ITALIA

«Il Pilastro è come una fidanzata, a volte ti tradisce a volte ti ama»

Qualche giorno fa il rione bolognese è finito al centro del dibattito politico nazionale in seguito alla citofonata di Salvini alla ricerca di presunti spacciatori. Le voci degli abitanti scesi in piazza ieri restituiscono una realtà diversa dalle offese leghiste

Il Pilastro, periferia del quadrante nord-orientale di Bologna, è stato in passato additato come il quartiere dei teppisti, della malavita immigrata dal sud Italia, il ghetto popolare da tenere ai margini della città, una porzione “stonata” del capoluogo emiliano. Negli anni Settanta-Ottanta, la cronaca lo tratteggiava come un territorio violento, dove i tassisti si rifiutavano di andare, gli autobus venivano presi a sassate, si sparava, si veniva rapinati, girava “la roba”.

Sono più di cinquant’anni che i suoi abitanti lottano per scrollarsi di dosso l’etichetta di “Bronx bolognese”. Lino, pilastrino di adozione, sostiene: «Contro i pregiudizi le parole non servono a niente perché è evidente che molti di quelli che sparano giudizi sul Pilastro poi non ci sono mai venuti e allora che ci vengano!».

Perché al Pilastro ci arrivi solo se ci vuoi – o ci devi proprio – andare. Tutto attorno al quartiere ci sono muri: la tangenziale di Bologna corre a ovest, un intrico di binari ferroviari a sud est, una barriera di negozi a nord. E lui è lì, nel mezzo. Al Pilastro non si va per caso. Se sei un automobilista, diretto magari al centro commerciale Meraville o a FiCo Eataly, puoi tranquillamente circumnavigarlo passando per via Larga, o sfiorarlo appena percorrendo via San Donato.

Questo pezzo di campagna divenuto città, frutto di una complessa successione di piani urbanistici, vanta circa 30 ettari di verde pubblico curato, distribuiti tra il Parco Pier Paolo Pasolini, l’Arboreto e il Parco Mauro Mitilini, Andrea Moneta, Otello Stefanini, intitolato ai tre carabinieri uccisi dalla Banda della Uno Bianca il 4 gennaio 1991. Un polmone verde a cui si aggiungono due gruppi di orti, uno interno alla Fattoria urbana e uno su via Emilio Salgari.

Secondo la ripartizione amministrativa comunale, l’area ricade nel quartiere San Donato-San Vitale che si estende su circa 26 km² ed è abitato da 65.892 persone di cui 11.059 stranieri. La presenza di componenti migranti è un elemento che attraversa tutta la storia del Pilastro, edificato nel secondo dopoguerra come quartiere di edilizia popolare per le famiglie che convergevano su Bologna in cerca di lavoro. I primi ad arrivare provenivano dalla Bassa, dall’Appennino e dal sud Italia, in particolare Sicilia e Campania. A cavallo degli anni Settanta si aggiunsero poi veneti e profughi libici. Negli anni Novanta persone dall’area balcanica e, più recentemente, di Marocco, Tunisia, Senegal, India…

Il quartiere è costellato di presidi attivi: il circolo La Fattoria, l’associazione Mastro Pilastro, il centro documentazione Handicap, l’associazione Bandiera Gialla, la Milonga, il teatro Dom, il blog del Pilastro, l’associazione Al-Ghofrane. Sono solo alcune delle tante realtà che fanno di questa periferia un vivaio di esperienze socio-culturali, come afferma Valeria che nel rione ci lavora: «Al Pilastro c’è un tessuto di associazioni che altrove a Bologna non esiste».

Della stessa opinione è Ingrid, residente e attivista: «È un quartiere dove si vive bene, dove la qualità della vita può essere buona anche parametrandosi all’area di Bologna. È un posto fornito di servizi: dall’ufficio postale al centro commerciale, moltissime infrastrutture per la pratica dello sport […]. C’è tantissimo verde, veramente dei parchi molto belli. Molte linee di autobus. Quindi si può vivere bene, tranquillamente. L’altro argomento secondo me molto importante è quello della vivacità culturale e ricreativa dovuta alla reazione dei cittadini. In pratica in una situazione che poteva essere di disagio e degrado, data dalle caratteristiche storiche pregresse del Pilastro, si è diffuso un enzima che ha dato vita […] a una moltitudine di associazioni e centri sociali».

Come dice un altro cittadino che ha preferito rimanere anonimo: «Il Pilastro è come una fidanzata, a volte ti tradisce, a volte ti ama». Sono tante le cicatrici che una periferia come questa porta sulla sua pelle, la più terribile forse è legata proprio all’eccidio del 1991. A una memoria storica di difficile digestione si aggiungono poi i quotidiani problemi di convivenza condominiale, acuiti dalla presenza di componenti socio-culturali e religiose diverse. C’è la disoccupazione, il lavoro precario, la dipendenza da sostanze stupefacenti e dal gioco.

Jonathan, giovane abitante impegnato sul territorio, sostiene però: «Questo è uno spazio urbano come tanti altri e forse proprio la sua normalità lo rende speciale perché non coincide totalmente con la narrazione che se ne fa». Il rifiuto di essere schiacciato su un solo racconto pubblico ha portato ieri centinaia di persone a radunarsi in presidio, alle 18, sotto la Biblioteca Comunale “Luigi Spina”, istituzione culturale dedicata al primo presidente del Comitato Inquilini Pilastro (1967).

A margine dell’evento, Eleonora, studentessa universitaria, afferma: «Porto il punto di vista di una ragazza che si può dire sia cresciuta al Pilastro, nel senso che avevo 4 anni quando sono venuta qui […] e posso dirti che mi sono sempre trovata bene. […] Non mi sono mai sentita in pericolo, non è un quartiere pericoloso. Certo magari può succedere qualcosa ogni tanto, ma sono eventi rari che potrebbero succedere da qualsiasi altra parte. Per il resto ho sempre girato da sola la sera, son sempre tornata da sola in autobus anche a mezzanotte con passeggeri stranieri o non stranieri. Non mi è successo mai niente e non ho avuto mai la sensazione di un quartiere pericoloso o di dover essere accompagnata o di dover guardare l’orario perché poi è troppo tardi e diventa rischioso».

Eleonora non condivide l’allarme alimentato dall’immagine di un quartiere pericoloso. Dice di non provare una sensazione di pericolo, come molte altre persone che lo abitano. «A volte qualche attacco nei confronti del Pilastro è avvenuto anche sul fronte scolastico – continua – Forse non sono un genio, ma sono riuscita, dopo aver frequentato le medie e le elementari qui, a fare un liceo scientifico, che comunque è una scuola impegnativa e ora sono all’università. Anche le scuole, secondo me, sono molto valide e non tolgono niente a livello di istruzione, ma anzi aggiungono quella parte di integrazione culturale che in altre scuole non c’è e io mi sento veramente arricchita. Sono contenta di aver frequentato le scuole qui».

Il Pilastro non è un territorio da stigmatizzare insieme ai suoi abitanti, riducendone la rappresentazione alle facili semplificazioni. È un quartiere complesso e generoso, fatto di tante sfaccettature e stratificazioni memoriali-identitarie: un crocicchio da attraversare e conoscere.

L’autrice fa parte di quelli che al Pilastro ci «sono dovuti andare». La prima volta circa un anno fa, con il bus n. 20 Casalecchio-Pilastro, per un progetto dell’Associazione Italiana di Storia Orale nell’ambito di uno stage del master in Public History dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia.

Tutte le foto sono di Gianluca Rizzello e sono state scattate durante la manifestazione di ieri, venerdì 24 gennaio

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