MONDO

Riprendere i poliziotti: una nuova strategia per gli indigeni australiani

Una nuova app che aiuta gli aborigeni australiani a registrare gli abusi da parte della polizia è l’ultima azione di un movimento crescente che usa i filmati come prove per chiedere conto del loro operato

In Australia sono poche le persone che si sintonizzano su NITV, una TV pubblica locale. Nelle giornate normali conquista solo lo 0,1% dello share nazionale. Ma il 9 maggio c’è stato un picco improvviso. NITV ha appena mandato in onda un videoclip filmato con un cellulare. Questo videoclip riprende una macchina della polizia che falcia deliberatamente un adolescente aborigeno causandogli così un attacco epilettico. Il suo crimine? Qualcuno ha riferito “attività sospette” nell’area.

Il ragazzo è stato curato in ospedale per le ferite riportate, mentre i poliziotti coinvolti sono stati rimossi dal servizio e sottoposti a un’indagine interna.

Un finale un po’ più lieto del solito? «Solo perché uno spettatore ha filmato l’incidente e lo ha condiviso con le persone giuste», dichiara George Newhouse del National Justice Project, un servizio legale no-profit di Sydney. «Non abbiamo la più pallida idea del come o del perché questo incidente sia accaduto. E se non fosse stato filmato, non sono così sicuro che avreste assistito all’intensa indagine attualmente in corso».

L’episodio ha ispirato Newhouse ed i suoi colleghi per la creazione Copwatch, una nuova app che rende le persone, ed in particolare i giovani aborigeni con risorse limitate, capaci di proteggersi dalla cattiva condotta della polizia.

«Una delle lamentele più comuni che sentiamo dai ragazzi è che la polizia li inganna sul loro diritto di filmarli, infatti ne hanno diritto», dice. «Quindi noi gli insegniamo come riprendere in piena sicurezza, come risolvere una situazione e come proteggere ciò che hanno ripreso come prova salvandolo in un cloud».

 

Nel mondo

Il potere delle prove video usate contro la cattiva condotta della polizia può essere tracciato fino dal 1991 quando Rodney King, un afroamericano, fu selvaggiamente picchiato dai poliziotti di Los Angeles per essere evaso dagli arresti. Il filmato dell’accaduto causò scontri a Los Angeles e due dei poliziotti coinvolti furono condannati. King alla fine ricevette 3.8 milioni di dollari di risarcimento dalla Città di Los Angeles.

Oggi, la facilità con cui gli spettatori possono registrare filmati delle azioni della polizia e condividerle sui social media ha giocare un ruolo chiave nel movimento Black Lives Matter.

Nel 2015, 800 persone hanno protestato a Mc Kinney, in Texas, dopo la pubblicazione di un video che mostra un poliziotto impegnato nel bloccare a terra una ragazza con le ginocchia sulla schiena durante una festa in piscina.

L’anno seguente, le proteste sono esplose in tutta la nazione a causa della pubblicazione su Facebook del video di un poliziotto del Minnesota che, dopo aver fatto accostare la macchina dell’afroamericano Philando Castile, gli sparava uccidendolo.

Il poliziotto che ha sparato a Castile è stato prosciolto perché la Giuria ha ritenuto insufficiente per l’arresto il carico di prove portate dall’accusa. Invece lo scorso dicembre, un poliziotto di North Charleston è stato condannato per aver ucciso a colpi di pistola Walter Scott, un uomo afroamericano disarmato. I video del poliziotto che gli sparava ripetutamente alle spalle mentre Scott cercava di fuggire e l’alterazione delle prove vicino al suo corpo hanno significativamente influenzato il verdetto.

Le app che combinano i video ad altre funzioni per rendere più facile e sicuro filmare la polizia sono apparse negli Usa nel 2012. La prima, Mobile Justice, è una app gratuita creata dall’American Civil Liberties Union. Questa permette agli utenti di filmare la polizia di nascosto spingendo un tasto sulla scocca del loro smartphone; invece toccando lo schermo si interrompe la registrazione.

Nel 2014, Darren Baptiste, ideatore ed sviluppatore che vive a Toronto, lancia Cop Watch (non in relazione con l’omonima app australiana), una app che carica direttamente le riprese video su YouTube per prevenirne la cancellazione da parte della polizia.

«Io non credo che Cop Watch sia stata usata in una sentenza che ha fatto giurisprudenza in Canada, ma so che ha avuto un impatto. Per questo sono stato oggetto di indagini da parte di diverse forze di polizia», dichiara Baptiste. «Chiunque installi Cop Watch o un altro software simile compie un passo in avanti nel difendere i propri diritti».

 

Profilazione razziale

Non stupisce che questo tipo di video stiano diventando importanti in Australia. Con un tasso di 2.253 carcerati per 100.000 persone (23% più alto del tasso di carcerazione degli afroamericani negli USA) gli indigeni australiani sono la popolazione con più carcerati del mondo.

«Ogni aborigeno di mia conoscenza ha avuto qualche tipo di contatto con la polizia, e di solito questo contatto si basa sul sospetto di una attività criminale», dice Des Jones, capi del Murdi Paakki Regional Housing Corporation del Nuovo Galles del Sud e sostenitore di Copwatch.

