EUROPA

Da Parigi al mondo intero: la lotta in cammino di Sakine, Fidan e Leyla

A cinque anni dall’omicidio delle militanti rivoluzionarie curde Sakine Cansiz, Fidan Doğan e Leyla Şaylemez ad opera della stato turco in 20.000 sfilano in corteo a Parigi. Sakine ‘Sara’ Cansize, fondatrice del Pkk, e le sue giovani compagne sono un simbolo del movimento curdo e della lotta delle donne ad ogni latitudine. Venerdì 19 gennaio saranno ricordate a Roma al Nuovo Cinema Palazzo

6 Gennaio, Parigi. Oltre ventimila persone. Provengono da ogni parte dell’Europa e del mondo. Si incontrano dal mattino presto, nello spiazzo così pieno da togliere il fiato a Gare du Nord. Stanno tutt’insieme vicino alle compagne e ai compagni, alla madre e al fratello di Sara, Sakine Cansiz, ai parenti di Rojbin, Fidan Doğan e Ronahi, Leyla Saylemez per richiedere giustizia, dopo l’emersione della verità, sulle vicende dell’omicidio politico compiuto con la complicità dell’Europa dallo stato turco nei confronti delle tre pioniere del movimento di liberazione curdo, ormai figure simbolo universale della lotta delle donne che saranno ricordate il prossimo venerdì 19 gennaio al Cinema Palazzo di Roma.

 

Il corteo per le strade di Parigi contro la visita di Erdogan

A cinque anni dall’omicidio di Sakine Cansiz, Fidan Doğan e Leyla Saylemez, avvenuto il 9 gennaio 2013 ad opera dei servizi segreti turchi del MIT all’interno del Centro di Informazione del Kurdistan, nel pieno cuore di Parigi, il 6 gennaio nella capitale francese si manifesta la rabbia per la visita di Recep Tayyop Erdogan e si pretende un processo, la verità e la giustizia per l’assassinio delle tre militanti curde. La piazza contesta la visita del Sultano che muove con ogni mezzo e oltre ogni convenzione dei diritti umani una guerra sporca contro il movimento turco, e contro qualsiasi progetto di democrazia e convivenza pacifica tra i popoli. Continuano ad arrivare gli autobus da ogni parte della Francia, della Germania, dell’Austria, della Svizzera, dell’Olanda, dell’Inghilterra. Il corteo cresce. Partecipanti curde e di ogni origine si uniscono ai sindacati, alle organizzazioni delle madri, alle aggruppazioni femministe e LGBTQI, ai principali partiti della sinistra francese e agli oltre 34 tra centri sociali e comitati di solidarietà aderenti.
È chiaro da subito, che non si tratta di una semplice commemorazione ma di un corteo di lotta. I manifestanti in decine di migliaia e si muovono insieme, tra canzoni curde che parlano delle rivoluzioni in corso incoraggiandone future e slogan rivolti alla memoria, che chiedono, nell’immediato, giustizia e l’ammissione di verità. L’andatura ritmata non si ferma mai. Solo si rimane in silenzio quando ci si ferma nella strada in cui sono avvenuti Sakine, Fidanzandomi e Leyla sono state uccise. Qui è stata apposto una targa commemorativa, non solo per non dimenticare l’ingiustizia inaccettabile del triplice assassinio, ma perché, spiega Alexandra Cordebard, parlando a nome delle istituzioni francesi di fronte all’organizzazione delle donne curde e a centinaia di giovani “sia davanti agli occhi di tutte e tutti la lotta per le donne e per l’umanità che le tre militanti hanno portato avanti”.

