MONDO

Prospettive afrodiscendenti in Perù: intervista a Mercado Huaman

Luis Ernesto Mercado Huaman, giurista e gestore culturale, direttore del collettivo artistico Lucha y Tambo, racconta e si racconta: il razzismo, l’identità afrodiscendente, la creazione di comunità, gli strumenti dell’arte e della musica per creare alternative alla violenza nei quartieri popolari

In America Latina sono milioni i discendenti della tratta atlantica – tratta di persone, di schiavi prelevati dall’Africa e trasportati forzatamente nel continente colonizzato dalle potenze europee per lavorare nelle piantagioni e garantire la brutale e violenta accumulazione di ricchezza del nascente capitalismo. La schiavitù è una brutalità senza barriere che, come scrive Isabel Allende, in forme e modi diversi non si è mai fermata: «Non ci sono mai stati più schiavi nel mondo di quanti ce ne siano ora». Allende nel suo libro – L’isola sotto il mare – si affida al realismo magico per trasportare i lettori e le lettrici all’epoca della rivoluzione di Haiti, l’unica rivolta di schiavi finita bene, che ci riporta alla questione di chi siamo e da dove veniamo. In quell’occasione si coniava il termine, a titolo onorario, di «negri bianchi d’Europa». Ovvero, i polacchi, coloro che abbandonarono le armi francesi per unirsi alla rivolta degli schiavi: per identificazione con quella lotta.

«Siamo di dove ci riconosciamo».

Oggi, in America Latina, risiedono circa 200 milioni di persone che si definiscono afrodiscendenti, soprattutto in Brasile, Colombia, Messico, Venezuela, Cuba e Ecuador.Sotto lo slogan “Riconoscimento, giustizia e sviluppo”, le Nazioni Unite promuovono i diritti e le libertà delle persone che si riconoscono di origine africana nelle Americhe. che continuano a subire le conseguenze della povertà sistemica, frutto di un razzismo strutturale. Al problema della “razza” si aggiunge, quindi, quello di genere, orientamento sessuale, età e classe sociale, nonché del reddito monetario, tutti elementi che nel caso delle persone afrodiscendenti si uniscono per generare disuguaglianze che solitamente hanno come protagoniste principali le donne.

«Nel caso del Perù, in particolare con il progetto politico etnico promosso dalle organizzazioni per i diritti civili afroperuviani e da alcune entità dello Stato specializzate in “lo afroperuviano”, le rivendicazioni di una afro-prole o appartenenza a una diaspora africana, di solito non si rivolgono all’Africa, ma bensì agli antenati più prossimi», si legge nella rivista “NuestrAmérica”.

Foto di Larissa Dominguez

Provate a pensare alla cartina del mondo: Africa e Perù non si guardano. Le persone originarie dell’Africa subsahariana sono arrivate in Perù grazie a una migrazione forzata interna. L’etnomusicologa Heidi Feldman conia il termine “Pacifico nero”, basato sul modello Atlantico nero di Paul Gilroy (2014). Nell’Atlantico nero esiste una “doppia coscienza” che deriva dalla “doppia identificazione” tra l’Africa pre-moderna o tradizionale e l’Occidente moderno, mentre nel Pacifico nero c’è una interazione ambigua con la cultura creola e le culture indigene locali (Feldman 2009, 9).

Cosa succede, quindi, quando non esiste un termine per riconoscersi o se quel termine è stato coniato da altri? Negro, zambo, mulato, zambaigo, moreno.

Il Perù ha inserito la variabile di autoidentificazione etnica solamente a partire dal censimento del 2017, nel quale il 3,6% di persone si sono riconosciute come afroperuviane o afrodiscendenti. Contrariamente al censimento del 1940 che decretava scomparsa -la popolazione di origine africana in Perù (0,47%). La presenza statistica è importante, ce lo dice Luis Ernesto Mercado Huaman, laureato in giurisprudenza e gestore culturale, direttore del collettivo artistico Lucha y tambo: «alla Conferenza preparatoria regionale delle Americhe contro il razzismo la xenofobia e l’intolleranza correlata, del 2000, siamo entrati negri e siamo usciti afrodiscendenti».

Cosa significa essere una persona afrodiscendente in Perù?

Ho ricercato le mie origini attraverso un viaggio, un viaggio personale, per capire cosa significa essere una persona di colore, una persona nera. Non me ne ero accorto, fino a quando la società stessa non mi ha fatto notare che lo ero, nero. A casa non ne abbiamo mai parlato, perché siamo tutti uguali, o almeno è così che ci percepiamo. A scuola, le “battute” nei miei confronti erano sempre basate sul colore della mia pelle.

Non ho mai saputo come affrontare questa conversazione in famiglia perché, come ripeto, a casa siamo tutti uguali. La strada mi ha però insegnato le differenze tra un uomo bianco e un uomo nero, ho capito che il razzismo è sempre stato presente, fin da quelle battute a scuola.

