare lanciata Erdogan, un’arma di guerra e di sterminio vietata a livello inernazionale.

Se in molti di fronte alla guerra civile siriana si sono ritrovati a riesumare l’antimperialismo, non riuscendo a vedere cosa accade oltre le grandi potenze, i curdi hanno ribadito che al centro dello scacchiere internazionale ci sono i popoli con le loro lotte e le loro resistenze. A molti non piace l’idea, ma oggi l’unica possibilità di pace in Medio Oriente, e non solo, viene dal basso e parla di confederalismo democratico, municipalismo e parità di genere, oltrepassando ogni discriminazione etnica o religiosa. Mentre le grandi potenze si riarmano e blindano le loro frontiere, mentre le nostre città si riempiono di rancore e fascismo, i curdi ci insegnano la postura da tenere per costruire un movimento globale di solidarietà.

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