EUROPA

Primo maggio a Kreuzberg: una tradizione non normalizzata

Anche quest’anno, a vent’anni dai disordini del 1987, un fiume di gente ha attraversato Kreuzberg, il quartiere a maggioranza turca, ribadendo come il primo maggio non sia una semplice ritualità ma un’occasione per tutti gli oppressi di far sentire la propria voce : the voice of the subalterns direbbe Spivak, the voice of the voiceless canterebbero Zack de la Rocha e Tom Morello.

Se con il passare degli anni si è assistito a un progressivo abbandono delle tradizionali forme di celebrazione del Primo Maggio, spesso ridotte a un rito snaturato dal suo significato storico, ciò non è del tutto vero quando si parla di Berlino. Dal Maggio ’68 e per tutti gli anni ’70 la festa sembra infatti acquistare nuovo vigore diventando un’occasione per quelle rivendicazioni di carattere politico e sociale – oltre che sindacali e lavorative – che riuscivano temporaneamente a unire diversi gruppi radicali, dai maoisti agli squatter, dagli Autonomen agli anarchici. È a partire dai violenti scontri del 1987, però, che l’evento si caratterizza con quei connotati che l’hanno reso noto in tutta Europa con il nome di Revolutionary May Day, quando in seguito alle violente cariche contro una festa di quartiere organizzata dalla comunità di Kreuzberg – storico quadrante del proletariato e sottoproletariato, migrante e non, della Berlino Ovest – scoppiano disordini che si protraggono per tutta la notte e che costringono le forze dell’ordine ad abbandonare per diverse ore quel quartiere poco attrattivo per la classe media a causa della sua prossimità con il muro e che fin dalle sue origini è crocevia di subalterni. Decine di barricate e macchine bruciate, più di cento feriti, diversi supermercati saccheggiati e la stazione di Görlitzer in fiamme, questo il bilancio finale della memorabile giornata. Da quell’anno, ogni Primo Maggio viene convocato un corteo rivoluzionario, che vede la partecipazione di migliaia di persone – ventimila in media – e che ha un altissimo grado di conflittualità, tanto da attirare quei riot tourists che dai paesi limitrofi si riversano a Berlino per far sentire la propria voce.

La riunificazione della Germania e l’ondata di nazionalismo che questa ha prodotto contribuirono a indebolire il Revolutionary May Day dei primi ‘90, già lacerato da scontri interni tra i diversi gruppi estremisti e dai tentativi da parte delle autorità di impedire il consolidamento della nuova ricorrenza bloccandola sul nascere. Le dimostrazioni si spostarono per qualche anno a Prenzlauer Berg per tornare definitivamente a Kreuzberg nel 1999, in quella Kottbusser Tor che, tra Doner Kebab e fast food vietnamiti, si trasforma nel centro nevralgico della manifestazione. Ma il 1999 fu anche l’anno dell’intervento in Serbia della Nato e, mentre in Italia il bombardatore D’Alema ci spiegava quanto fosse necessaria l’operazione Allied Force, a Berlino gli Atari Teenage Riot guidavano le proteste del MayDay contro gli attacchi in Jugoslavia a suon di revolution actions. Una situazione che a molti ricordò la storica battle of Los Angeles del 1992, quella black intifada a cui i Rage Against The Machine fecero da colonna sonora con il loro demotape. Ma se in California gli eventi degenerarono provocando più di cinquanta vittime, a Kreuzberg la situazione si risolse con decine di macchine in fiamme e l’arresto di molti partecipanti e dei membri del gruppo, accusati di istigazione alla violenza.

Nel 2001 i conservatori proibirono le dimostrazioni temendo che queste potessero diventare un laboratorio di riot in vista del G8 di Genova. Il risultato fu un enorme corteo non autorizzato che terminò con una battaglia campale contro i novemila agenti antisommossa che il governo aveva riversato a Berlino da diverse parti della Germania. Centinaia di feriti e di arresti – in quella che è stata indicata dalla televisione tedesca come «una delle giornate più violente della decade» –, insufficienti però a scoraggiare i successivi Revolutionary May Days che intanto cominciarono a fare di Carlo Giuliani un’icona della lotta alla globalizzazione del capitalismo nella sua versione neoliberale.

