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Paterson

Un Jarmush formidabile racconta la poesia della lotta di classe

…Sometimes I think that I could be a fish….

Paterson è un autista di bus, nella cittadina che porta il suo stesso nome, Paterson.

La sua vita scorre a dir poco regolare, di una regolarità assolutamente eccezionale per i tempi che corrono, si direbbe venire da un’altra epoca, eppure no, è proprio oggi. I giorni settimanali scorrono insieme alla sveglia delle sei del mattino, al silenzioso, intenso amore con una donna che ogni giorno trasforma la casa in una mostra di bolle bianche e nere; la sera, Paterson porta a spasso il cane, e si ferma in un bar afro-americano dove beve, con un’intima soddisfazione, la sua birrozza quotidiana.

Situata nel New-Jersey, in montagna, tra dighe e cascate, Paterson è la cittadina dei poeti: prima del grande poeta dell’underground americano, Allen Ginsberg, a Paterson è cresciuto infatti Williams Carlos Williams – o Carlos Williams Carlos – importante poeta del modernismo americano, che di Ginsberg si può dire fu uno dei maestri.

È con quest’immagine – molto poetica – di un conducente di bus incognito poeta, che viene ritratto il protagonista del film.

La sua vita da operaio dei trasporti non è certo invidiabile, e Paterson la sopporta pensando ai suoi versi, come in una sorta di stato catatonico zen permanente; ed è così che Paterson scrive, prima di entrare al lavoro, nella pausa pranzo o la sera quando rientra, così come durante il week-end, intervallando solo con la contemplazione di pochi libri di poesia, primo tra tutti gli Early Poems di Williams Carlos Williams. Le poesie di Paterson sono semplici, quasi banali, si direbbero quasi scritte da un bambino, eppure il film ce ne fa cogliere tutta l’intensità in un crescendo vorticoso.

Paterson è un uomo d’altri tempi, accomodante e introverso: è questa sua timidezza che gli impedisce di provare a pubblicare le sue poesie, nonostante i continui inviti della sua compagna; della sua solitudine gli importa così poco che a pc o tablet preferisce il suo taccuino, che porta sempre con sé. Eppure si potrebbe dire che il tema di fondo del film è proprio la connessione, e che se Paterson rifiuta ostinatamente di comprarsi un telefono cellulare è perché si sente, nella sua solitudine abitudinaria, molto più connesso di chiunque altro. Connesso come si sente un pesce con il mare e con gli altri pesci che come lui hanno il mare dentro e fuori. Paterson è immerso, ascolta l’universo, e come un pesce nel mare si muove senza sosta, pur nella sua apparente immobilità, perché si muove insieme a tutto ciò che lo circonda¹. E poco gli importa di pubblicare le sue poesie, o della fragilità di quell’unico piccolo diario di carta, Paterson sa che quando scrive lo fa direttamente di fronte all’universo, diventando una molecola o scendendo da una cascata.

Paterson è un nome comune, per una cittadina mitica che Jarmush ci restituisce da tutti gli angoli, con le inquadrature specchiate che si riflettono sui vetri dell’autobus che passa, e che non si è limitata ad ospitare poeti. Il nostro Gaetano Bresci – ebbene sì, il regicida – si era stabilito là, a fare l’operaio tessile, in mezzo ad altri anarchici italiani emigrati, partecipando a un’ondata di scioperi che investì la cittadina del New Jersey. Fu da Patterson che un Bresci evidentemente molto connesso apprese prima della dura repressione del movimento dei fasci siciliani, nel 1894, e poi della strage di Milano del 1898, quando il generale Bava Beccaris decise di sparare sulla folla che protestava contro l’aumento del pane, prima di essere insignito di ogni onore da Re Umberto I. L’episodio è fatto raccontare sul bus di Paterson, dai giovani protagonisti di Moonrise Kingdom, leggermente cresciuti, quel tanto che basta per diventare “gli unici anarchici di Paterson”. Jarmush con questo passaggio inserisce Gaetano Bresci nel pantheon dei poeti di Paterson. C’è infatti un modo di spiegare il suo gesto, il suo ritorno, se non attraverso la poesia, la pura poesia di un emigrante che torna dall’America per uccidere un Re sanguinario, incurante delle conseguenze?

«Ho attentato al Capo dello Stato perché è responsabile di tutte le vittime pallide e sanguinanti del sistema che lui rappresenta e fa difendere. Concepii tale disegnamento dopo le sanguinose repressioni avvenute in Sicilia in seguito agli stati d’assedio emanati per decreto reale. E dopo avvenute le altre repressioni del ‘98 ancora più numerose e più barbare, sempre in seguito agli stati d’assedio emanati con decreto reale.»

(Gaetano Bresci subito dopo l’arresto)

Pare che appena rientrato, e avendo studiato il piano in ogni dettaglio, Bresci si allenasse, nelle campagne di Prato, tirando al collo dei fiaschi di bottiglia. I suoi tre tiri sono andati tutti a segno.

…Sometimes I think that I could be a fish….

Il film è nelle sale a Roma da una decina di giorni

1. Questa “ontologia dell’immersione” si trova in un bel libro di un giovane filosofo italiano appena uscito in Francia: E.Coccia, La vie des plantes, Rivage, 2016.