MONDO

Proteste in Ecuador, la dura repressione dell’opposizione legata a Correa

Durante le mobilitazioni si sono verificati rastrellamenti, persecuzioni e detenzioni dei correisti. Alla fine, la vittoria è parziale anche per gli indigeni della Conaie, che hanno lanciato il movimento

La protesta contro il Governo di Lenín Moreno

La protesta di 12 giorni, iniziata dal movimento indigeno e sostenuta da diversi fronti popolari ha portato: 8 morti, 1.340 feriti e 1.152 persone arrestate, la dichiarazione dello “stato d’emergenza”, lo spostamento della capitale a Guayaquil (mai successo dal ritorno alla repubblica), il coprifuoco addirittura dalle prime ore del pomeriggio e, successivamente, la destituzione del Capo del Comando Congiunto delle Forze Armate e del Capo dell’Esercito. La prima tra queste cariche viene assunta da Luis Lara Jaramillo: noto per il suo forte dissenso con il precedente governo della Revolución Ciudadana .

La protesta inizia a Quito e si propaga quasi in tutto il paese. Non sono solo gli indigeni a manifestare contro il decreto 883 in attuazione della lettera di intenti firmata con il Fondo Monetario Internazionale, ma anche studenti, organizzazioni politiche di sinistra e cittadini comuni. Protestano contro la privatizzazione delle imprese pubbliche (molte create dal precedente governo di Rafael Correa) tramite la figura della “concessione”, ingenti licenziamenti nel settore pubblico, la riduzione dei salari e delle vacanze (dimezzate) dei dipendenti pubblici, nonché l’eliminazione dei sussidi ai combustibili, che avrebbe portato anche un aumento generale dei prezzi a fronte di una riduzione dei salari.

Le lettere di intenti che accompagnano con raccomandazioni e condizioni i prestiti del Fmi sono tristemente note alla popolazione dell’Ecuador (ma anche a tutti i Paesi in via di Sviluppo e non solo) per il ruolo che hanno avuto negli anni ‘80 e ’90 nello smantellamento dell’apparato statale, distruzione della nascente impresa nazionale e attraverso il pilotato scoppio delle cicliche crisi economiche, l’aumento di povertà e diseguaglianza.

La necessità di riallacciare i legami con l’organismo internazionale nasce a seguito di una riduzione di imposte alle grandi imprese multinazionali per più di 4 miliardi di dollari, l’ammontare all’incirca del prestito, e a seguito di un grande lavoro mediatico, in cui per primo l’attuale presidente Moreno si incarica di screditare il decennio di politiche keynesiane introdotte dal governo di Correa. Moreno accusa quest’ultimo e tutto l’establishment intorno a lui di corruzione e irresponsabilità politica per aver sperperato le entrate del petrolio, costruendo scuole, strade ed ospedali di cattiva manifattura. Tale circo mediatico, volto ad annichilire “il correismo”, trova sponda nel settore giudiziario, dove inizia una persecuzione ad personam di tutti gli ex funzionari di medio-alto rango del governo di Correa che non abbiano dichiarato fedeltà al nuovo governo, con forzate accuse di corruzione o istigazione alla rivolta.

La rottura di Lenín Moreno con Rafael Correa

Lenín Moreno è eletto in binomio con Jorge Glas (rispettivamente a presidente e vicepresidente della repubblica) nel 2016. Moreno fu vice-presidente di Rafael Correa durante sei anni di governo e suo ambasciatore presso le Nazioni Unite a Ginevra nei successivi quattro anni. Egli dichiara di essere il primo estimatore di Correa durante la campagna elettorale e della Revolución Ciudadana, della quale abbraccia il programma: lotta al neoliberismo, sovranità nazionale in ottica di integrazione regionale, priorità ai poveri e alla riduzione delle disuguaglianze, ecc. Correa lo sostiene come suo candidato.

Il giorno successivo all’insediamento inizia la rottura con l’ex-presidente e con “i pecoroni” e “corrotti” che lo circondano e “assecondano”. Il nuovo presidente stringe accordi con la destra legata alla dittatura di León Febres Cordero e con influenti amicizie negli Stati Uniti. Gli accordi si trasformano in concessioni di imprese pubbliche, ministeri, alleanze in Asamblea Nacional (Parlamento) fino a occupare tramite decreto il posto del vicepresidente eletto.

Jorge Glas (già vicepresidente di Correa negli ultimi quattro anni), vicepresidente eletto di Moreno, viene fatto arrestare con l’accusa di corruzione ampiamente diffusa mediaticamente già durante la campagna elettorale e rimane in carcere preventivo (da due anni ormai), con un processo in corso pieno di irregolarità.

Glas, inoltre, viene messo in un carcere di massima sicurezza, estremamente pericoloso per un ex-governante, per “ritorsione” a causa della fuga di un altro ex-ministro di Correa, Fernando Alvarado, accusato e condannato (con braccialetto elettronico) per aver assunto nel suo ministero una persona con un incarico specifico per la durata di meno di un anno e stipendio inferiore ai 1500 dollari. In occasione della fuga di Alvarado si fa pubblica la volontà governativa di utilizzare il carcere preventivo per tutti gli ex-funzionari del governo Correa che volessero lasciare il paese. È l’equivalente del nostro portavoce del governo a renderlo pubblico in conferenza stampa.