 

 

Il bisogno di giustizia

Quando la fondatrice del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, Sakine Cansiz, la diplomatica, rappresentante del Congresso Nazionale del Kurdistan, Fidan Dogan e l’attivista del movimento giovanile curdo Leyla Saylemez, sono state assassinate il 9 gennaio 2013 nella sede dell’Ufficio Informazioni del Kurdistan di Parigi si è da subito denunciato il coinvolgimento dei servizi segreti turchi. Il processo si era allora indirizzato nei confronti del presunto infiltrato  del MIT Ömer Güney. L’imputato è morto prima che la sentenza fosse emessa, il 17 dicembre  2016, a causa di una malattia terminale. Come ha spiegato Nursel Kilic, portavoce della Rappresentanza Internazionale del Movimento Internazionale delle Donne Curde, nonostante le promesse dell’allora Ministro degli Interni francese Manuel Valls dopo gli assassini, le autorità locali francesi non hanno mai cercato di arrivare alla completa verità sugli esecutori e i mandanti.
A fornire delle prove, di fronte al silenzio assordante delle istituzioni, a pochi giorni dalla manifestazione di Parigi e a 5 anni dagli omicidi politici, è stato il PKK. Per mezzo della presentazione di documenti che confermano e indicano chiaramente il coinvolgimento di servizi segreti turchi, con l’operazione di vendetta nominata “Sakine Cansiz” le forze speciali guerrigliere delle HPG hanno fatto emergere, diffondendoli all’opinione pubblica in questi giorni, tramite video e immagini, documenti e informazioni ottenute questa estate, dopo la cattura di due agenti turchi di alto rango del MIT.

 

 

I due agenti del MIT si trovavano nell’agosto del 2017 nel nord dell’Iraq, su incarico del Presidente Recep Tayyip Erdogan, con l’intenzione di preparare attentati contro dirigenti del PKK, nella regione autonoma curda. Grazie alle prove fornite dagli interrogatori, con l’analisi dei documenti sequestrati, il PKK è riuscito a fare luce sul triplice assassinio di Parigi. È stato rivelato che l’uomo che ha pianificato il massacro è Sebahattin Asal, che era stato nell’Isola di Imrali agli incontri per le trattative con Ocalan come delegato dallo stato turco. Sebahattin Asal e il Sottosegretario alla Sicurezza Pubblica Muhammed Dervişoğlu erano i principali componenti del comitato addetto alle trattative. Sebahattin Asal è anche l’uomo più fidato e vicino ad Erdoğan, che ha preso gli incarichi più infangati offertigli dal governo dell’AKP. La pianificazione del massacro all’interno delle più segrete relazioni con i ristrettissimi componenti dell’Intelligence Strategica dello Stato turco, svelata dal PKK nei suoi dettagli ed esecutori, mostra come il  dipartimento di Sicurezza si muova al di fuori dello stato di diritto, mimando alle basi qualsiasi dialettica democratica. L’operazione portata avanti dalle forze speciali del PKK è riuscita a rendere noti i responsabili del massacro di Parigi e allo stesso tempo a smascherare ampie parti della rete del MIT nel Vicino Oriente e in Europa, a fare chiarezza sulla futura pianificazione di altri attentati. “Gli Stati europei non fanno abbastanza per proteggere i rifugiati politici sul loro territorio, ma sono preoccupati di mantenere le loro relazioni economiche con la Turchia. Anni dopo, il silenzio del governo francese e dell’Europa” spiega sempre Nursel Kilic, “Appare per le nostre orecchie più assordante che mai.”