«Durante le vacanze scolastiche i miei nipoti si stavano intrattenendo fuori da alcuni negozi e solo perché sono aborigeni, qualcuno li ha percepiti come un pericolo e ha chiamato la polizia. Sono stati interrogati ed è stato loro detto di spostarsi; sono stati anche raggirati, dicendo che si trovavano su una proprietà privata», aggiunge.

«Anche io sono stato interrogato dalla polizia senza motivo e quando ho chiesto perché mi stessero perseguitando, hanno mentito dicendo che non erano obbligati a rispondermi. E questo è niente se comparato a altre cose che succedono, gravi violazioni dei diritti umani di enormi proporzioni. Andate su YouTube e date un’occhiata ai video».

In un video caricato lo scorso anno, si vede un poliziotto mentre spinge per terra due donne aborigene durante una accesa discussione. Jones dice che questo tipo di avvenimenti è comune «Sono consapevole che ci sono alcuni poliziotti ragionevoli, ma la maggior parte viene indottrinata e crede che noi siamo tutti criminali», dice. «Non c’è fiducia fra gli aborigeni e la polizia, e questo divario si sta allargando».

Lo scorso luglio, il Questore dell’Australia Occidentale ha riconosciuto il “ruolo significativo” che la polizia ha rivestito nel traumatizzare gli aborigeni in passato. Ha anche annunciato che saranno richieste telecamere sul corpo di tutti i poliziotti dello stato.

Nonostante ciò, quando è stato richiesto di commentare sulle attuali persecuzioni da parte della polizia, un portavoce della Polizia dell’Australia Occidentale si è rifiutato di commentare, dichiarando che le persone che si sentono lese dalla polizia possono presentare un reclamo.

 

Cultura dell’impunità

Nel 2015, un’inchiesta della Commissione Generale Anticorruzione nello stato di Victoria ha rilevato che meno del 10% dei reclami presentati alle stazioni di polizia regionali sono state accolte. Quando le accuse riguardavano l’uso della forza da parte della polizia, il dato è sceso al 4%. Un anno dopo, la Commissione ha raccomandato una riforma capillare del sistema dei reclami.

Jeremy King, un avvocato di Melbourne specializzato in casi di cattiva condotta da parte della polizia che ha fornito prove durante l’inchiesta, ha dichiarato che non è cambiato nulla. «è presente una cultura dell’impunità all’interno delle forze di polizia di Victoria, e questa scaturisce dal malfunzionamento del sistema dei reclami», dice. «Gli indigeni australiani hanno particolari problemi e sono sovrarappresentati nei casi di cattiva condotta della polizia, ma è un dato che inficia tutti gli aspetti della vita delle persone».

Uno degli attuali clienti di King è John, un anziano disabile bianco. John è stato sfrattato da casa sua da sei poliziotti, picchiato ripetutamente con i manganelli, colpito dal getto di spray al peperoncino e da un idrante mentre i poliziotti filmavano la scena con i loro cellulari, ridendo e scherzando. La polizia non ha mai rilasciato i loro video ma l’accaduto è stato ripreso da una telecamera di sicurezza che John aveva installato in casa sua e queste riprese sono state presentate come prova in tribunale. «Questo caso evidenzia il potere delle riprese video e di come queste possano essere utilizzate come strumento di richiesta di chiarimenti».

Newhouse ha lanciato lo stesso messaggio il mese scorso quando ha lanciato Copwatch con Des Jones nella città di Dubbo, stato del Nuovo Galles del Sud. In quelle zone, sotto una rinnovata stretta securitaria, il numero di giovani aborigeni fermati o ricercati sulla base del più lieve sospetto e di conseguenza arrestati è aumentato del 40%. Ma Newhouse ha anche messo in guardia dalle insidie legali dalle quali chi filma la polizia dovrebbe guardarsi.

«Noi avvisiamo i ragazzi di essere cauti nel caricare i video sui social media perché potrebbero riprendere i loro amici o familiari nell’atto di commettere un crimine», dichiara. «Gli insegniamo a non caricare niente finché non ne hanno discusso con una persona più grande».

Jones rivela di aver ricevuto richieste per parlare di Copwatch in città distanti in Australia occidentale e Far North Queensland, dove i tassi di carcerazione degli Indigeni australiani sono incredibilmente elevati. «Copwatch è la risposta al problema fondamentale che gli aborigeni hanno sin dal primo giorno», dice. «ma ora con queste nuove tecnologie, noi dichiariamo tolleranza zero nei confronti delle linee di condotta illegali in Australia».

 

Ian Lloyd Neubauer è un fotogiornalista freelance che vive a Sidney. Ha una esperienza decennale come reporter in Papua Nuova Guinea per testate come “Time”, “Al-Jazeera”, BBC, CNN, “The Diplomat” e “The Australian Financial Review”.

 

Articolo apparso sul sito newint

Traduzione in italiano di Simona de Gennaro per DINAMOpress