approfondimenti

MONDO

Petro presidente, Francia vice, storica vittoria in Colombia: la sinistra è al governo

Il Pacto Histórico ha vinto, Gustavo Petro sarà il nuovo presidente della Repubblica di Colombia e Francia Márquez sarà la vicepresidente. Con l’elezione di Petro, il presidente più votato in assoluto in Colombia, la sinistra, per la prima volta nella storia, è al governo

Prima che fossero i giornali e i comunicati ufficiali a stabilirlo, sono arrivate le voci, i fischi, le urla di gioia e i fuochi d’artificio. Le persone scese in strada con le bandiere, i caroselli in automobile già a partire dalle 17 locali, i cori che lo hanno anticipato a ripetizione fino a farne una realtà: Gustavo Petro presidente, Francia Márquez vicepresidente; la sinistra, per la prima volta nella storia della Colombia, è al governo.

“Non cambieremo questo paese con le armi, lo faremo con le matite, milioni di matite”: era stato l’appello di Petro nel suo ultimo discorso pubblico per convincere la gente ad andare alle urne. Così è stato: il Pacto Histórico ha ottenuto la preferenza da parte di 11’281’013 persone, staccando di 700’601 voti Rodolfo Hernández, che ne ha ottenuti 10’580’412.

Il “cambiamento per la vita” è passato al secondo round elettorale con il 50,44% delle preferenze, dopo che lo scorso 29 maggio non aveva raggiunto la maggioranza sufficiente per evitare lo spauracchio del ballottaggio con l’ingegnere Rodolfo Hernández, il candidato populista e antisistema che a sorpresa si era imposto come rivale di Petro nella corsa alla presidenza. Già nel tardo pomeriggio di ieri, lo stesso Rodolfo Hernández ha riconosciuto la sconfitta di fronte al 47,31% raccolto, scongiurando almeno nel breve termine una reazione violenta da parte dei settori che più di tutti temono il “governo alternativo”. In risposta a ciò, nel suo primo discorso da presidente eletto, Petro ha aperto le porte al dialogo con lo stesso Rodolfo e con i settori che hanno votato per lui, annunciando la volontà di implementare un Accordo Nazionale. 

La coalizione di sinistra Pacto Histórico ha saputo convincere nelle ultime settimane quella buona parte di elettorato che nel primo round aveva dato la preferenza ad altre formazioni politiche o non si era espressa, e così ha raggiunto la soglia che consentirà a Petro e Francia Márquez di entrare nella Casa del Nariño il prossimo 7 agosto.

Quanto alla geografia dei voti, si è confermato quel che si era visto lo scorso 29 maggio, con l’oriente e il centro del paese (a eccezione di Bogotá) uniti nel sostenere Rodolfo Hernández, mentre le periferie, il nord, la costa pacifica e il sud, a scommettere per il cambiamento. Una dimostrazione di come il discorso del Pacto Histórico sia riuscito a penetrare nella “Colombia profonda”, e di come la sua campagna elettorale allegra e colorata abbia generato un livello di fiducia sufficiente affinché la gente sconfiggesse la paura e facesse un passo avanti, con la speranza di trasformare il paese.

La grande festa

“E poi faremo una grande festa popolare in tutte le piazze della Colombia”, aveva aggiunto e promesso Petro, e pure questo si è realizzato subito dopo che sono stati ufficializzati i risultati. Migliaia di persone si sono riversate nelle strade di tutto il paese, in una marea umana fatta di diversi colori, come quelli della bandiera dei popoli indigeni o del movimento LGBTQI+, come la combinazione fra il rosso e il verde, i colori del CRIC – Consejo Regional Indígena del Cauca, il giallo della Unión Patriótica – l’alleanza di sinistra vittima di un genocidio politico fra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 – come la molteplicità e la complementarietà della diversità.

Pure questo previsto da Gustavo Petro nei suoi discorsi, quando aveva detto che l’unità nazionale non può essere fatta, come avvenuto finora, con l’imposizione del pensiero unico e dell’omogeneizzazione socio-culturale, bensì attraverso l’inclusione di tutti e tutte, nella costruzione di un paese plurale e multiculturale, a immagine dei popoli che lo abitano e che storicamente sono stati oppressi.

