EUROPA

Grecia, resistenza e mutualismo nella pandemia

Il distanziamento sociale e la riduzione dello spazio pubblico imposti dalla Covid-19 hanno messo a dura prova le relazioni su cui si fondano le pratiche di solidarietà, che hanno dovuto adattarsi a nuove condizioni socio-spaziali e sviluppare un nuovo immaginario

In Grecia un decennio di crisi ininterrotte ha dato origine a tre diversi movimenti popolari di solidarietà e resistenza. Il primo è emerso nel 2011-15 come parte di una lotta politica più ampia contro il governo della Troika, e i suoi programmi di austerità e di riorganizzazione strutturale. Il secondo si è formato nel 2015-16 per sostenere le ondate di profughi che raggiungevano le coste della Grecia. Il terzo è apparso la scorsa primavera in risposta alla pandemia Covid-19 e al confinamento.

Il distanziamento sociale e la riduzione dello spazio pubblico imposti dalla Covid-19 hanno messo a dura prova le relazioni su cui si fondano le pratiche di solidarietà, che hanno dovuto adattarsi a nuove condizioni socio-spaziali e sviluppare un nuovo immaginario del loro potenziale politico e trasformativo. Il primo punto si è dimostrato più facile da raggiungere di quest’ultimo.

Nuove reti

Dov’è stato possibile, molte delle strutture di solidarietà pre-Covid-19 hanno spostato le loro attività online. Altri progetti hanno avviato campagne locali per la fornitura di cure sanitarie e organizzato sessioni di sostegno psicologico. Allo stesso tempo, sono emerse nuove reti di mutuo soccorso sia negli spazi fisici che in quelli digitali. Alcune sono state create a livello di quartiere, mentre altre sono state organizzate tra vari gruppi e comunità (per esempio persone queer, disabili ecc.). Alcune piattaforme hanno anche funzionato come uno spazio da cui operatori sanitari, attivisti della solidarietà e altre persone hanno lanciato richieste comuni e azioni di protesta. Un’iniziativa interessante è stata promossa da una piattaforma per coordinare la produzione di materiale protettivo per gli operatori sanitari e gli ospedali tramite l’impiego di stampanti 3D, programmi open source e competenze professionali.

Contemporaneamente, sono decollate iniziative informali di auto aiuto, dai piccoli laboratori familiari a interi condomini. Oltre ad organizzare l’assistenza e il sostegno a gruppi vulnerabili, queste iniziative hanno avviato una produzione localizzata, informale e talvolta individuale di mascherine per gli ospedali, per la popolazione locale e i rifugiati. Un sondaggio dell’istituto di ricerca sui beni di consumo al dettaglio (IELKA, Institute of Retail Consumer Goods) ha scoperto che l’8% della popolazione si è preso cura dei vicini durante il primo confinamento, mentre il 39% si è occupato dei membri della propria famiglia. Questi dati confermano il potenziale, spesso trascurato, per lo sviluppo di una politica e un’economia basate sulla solidarietà, specialmente in paesi come la Grecia dove il ricordo di relazioni comunitarie (spesso pre-capitalistiche) e di reti affettive è ancora vivo.

La pandemia ha indubbiamente interrotto il processo di globalizzazione neoliberale. Allo stesso tempo, però, ha accelerato il consolidamento di un modello digitalizzato di riorganizzazione e accumulazione capitalistica. È proprio in questo contesto che dobbiamo collocare il movimento di solidarietà e riconoscere il valore di queste esperienze come contributo a un processo di trasformazione sociale strategico, radicale e vitale.

Presa di coscienza collettiva

Forme inclusive e partecipative di auto-organizzazione hanno reso la solidarietà un gesto di presa di coscienza personale e collettivo. Hanno permesso alle conoscenze locali, inattive e trascurate, così come alle competenze, le reti, le risorse e i settori della popolazione precedentemente emarginati, mai coinvolti prima in movimenti politici e sociali, di diventare protagonisti. Donne, pensionati, lavoratori precari, immigrati e rifugiati, persone con un “basso capitale culturale” e credenziali non accademiche hanno costituito l’ossatura di questo movimento popolare, insieme a innumerevoli attivisti della sinistra sociale che hanno offerto la loro esperienza organizzativa e hanno facilitato una comunicazione efficace.

Il movimento di solidarietà ha dato vita sia a una sfera pubblica “dal basso” che a un modello di produzione e scambio autogestiti. In questo senso, le reti di solidarietà possono essere viste come un mezzo utile per fornire un’infrastruttura per una sfera politica ed economica a gestione popolare. Illustrano la possibilità di costruire delle “de-istituzioni” che consolidino il potere sociale e materiale necessario (e creativamente resistente) all’avanzamento della sovranità collettiva, l’emancipazione, l’economia socializzata e la riorganizzazione del potere stesso.

Articolo pubblicato su Red pepper.

Traduzione in italiano di Gloria Bucari per DINAMOpress

Immagine di copertina: Kandukuru Nagarjun (licenza CC BY 2.0)