Futuro, presente e memoria

Mentre voci e cori si diffondono per le strade fino a riempire Place de la Republique, la battaglia della compagna Sara è già una vittoria. È Joel Dutto, a nome della rete di solidarietà francese con il Kurdistan, a chiedere che il 9 Gennaio sia un giorno speciale di lotta e memoria a livello internazionale. Perché è chiaro come l’eredità, la cultura e la resistenza che la lotta di Sara, Rojbin e Ronahi ha portato nel mondo ha gettato tanto in tutte le quattro parti del Kurdistan come in altre parti del pianeta le basi di un nuovo inizio e una vera e propria filosofia di vita. “Sono donne che danno esempio al mondo e la loro lotta è come la resistenza delle comunità indigene che abitano i nostri paesi dell’America Latina” è stato dichiarato dall’Argentina, pochi giorni dopo la manifestazione del 6 Gennaio, da la linea fundadora de Le Madri di Plaza de Mayo. “La loro lotta sembra invisibile, ma la sua resistenza si fa ogni giorno più forte e comincia a mostrarsi al mondo”.
La lotta di Sara, Rojbin e Ronahi non è stata solo ricordata: nella commemorazione a 5 anni dalla loro uccisione, si è diffusa ed espansa attraversando le città europee di Parigi, Lefkosa, Darmstadt, sino a Roma dove verrà celebrata con diverse iniziative. Si è diffusa ed espansa sino ad arrivare sino a Sydney in Australia, e al Latinoamerica: qui soprattutto le voci di solidarietà si intrecciano in un percorso di memoria che è ricostruzione di una nuovo percorso di lotta comune. Così spiegano dall’Argentina le femministe Abya Yala, in un comunicato firmato da più di cinquanta collettivi di donne e popoli in lotta. “Vogliamo dire che non siete sole, che ci saranno molte Sakine, Fidan, Leyla, che prenderanno la parola per gettare i semi di una vita che non può essere spezzata con l’uso della violenza.” E dal Latinoamerica a Berlino, è sempre il volto di Sara – nel corteo organizzato dalle reti antifasciste tedesche tenutosi il 14 Gennaio – ad apparire accanto a quello di un’altra militante e teorica del socialismo rivoluzionario, Rosa Luxemburg, nel giorno della sua commemorazione. Dal marxismo-leninismo al confederalismo democratico e alla liberazione delle donne.

La lotta in cammino

Torna alla memoria la domanda dell’anziana signora francese, dall’aria assorta e dai grossi occhiali, rimasta tutto il tempo stregata ad osservare il 6 Gennaio a Place de la Republique il ritrovo multitudinario della manifestazione in onore delle tre militanti curde. L’anziana signora è una femminista di lunga data e ha partecipato alla fondazione di molti gruppi di lotta femminile nella capitale francese. Quella Parigi di Luis Michel, che, dopo essere uscita dal carcere, dando la sua vita per la rivoluzione, all’interno dell’esperienza storica della Comune, contribuisce a formare, tra le altre attività, insieme a Elisabeth Dmitrieff, rappresentante del consiglio generale dell’Internazionale, una legione femminile nella resistenza del sessantunesimo battaglione di Montemartre dando vita all’ “Unione delle Donne per la Difesa di Parigi”, istituendo dal 3 Aprile del 1871, insieme ai municipi autonomi, i primi gruppi armati di difesa femminile della storia francese, che resisteranno sino alla fine dell’insurrezione della città. L’anziana signora femminista che abita Parigi chiede se la lotta che hanno portato avanti Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Saylemez, sia la stessa lotta che stanno portando avanti le donne che oggi combattono per la liberazione in Siria e quelle che resistono in Turchia e che si sollevano in Iran. A risponderle affermativamente, con sguardo profondo e animate dalla stessa ragione, quella di essere presenti nella capitale francese quel giorno, da nessun’altra parte eppure con la sensazione di essere ovunque, saranno tre manifestanti, una proveniente dalla Germania, una dall’Italia e una dalla Svezia. La lotta di Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Saylemez, è la lotta di tutte le donne e di tutti gli uomini che si sono opposti e che continuano ad opporsi alla violenza del carcere, alle torture, all’individualismo capitalista, alla gerarchia, al colonialismo razzista, al dominio maschile e ai confini degli Stati e che combattono per una società libera lontano dalla militarismo, dal potere e da ogni tipo di reazionarismo. La battaglia espressa dall’ampia partecipazione al corteo di Parigi e dai legami di amicizia che lo compongono e che lo spostano su un piano di interconnessione è l’attestazione di una lotta universale che parte dalle donne e si trova oggi in cammino per il mondo, segnando un nuovo inizio nella storia.
“Dopo l’uccisione di Sara, ci sono milioni di Sara” ha affermato, Hêlîn Ûmût, componente della direzione del PAJK, il Partito della Liberazione delle Donne del Kurdistan, e ha proseguito: “Sara, per noi, è stata, con la sua vita esemplare, colei che, consapevole di aprire un nuovo orizzonte, ci ha mostrato la strada su cui oggi camminano milioni di persone. Dopo la morte di Sara, vediamo come la forza della sua lotta sia diventata universale.” Crescendo ogni giorno di più, Sara è diventata un modello anche nella Rivoluzione del Nord della Siria e per la liberazione di tutti i popoli. La sua figura ha avuto un effetto nella partecipazione della rivoluzione di donne di ogni provenienza, non solo curde, ma soprattutto arabe e di innumerevoli differenti nazioni. “Heval Sara”, si legge in un comunicato di commemorazione ufficiale divulgato da nome delle Unità di Difesa delle Donne YPJ “è diventata la fonte del Movimento di liberazione delle donne del Kurdistan grazie alla sua determinazione, alla sua fiducia, al suo coraggio, e al suo non arrendersi mai nel raggiungere l’obiettivo di liberazione delle donne, attraverso il suo impegno e il suo metodo.”