Un governo popolare

Un governo popolare, un governo degli ultimi e dei “nessuno”, di chi passa dalla resistenza al potere. Un’altra frase ad effetto, quest’ultima, che ha segnato la campagna elettorale del Pacto Histórico e che ha attirato le accuse di populismo, permettendo però a molte persone di immedesimarsi nel programma politico del cambiamento. Come nel caso di una signora settantenne di Bogotà, che in lacrime ammette di aver aspettato questo momento durante tutta la sua vita, perché per la gente di sinistra abituata a nascondersi e a fare i conti con la repressione, questo è più che un momento storico.

Storico, il momento, lo è per tutta la Colombia: un paese considerato la democrazia più antica del continente latinoamericano, l’unica in grado di mantenersi tale lungo la storia recente, mentre altrove prendevano il potere forze militari o dittatori sanguinari. E al contempo un paese-isola dell’imperialismo nordamericano che al di là della falsa retorica liberal-democratica ha prodotto più di 8 milioni di vittime di un conflitto interno infinito, un paese che è tuttora ai vertici degli indicatori della disuguaglianza socio-economica e che dietro la maschera del sistema democratico è stato da sempre governato dalla stessa oligarchia al potere, appoggiata dalle forze militari e paramilitari, dai grandi imprenditori e dal narcotraffico.

Un paese e una democrazia che in nome della sicurezza nazionale, della lotta al comunismo e al nemico interno, ha saputo fare molto peggio di altre dittature. E ora, per la prima volta in assoluto nella sua storia, un paese con un governo alternativo, popolare, di sinistra.

Le promesse e le speranze

“Governeremo per chi voterà il Pacto Histórico e per chi non lo voterà, sarò il presidente di tutti”: altre parole di Petro a pochi giorni delle elezioni e poi reiterate nel suo discorso da neo-presidente eletto, volte da un lato a rassicurare i settori a lui più avversi e dall’altro a ribadire la volontà di costruire e rispettare la pluralità, unica via per vivere in pace. Un governo animato da quello che ha definito essere l’amore politico – concetto estrapolato dal quinto capitolo dell’enciclica di Papa Francesco, “Fratelli Tutti” – e che ha promesso di concretizzare nell’amore ai poveri e agli esclusi, ai territori di periferia e ai popoli storicamente oppressi e sterminati oppure fatti schiavi; amore per le donne e le dissidenze sessuali e di genere costrette a vivere in una società binaria e patriarcale, amore per tutti e tutte, anche per chi si dichiara in opposizione. Amore per gli ultimi e i “nessuno”, come insegnavano la Teologia della Liberazione e il suo predicatore colombiano più conosciuto, il padre guerrigliero Camilo Torres Restrepo.

Le altre promesse, più concrete e contingenti, smorzano le speranze – e i timori della destra – di una virata verso il socialismo, scommettendo su una politica socio-economica di stampo keynesiano che nel contesto colombiano attuale ha comunque l’aria di essere una proposta rivoluzionaria.

Ieri, dal palco, Petro ha detto che in Colombia nei prossimi quattro anni si vivrà uno sviluppo del capitalismo, ma che sarà in funzione di  creare un’economia verde, sostenibile e popolare, volta alla redistribuzione della ricchezza. Un’economia produttiva che favorisca la piccola e medio impresa, la ricerca di una sovranità alimentare, l’impulso all’industria e all’uso di energie rinnovabili come alternative alla realtà attuale dominata dal modello estrattivo unico ed egemonico.

A livello politico e sociale, uno dei pilastri del nuovo governo sarà l’accesso a un’educazione gratuita e di alto livello per tutti, e quindi la valorizzazione tanto delle discipline scientifiche come delle arti e delle lettere, della cultura in generale e in senso lato, incluso quella popolare.

Un’altra riforma sarà quella pensionistica, per garantire una qualità di vita anche a chi è uscito dal sistema produttivo o chi per mancanza di opportunità non è mai riuscito a esserne parte se non in forma precaria e intermittente. E pure dovrebbe esserci una riforma del sistema sanitario, attualmente ingiusto, privato e impostato su velocità parallele a seconda delle risorse economiche a disposizione del cittadino.

