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EUROPA

Perché la crisi greca non è finita

Unione Europea, politici greci e tutti i media hanno dichiarato che la crisi greca è finita. Ma è veramente così? Vi spieghiamo perchè la crisi greca non è finita così come non lo è quella europea

«Dopo otto anni la Grecia dice addio all’era della Troika e riconquista la sovranità finanziaria», così hanno titolato la maggior parte dei giornali in Europa. La telecamera punta dritta su un flash back di questi otto anni: gli scioperi generali, le manifestazioni, le occupazioni, gli studenti, gli anarchici, le iniziative di solidarietà autorganizzate, le fabbriche occupate… la povertà, la disoccupazione, i suicidi, l’eroina… il caldo, l’umido, il secco: la Grecia.

Se volessimo trovare un inizio simbolico per la crisi greco-europea questo potrebbe essere il discorso dell’allora Primo ministro Papandreu quando nell’ottobre del 2009 rivelò il vero stato dei conti pubblici greci. Nel giro di pochi mesi le agenzie di rating declassarono lo stato greco, aprendo alla speculazione finanziaria nei confronti dell’euro. È l’inizio di una lunga fine.

Il primo prestito alla Grecia fu concordato più di un anno dopo, il 2 maggio 2010, dopo mesi di attesa, e prese la forma di un prestito bilaterale tra il governo greco e la Commissione Europea, con quote di contributo nazionale per ciascun stato membro dell’area euro, per un totale di 80 miliardi di euro. A questa cifra, l’FMI aggiunse 30 miliardi di euro rientrando ad aiutare uno stato europeo, dopo il programma del 1976 con il Regno Unito.

 

 

Solo due anni dopo, il 14 marzo 2012, i ministri dell’area euro concordano su un secondo prestito, questa volta tramite il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria (FESF), nato apposta nel 2010, altri 164.5 miliardi di euro, di cui quasi 20 miliardi a carico del FMI. Il Primo ministro greco Papandreu, dopo aver proposto un referendum sul programma, si dimette e si forma un governo tecnico con a capo Papademos, ex vice presidente della Banca Centrale Europea. Similmente a ciò che accadeva in Italia con il governo Monti. Insieme al secondo prestito, venne anche imposta una ristrutturazione del debito greco, una delle più grandi della storia, gli investitori furono costretti ad accettare un taglio fino al 50% del valore sui titoli di stato greci, e il debito pubblico greco fu ridotto del 24%.

Nel suo rapporto del 2013 l’FMI su questa ristrutturazione scriveva che per la Grecia sarebbe stato più conveniente ristruttura il debito prima del 2012, ma non lo sarebbe stata per i partner europei all’epoca troppo esposti con i titoli di stato greci. Quando il debito greco fu tagliato, infatti, era per lo più in mani istituzionali o di banche nazionali greche, che, in seguito si trovarono sottocapitalizzate, e che furono supportate con i soldi del prestito appena ricevuto. Praticamente un giroconto.

E poi fu votato il governo Tsipras. Il governo anti-austerity che dopo il referendum del luglio 2015 si è ritrovato il più capace implementatore dei Memorandum of Understanding della Troika. Altre decine di milioni di euro di prestito, altre riforme lacrime e sangue, tasse sempre più alte, salari sempre più bassi, svendita delle infrastrutture e del patrimonio artistico. Tsipras non ha solo tradito delle promesse elettorali, ma ha annientato le speranze di un cambiamento possibile, distruggendo le proposte alternative per una sinistra europeista. E se volessimo segnare un altro punto simbolico della crisi economico-democratica europea, è qui che la svolta populista di destra entra anche in Europa occidentale, soffiando con il vento dell’Est.

 

 

Continuano i giornali: «l’eurogruppo ha raggiunto un accordo sull’uscita di Atene dal programma di aiuti che contiene anche un alleggerimento del debito e sulla fine del commissariamento». Ora, chiariamo subito, la Grecia continua a essere una “sorvegliata speciale”, prima di tutto perché si prevede un programma di controllo che durerà tutto il periodo di ripagamento del debito, perché – è bene ricordarlo – i soldi ricevuti dalla Grecia dovranno essere tutti restituiti. Ciò che si chiuderà il 20 di agosto non è altro che il programma di aiuti varato nel 2015, la Grecia riceverà l’ultima tranche del prestito e tutti sperano che non debba più avere bisogno di altri aiuti.

Molti giornali poi parlano di “taglio del debito greco”: anche qui occorre spiegare, il debito greco non è stato tagliato né ridotto, ma i ministri della eurozona hanno concordato di estendere le scadenze a dieci anni sui prestiti concessi durante i precedenti salvataggi e un differimento di 10 anni sugli interessi e l’ammortamento e se, e solo se, le riforme concordate continueranno. Quindi questo ritorno alla sovranità finanziaria per la Grecia non è altro che il potere di implementare tutto ciò che è già stato concordato con i partner europei.

Il debito della Grecia ha raggiunto il 180% del PIL, cioè quasi il doppio della sua produzione economica annuale, e semplicemente non potrà mai essere ripagato tutto. Eppure si continua a pretendere che sia così, in questo modo si può mantenere il controllo totale sulla Grecia e la sua economia, costringendola a svendere tutte le sue risorse, compreso il suo patrimonio artistico e culturale. Lo stesso FMI ha sollevato forti dubbi sulle capacità economiche delle Grecia, con questo debito e l’obbligo di mantenere il bilancio dello stato sempre in surplus, non è ben chiaro come l’economia greca riuscirà a sostenersi senza aiuti nel lungo periodo. È solo una questione di tempo, e l’insostenibilità del debito greco ritornerà a esplodere.

 

 

Sulla Grecia, le istituzioni europee hanno messo in atto un progetto di controllo neoliberale economico-istituzionale, che hanno poi riaffermato nelle varie riforme approvate durante la crisi a livello europeo (six-pack, two-pack, fiscal compact e semestre europeo), rendendo tutti gli stati europei dei sorvegliati speciali. La riforma attualmente in discussione del Meccanismo Europea di Stabilità è un altro tassello di questo progetto.

Le speranze di moltissimi greci si sono si sono frantumate nell’estate del 2015, e qualche mese dopo anche quelle di migliaia di migranti che si misero in cammino sulla rotta balcanica, ora intrappolati in Grecia. Tutto questo ha lasciato senza prospettive le proposte europeiste alternative incentrate sulla solidarietà, dando nuovo spazio ai nazionalismi basati sull’odio.

Ed è in questo scontro che ci troviamo oggi: odio contro speranza, violenza contro empatia. Con buona pace dei rossi-bruni, o dei social-democratici europeisti, che ci spiegano le loro proposte razionali basate o sullo stato-nazione o sulla nuova Europa, senza capire che ciò che bisogna ricostruire non è né l’uno né l’altra, bisogna ricostruire la speranza nell’alternativa ancora prima che l’alternativa stessa. Quella speranza che si è rotta in Grecia quando tutti ci hanno risposto: there is no alternative.