Chi ha conosciuto Sara, co-fondatrice del PKK, si stupiva soprattutto della sua autodisciplina, del suo carattere combattivo su ogni aspetto della vita; della sua perseveranza nell’insegnare a non cedere mai un passo di vittoria al sistema nemico, che deve essere conosciuto nel profondo e superato nei metodi, praticando soluzioni per mettere al centro un’autodeterminazione comune e relazionale che porti, al di là dei ruoli stabiliti dal sistema dominane, alla creazione di nuovi modelli decisionali, di nuove responsabilità condivise e di nuovi istituti per una società libera. Dalle lotte in fabbrica, alla fondazione del PKK, alle resistenze in carcere sino all’organizzazione della lotta nella guerriglia, Sara non credeva in rimedi già pronti e artificiali. Come quella volta che, nelle montagne libere del Kurdistan, procuratasi una ferita alla mano, si era rifiutata testardamente di prendere dei farmaci per medicarla. L’essere umano e la comunità umana è capace di trovare da sé, credendo nelle sue capacità autoregolative, la cura e la risposta alle sue malattie. Rifiutando il consiglio di assumere dei medicinali, aveva tenuto il palmo della mano al caldo dell’altra senza preoccuparsi e senza mai congedarsi dalle sue relazioni e attività: in pochi giorni l’enorme ferita che avrebbe, a parere di molte, reso indispensabile un intervento, era andata via quasi del tutto. Chi ha conosciuto personalmente l’energia circolante di Sakine Cansiz veniva colpita dalla sua profonda conoscenza, da una forma speciale di comprensione e attenzione e capacità di amare, dalla saldezza irremovibile dei suoi principi e allo stesso tempo dalla capacità di coniugare nella sua prassi in ogni momento novità e abitudine nella sempre differente ripetizione di atti creativi e innovatori, basati su relazioni di amicizia che non badavano a cerimonie e pregiudizi. La lotta di Sara, dalla resistenza nel carcere di Diyarbakir alle battaglie nelle montagne, sino a quelle in Europa, consisteva in una profonda forma di amore e consapevolezza per la libertà, che, condivisa con le sue compagne e i suoi compagni ha dato il via ad una filosofia e a dei metodi organizzativi a fondamento dell’avanguardia delle donne che oggi sta cambiando le sorti della storia. Il movimento di liberazione delle donne curde, la lotta per la democrazia globale portata oggi avanti dal PKK e dal PAJK, il pensiero e le soluzioni proposte da Abdullah Ocalan, ci spingono a pensare lontano da modelli classici e in termini nuovi anche il senso profondo dell’internazionalismo, specialmente in questo momento segnato da un movimento delle donne su scala planetaria, perché Sakine Cansiz Fidan Doğan e Leyla Saylemez sono tra i volti che oggi lo ispirano e lo compongono.