MONDO

A chi importa della vita di una donna? Rivolta femminista in Messico

Da una settimana in Messico migliaia di donne manifestano contro la violenza maschile e l’impunità di quattro poliziotti che hanno stuprato una 17enne. Nel paese centroamericano ogni giorno sono compiuti nove femminicidi. «Viviamo già tutte nella paura. Portiamo questa paura nel sangue. Avevamo imparato a conviverci, ma ciò che sta accadendo oggi mette in discussione qualsiasi accettazione preesistente»

Non sono solita scrivere sui social network, ma oggi è un giorno speciale. Questa settimana, il caso dello stupro di una minore di 17 anni da parte di 4 agenti di polizia nella delegazione di Azcapotzalco [una delle 16 che compongono Città del Messico – ndt] è diventato un tema centrale. Abbiamo appreso della fuga di notizie sulla denuncia e delle intimidazioni subite dalla vittima e da sua madre che le ha spinte a interrompere il relativo iter burocratico.

All’inizio di questo mese, il procuratore generale Ernestina Godoy ha espresso pubblicamente la possibilità di rilasciare gli agenti di polizia accusati di stupro per mancanza di prove. Lunedì 12 agosto centinaia di donne hanno marciato verso il palazzo della Procura Generale per chiedere giustizia per il caso di Azcapotzalco e per tanti altri. In risposta alla marcia, media e account anonimi hanno invaso le reti sociali offuscando le ragioni della furia delle donne scese in strada per protestare.

Queste persone si sono mostrate più indignate per le vetrine rotte e i brillantini rosa [durante la protesta Jesús Orta Martínez, questore di Città del Messico, è stato ricoperto di brillantini rosa – ndt], che per lo stupro all’origine della protesta. Se questi eventi ci hanno lasciato qualcosa di positivo, è che il governo di Città del Messico e la Procura hanno iniziato a reagire con apparente responsabilità, insistendo sul fatto che le indagini – ora sì – continueranno. Tuttavia, dopo tutto questo cammino tortuoso e incerto, chi crede davvero che prenderanno sul serio le denunce, quando non sono nemmeno in grado di impedire la fuga di dati sensibili o di arrestare preventivamente i presunti responsabili? La giovane donna che ha denunciato lo stupro non si fida più delle autorità. Io e tante altre, nemmeno.

In Messico, viviamo in una crisi permanente di violenza contro le donne. C’è impunità, complicità e negazione. La giustizia, i social network, la stampa, i sistemi educativi e le stesse famiglie rendono invisibile questa violenza, che ci sta uccidendo, ferendo e lasciando tracce indelebili di dolore e paura per vivere e godere delle nostre vite.

Non riesco a credere alla quantità di notizie di stupri, di femminicidi e persino di atrocità infinite che accadono quotidianamente nel paese: 9 donne vengono uccise ogni giorno! Non riesco nemmeno a credere a quanti personaggi pubblici, che dovrebbero essere i primi ad alzare la voce, rimangono in un silenzio complice che non invita alla presa di coscienza, all’unione e alla ribellione contro questa situazione così mostruosa. E non solo non invita, ma la mette a tacere e la pacifica.

Fino ad oggi, la mia principale fonte di preoccupazione era il tragitto tra casa e lavoro, visto che la bicicletta è il mio mezzo di trasporto. Ogni giorno concentro la mia energia nel fare attenzione a non essere investita da un autobus collettivo o da un guidatore irresponsabile che ha aperto la portiera senza guardare.

Di recente, mi sono resa conto che essere investita non è l’unico pericolo a cui mi espongo in bicicletta, né nella vita quotidiana in generale: devo anche fare attenzione che non mi molestino, non mi arrestino, non mi violentino. Devo davvero avere più paura dei pirati della strada che degli stupratori? Non so cosa dicano le statistiche, ma se continueremo di questo passo, in breve tempo mi farà più paura morire uccisa da un femminicida che investita da un taxi.

Comincio a credere che dovremmo mettere in discussione, tutte e tutti, il modo in cui svolgiamo le nostre attività, i temi delle nostre conversazioni, il nostro stesso lavoro. Che senso ha uscire per studiare o lavorare se da un giorno all’altro uno di questi poliziotti, militari o QUALSIASI sconosciuto, ci fermerà nel buio, nascosto dietro (e grazie) al silenzio degli altri, per stuprarci e ucciderci?

Viviamo già tutte nella paura. Portiamo questa paura nel sangue. Avevamo imparato a conviverci, ma ciò che sta accadendo oggi mette in discussione qualsiasi accettazione preesistente. Dovremmo essere veramente indignati come società. Dovremmo rallentare il tempo e fermare tutto. Si è detto molto e se ne parlerà ancora. Quello che sento oggi è che non posso più a restare in silenzio su qualcosa che prima o poi toccherà tutte, e tutti!

Siamo noialtre, sono le loro sorelle, partner figlie. Siamo umane e nessuno ha il diritto di violentarci.

Questo è qualcosa che dovrebbe farci infuriare, balzare in piedi e mobilitarci tutte e tutti insieme.

#NiUnaMás

#NoMeCuidanMeViolan

* L’autrice ha studiato Storia e incentrato la sua carriera nella promozione dei Diritti umani. Attualmente lavora nell’area comunicazione della Commissione messicana per la difesa e la promozione dei diritti umani, un’organizzazione della società civile che sostiene in maniera integrale le vittime di gravi violazioni dei diritti umani

Articolo originale pubblicato su cimacnoticias

Foto di copertina: CIMACfoto, César Martínez López

Traduzione in italiano di Michele Fazioli per DINAMOpress