Rivendicazioni, tutte queste, al centro delle proteste del Paro Nacional dell’anno scorso, represse con la forza dal governo di Duque, costate la vita a 84 persone e la vista a più di cento, poiché la cosiddetta lesione oculare è stata una tecnica ampiamente utilizzata da parte della polizia antisommossa (ESMAD). Quella della riforma della forza pubblica sarà un’altra questione aperta, però nel frattempo, già nel suo primo discorso da presidente, Petro ha fatto passare alcuni messaggi forti. Il primo, sullo sfondo del grido “Libertà, libertà” da parte della folla e di fronte alla recente ondata di arresti ai danni di esponenti delle “Prime Linee” – formazioni di manifestanti schierati in prima linea nelle piazze durante il Paro Nacional – è stato l’appello al procuratore nazionale affinché ne ordini la liberazione; il secondo è stato l’abbraccio e il passaggio del microfono, in diretta dal palco, alla madre di Dylan Cruz, giovane studente ucciso dall’ESMAD durante le proteste del novembre 2019, per poi concludere promettendo che è finito il tempo dei governi che sparano contro la gioventù.

L’impegno per garantire diritti a tutti e tutte, centrale e imprescindibile, dovrà essere al centro del programma del nuovo governo, e con esso la lotta contro il razzismo strutturale, per l’uguaglianza di genere e per concedere pari opportunità a tutta la cittadinanza, incluso quella migrante.

Non potrà mancare, infine, la lotta contro la corruzione, considerata da Petro e da Francia Márquez uno dei tre mali che insieme al narcotraffico e alla violenza socio-politica hanno permesso che in Colombia andasse al potere un criminale dopo l’altro. A tal proposito, la promessa che più di tutte ha fatto scalpore, è quella dell’istituzione di una commissione indipendente e nominata dalle Nazioni Unite, incaricata di investigare i crimini di corruzione.

Un modo per affrontare questa tipologia di delitti con strumenti giudiziari e riuscire a colpire l’apice della piramide, contrariamente a quanto avviene oggi. Qualcosa di simile a quanto era stato creato in Guatemala con la CICIG – Comisión Internacional contra la Impunidad en Guatemala – diretta dal colombiano Iván Velásquez e poi dissolta nel 2019 perché stava disturbando gli interessi di chi era al potere. Lo stesso Iván Velásquez dovrebbe essere a capo dell’istituzione gemella che nascerà in Colombia.

La pace totale e l’opposizione

L’ultima promessa, la più importante, è quella della costruzione di una società capace di vivere in pace: la “pace totale”, altra formula al centro della campagna elettorale del Pacto Histórico, è la speranza che ha convinto migliaia di persone a votare per il cambiamento, molte delle quali sono rimaste deluse dalla mancata implementazione degli Accordi della Habana del 2016 fra il governo Santos e le FARC. Rispetto a questo punto dell’agenda, si apre una grande possibilità di riprendere i negoziati di pace con l’ELN e di smobilitare la principale formazione paramilitare attiva nel paese, le AGC – Autodefensas Gaitanistas de Colombia, anche conosciuta con il nome di Clan del Golfo. Più in generale, Petro promette di trasformare il paese in una “potenza mondiale della vita”, e per fare questo tre sono le condizioni imprescindibili: la pace, la giustizia sociale e la giustizia climatica.

Di fronte a tutto questo, di fronte alle promesse, alle speranze, al momento storico e al cambiamento per la vita e per la pace, vi è una società colombiana comunque divisa, ma soprattutto vi è una destra che rimane radicale, violenta, organizzata sul piano politico, economico e militare, e che benché abbia perso il presidente – suo volto e burattino storico principale – non significa che abbia perso il potere.

Nei prossimi mesi si vedrà quali saranno le sue strategie e in che misura Petro sarà disposto – e soprattutto costretto – a scendere a patti con i vari settori che la rappresentano, più di quanto non abbia già fatto finora. Quel che è certo è che in assenza di una maggioranza al Senato e alla Camera, il nuovo governo avrà un margine di azione limitato, e la stessa sinistra più integra dovrà mantenersi nell’esercizio di un’opposizione coerente e costruttiva, per indicare la via verso il vero cambiamento. Al contempo, nessuno può escludere che in Colombia si dia l’eventualità di un colpo di Stato, e in ogni caso si prospettano tempi movimentati in cui sicuramente la violenza non cesserà da un giorno all’altro.

Ora, però, è il momento di riconoscere il valore storico di quanto avvenuto ieri in Colombia e di cavalcare l’euforia di un popolo intero, perché almeno sul piano simbolico è certamente vero quanto aveva promesso Francia Márquez nelle ultime settimane di campagna elettorale: “nel nome dei nostri antenati, nel nome delle comunità contadine, dei popoli originari e afrodiscendenti, nel nome delle vittime del conflitto armato, nel nome degli ultimi e dei ‘nessuno’: rovesceremo il regime”.