Foto di Larissa Dominguez



Me Gritaron Negra!

Tenía siete años apenas
Apenas siete años
¡Qué siete años!
¡No llegaba a cinco siquiera!
De pronto unas voces en la calle
Me gritaron: “¡negra!”
¡Negra!, ¡negra!, ¡negra!
¡Negra!, ¡negra!, ¡negra!, ¡negra!
“¿Soy acaso negra?”, me dije
¡SÍ!
“¿Qué cosa es ser negra?”
¡Negra!
Y yo no sabía la triste verdad que aquello escondía
¡Negra!
Y me sentí negra
¡Negra!
Como ellos decían
¡Negra!
Y retrocedí
¡Negra!


Mi hanno urlato Negra!

 Avevo sette anni appena
Appena sette anni
Macchè sette anni!
Non arrivavo neanche a cinque!
All’improvviso delle voci per strada
Mi gridarono, Negra!
Negra!, negra!, negra!
Negra!, negra!, negra!, negra!
Sono nera? mi sono chiesta?
Sì!
Cosa significa essere nera?
Negra!
E io non sapevo la triste verità nascosta
Negra!
E mi sono sentita negra
Negra!
Come loro dicevano
Negra
e sono tornata indietro
Negra!

Chi sono stati o state le tue referenti durante questo percorso?

Volevo andare oltre al discorso sulla schiavitù. Volevo capire, oggi, cosa significa essere afrodiscendenti in Perù e durante questo percorso ho trovato Victoria Santa Cruz, una nera di barrio come me che, come me, ha capito di essere nera a causa del razzismo che ha sofferto.
Victoria è stata una delle maggiori esponenti dell’arte afroperuviana e personaggio fondamentale nel mio percorso di auto-identificazione e guarigione.

Da quell’incontro, cos’hai scoperto?

Ho iniziato a capire le differenze che esistono e non parlo di status sociale, parlo di differenze umane, culturali … non le ho interiorizzate per creare separazioni, ma per trovare forme di convivenza: rispettando le differenze e la multidiversità. Victoria Santa Cruz mi ha insegnato a vedere gli esseri umani come tali. Riguardo alle differenze marcate dal classismo e dalla discriminazione non basta un articolo per esprimermi, ma posso dire che la discriminaizone influenza fortemente lo sviluppo personale, professionale e comunitario di chi la subisce.

Oggi che cosa pensi?

A 30 anni, costruisco la mia vita giorno dopo giorno e non preparo tutto a tavolino per il mio futuro. Questo sistema, che ho creato da me, mi ha permesso di raggiungere forse l’obiettivo più importante, sapere chi sono: accettare la mia stazza, la mia pelle, perché questi tratti hanno un forte valore simbolico. Alcuni miei coetanei, che non hanno dovuto attraversare questo processo di auto conoscenza, hanno avuto probabilmente più successo – secondo un’idea accademica del successo – ma a me ci sono voluti 30 anni di lavoro. Oggi so dove dirigere la mia attenzione e le mie capacità.

Però hai fondato una scuola di musica e sei un referente comunitario già da qualche anno….

Se vivi in un barrio hai due opzioni: vivi, sopravvivi o il barrio ti uccide. La prima possibilità che ti offre il barrio è la droga, è la violenza. Istruirsi è un’opzione, si, ma evanescente per molti e molte. Lucha y Tampo nasce come luogo d’incontro, per chi, come me e mio fratello Pedro, cercavamo un’opzione in più. Non è nato come progetto strutturato, anzi. Erano idee agevolate da alcune conoscenze ereditate dalla mia famiglia, dal mio lignaggio.

La batucada è uno strumento, non è mai stato il fine. Un luogo nel quale incontrarsi per agire positivamente sul barrio, tentare di cambiarlo. Produrre un’alternativa al «no se puede» con il quale cresciamo. Siamo diventati adulti con un mantra pericoloso: «non si può, non possiamo».

Cosa ha fatto Lucha y Tambo per la comunità?

Ha prodotto una possibilità di sanazione, ha creato comunità ed ha cambiato, per quanto possibile, i connotati della narrativa. Molti dei giovani e delle giovani che sono parte di Lucha y Tambo, oggi hanno una visione diversa rispetto al futuro, anche da un punto di vista professionale.

Avete pensato di uscire dal barrio?

La missione di Lucha y Tambo, la sua natura, è quella di lavorare in spazi nei quali arte e cultura non sono visti come un’alternativa perseguibile.

Cosa fa oggi Luca y Tambo?

Quest’anno spegniamo sette candeline. Siamo un’organizzazione culturale che lavora in diversi ambiti specifici: donne, migranti, popolazione afrodiscendente. Lavoriamo con le scuole e nelle scuole e con i dirigenti comunitari, con il fine di creare spazi di incontro attraverso la musica e l’arte.

Tutte le foto di Larissa Dominguez

Bibliografia: “Revista nuestrAmérica”, Vol. 3, n° 6, Julio-diciembre, 2015