Dal 2003 il comune di Berlino azzarda una nuova strategia e inizia a organizzare il MyFest nel cuore di Kreuzberg, uno street festival che dura l’intera giornata e che ha lo scopo di limitare le violenze proponendo concerti e stands per mangiare e bere. Un tentativo, secondo i manifestanti, di stroncare le dimostrazioni e il loro contenuto politico, con lo scopo preciso di sterilizzare la giornata del Primo Maggio. Il corteo, per evitare di rimanere bloccato tra le maglie del MyFest, è costretto a non percorrere il centro del quartiere e le proteste si concentrano ai margini dei festeggiamenti di piazza, dove intanto i concerti di Banda Bassotti e Keny Arkana, tra i tanti, intrattengono i manifestanti. Ma se le dimostrazioni furono piuttosto calme fino al 2007, nel 2008 – anno in cui la crisi sbarca in Europa – e soprattutto nel 2009 – anno del secondo governo Merkel – raggiunsero un livello di ostilità tale da provocare il ferimento di più di quattrocento agenti e quasi trecento arresti.

Negli anni più recenti l’imposizione di politiche neoliberiste a livello cittadino e l’aumento vertiginoso degli affitti nei quartieri popolari costringono gli organizzatori del corteo a fare della lotta alla gentrificazione un tema centrale della giornata dei lavoratori. Da una parte veniva ridisegnata la mappa della città abbattendo pezzi di muro per far spazio ad appartamenti costosi, dall’altra gli abitanti storici di Kreuzberg facevano sapere sui muri del quartiere quanto fossero sgradite le yuppie flats: «we are happy with our rats» – si legge con orgoglio fuori a diversi squat– mentre artisti come Blu coprivano le proprie opere affinché non fossero usate come pretesto per conferire valore economico agli alloggi. E se può far sorridere il fatto che allora si parlasse di abbattimento di muri e non di suoi innalzamenti, sicuramente meno divertente è l’improvviso aumento dei prezzi degli appartamenti per quella comunità di persone che quelle strade le vivono da decenni, minacciata dai middle-class gentrifiers dalle velleità artistiche che rendono il quartiere sempre più cool e sempre più costoso.

Quest’anno 30.000 tra precari e disoccupati, operai e migranti, si sono riuniti alle 18 a Oranienplatz per partire in corteo, a fronte di 10.000 agenti schierati in difesa degli obiettivi sensibili. Dopo un iniziale giro tra le vie adiacenti alla piazza – nel tentativo di far confluire i “corrotti” dalle musiche del MyFest – il corteo si muove verso il fiume Sprea passando per Moritzplatz e percorrendo Köpenicker Strasse , che ospita forse il centro sociale più conosciuto di Berlino, il Køpi 137, dal cui tetto vengono accesi fumogeni e sparati fuochi d’artificio. Tantissimi gli interventi dai carri, con delegazioni di movimenti quali Occupy, 15m, Nuit Debout e di vari Squat tedeschi; tantissime le rivendicazioni: confini, gentrificazione, Rojava tra i temi più affrontati, ma anche femminismo, Palestina, sport popolare. Il corteo si ferma appena fuori Görlitzer Park dopo aver percorso Skalitzer Strasse, dove nel frattempo giacche nere e passamontagna uscivano dagli zaini. È qui che parte del corteo si stacca tentando di sfondare il cordone di forze dell’ordine che in modo provocatorio impediva di raggiungere Kottbusser Tor. Una pioggia di bottiglie e pietre cade sui caschi della Polizei in tenuta antisommossa che risponde con violente cariche indiscriminate, in quella piazza che è uno degli accessi al parco che ogni MayDay attira decine di migliaia di persone con i loro vari Sound sistems open air. Diverse persone manganellate in testa e moltissime persone schiacciate tra le porte d’entrata del parco da cariche che non si preoccupavano più se colpire manifestanti o ubriachi in festa. Dopo mezz’ora di guerriglia i “violenti” vengono dispersi nelle vie circostanti, dove qualche macchina viene data alle fiamme in un contesto in cui la rete degli Autonomen berlinesi ha annunciato, tramite indymedia, di voler provocare un milione di euro di danni per ogni tentativo di sgombero, «with the burning up of excessive luxury cars, the destruction of a surveillance camera and the smashing in of display windows».

Il corteo di quest’anno è stato il più violento degli ultimi anni, sebbene non abbia espresso quel grado di conflitto per l’ultima volta registrato nel 2009. Tra gli interventi finali si sente però un esplicito invito a manifestare la propria rabbia in qualsiasi maniera si ritenga opportuno farlo, ma «risparmiando energie» per l’anno prossimo, quando sarà celebrato il ventennale del Revolutionary May Day. Qualsiasi cosa questa affermazione volesse intendere, ci sarà da divertirsi.