Interessante la video-lettera dell’esiliato Fernando Alvarado a Moreno in cui non si spiega la persecuzione, dopo la pressione politica affinché rimanesse a lavorare occupandosi della comunicazione per l’attuale presidenza.

I rastrellamenti di Moreno e le persecuzioni

Primo a ricevere l’accusa di “istigazione contro il governo” è Ricardo Patiño, il noto ministro degli esteri che diede asilo politico a Juliane Assange e che precedentemente da ministro dell’economia guidò la  rinegoziazione del debito estero. Patiño parlava in un congresso del partito e il video fatto circolare, diventa la prova per la condanna. Oggi è esiliato in Messico e protetto dal Governo di López Obrador.

Patiño non rimarrà solo a lungo in Messico, perché a seguito delle 12 giornate di protesta anche Gabriela Rivadeneira, ex-presidenta del parlamento ecuadoriano, e altri 5 tra parlamentari ed ex-parlamentari sono costretti a rifugiarsi  nell’ambasciata messicana e a chiedere asilo.

C’è anche il capitolo delle perquisizioni e delle retate nelle case dei dirigenti politici e delle cariche istituzionali elettive, come Paola Pabón, prefetta della provincia del Pichincia, la cui porta di casa è stata buttata giù dall’esercito, l’abitazione messa a soqquadro in cerca di prove e detenuta con carcere preventivo. Senza contare gli arresti di manifestanti e militanti comuni, tra questi Christian Gonzáles di Bulla Zurda.  Perché queste retate e arresti? Tutte per istigazione alla protesta, paventando un teorico Golpe de Estado correista.

C’era Correa all’origine della violenza e della protesta lanciata dalla organizzazione degli indigeni, la Conaie?

In Ecuador la popolazione indigena non è la stragrande maggioranza come in Bolivia, ad esempio, e Correa non è mai stato il rappresentante della popolazione indigena. La popolazione indigena in Ecuador non raggiunge il 20%. Ciò nonostante le diverse nazionalità indigene sono riunite in più organizzazioni, alcune tra loro antagoniste. Una di queste è la Conaie, promotrice di queste proteste e acerrima nemica di Rafael Correa e della Revolución Ciudadana, a causa di questioni legate all’estrattivismo, ma soprattutto al ridimensionamento del ruolo della stessa organizzazione nelle negoziazioni Stato-comunità indigene. È altamente improbabile che “il correismo” riesca a influenzare la Conaie, specialmente con i due principali leader fuori dal paese (Correa in Belgio, Patiño in Messico). “Il correismo” ha però aderito e partecipato alle manifestazioni, con la consegna di non cedere a vandalismo e violenza.

Moreno, che ha deciso di cancellare il decreto oggetto della protesta e ha voluto scendere ad accordi con i rappresentati della Conaie, ha accusato quest’ultima di essere violenta, anche se in minor parte rispetto ai veri violenti: i correisti che tentavano, secondo lui, il colpo di Stato.

Osservatori come Ecuador Inmediato, portale di comunicazione alternativa vicino alla Revolución Ciudadana, segnala invece che le pratiche più conflittuali e antagoniste da parte dei manifestanti provengano dalle sigle legate all’Mpd, organizzazioni sedicenti marxista-leniniste. Anche queste, estremamente minoritarie, acerrime nemiche di Correa e della Revolución Ciudadana.

In ogni caso nulla può giustificare la violenza e gli omicidi di Stato, provocati dall’ingente numero di polizia, esercito, carri armati che sono stati mobilitati dal governo nazionale.

Hanno davvero vinto gli indigeni, la Conaie e la popolazione ecuadoriana?

Quando, il dodicesimo giorno di proteste Moreno dichiara di sospendere il decreto 883 attuativo della lettera di intenti con il Fmi e si crea una commissione di dialogo con la Conaie, molti osservatori e protagonisti hanno esultato e manifestato la loro allegria per il popolo che vince contro l’austerità del Fmi. Ma vincono veramente gli indigeni? Vince veramente la popolazione?

Se da una parte la Conaie non rappresenta tutta la popolazione, dall’altra all’ordine del giorno della negoziazione c’è solo l’aumento del prezzo dei carburanti, non le altre pericolose misure che colpiscono l’occupazione e l’apparato statale, appena ristrutturato dal governo Correa.

Dunque da una parte ci sarà un accordo che non sarà né pluralista né incisivo nella lotta alla restaurazione del neoliberismo a guida Fondo monetario internazionale. Dall’altra, le proteste hanno costituito l’occasione per annientare tramite la repressione l’opposizione legata all’ex- presidente Correa. Anche quest’ultimo è accusato di una quantità innumerevole di reati tra cui il super-indebitamento del paese (governo il suo che ha rinegoziato il debito e liquidato la Banca Mondiale per evitare di pagare gli interessi). Correa che vive in Belgio per accordi familiari precedenti alla sua ultima elezione a presidente, non è in esilio e ha visto l’Interpol rifiutare per mancanza di prove la richiesta di mandato di cattura avanzato dal suo paese natale.

 

fzaccagnini@hotmail.com