ROMA

Panel #3, L’informazione ai tempi dell’algoritmo

Sabato 18 maggio, ore 18-20, Nuovo Cinema Palazzo

Intervengono:

Giovanni De Mauro (direttore Internazionale)

Maddalena Oliva (vicedirettrice Il Fatto Quotidiano)

Roberto Ciccarelli (giornalista il manifesto)

Adriano Biondi (vicedirettore fanpage.it)

Valentina Petrini (giornalista La7)

Coordina:

Giansandro Merli (dinamopress)

 

Informazione e digitale

La rete ha moltiplicato le fonti di enunciazione, rendendo ognuno un soggetto attivo nella produzione di notizie e opinioni. Al momento, però, questa apparente “popolarizzazione” dell’informazione non ha prodotto un innalzamento del livello di democrazia. Al contrario sta mostrando il suo lato più oscuro: al sempre più invasivo controllo esercitato dalle piattaforme proprietarie sullo scambio dei dati si unisce la moltiplicazione di nicchie e micro-comunità all’interno degli stessi social network, dove spesso si autoalimenta una spirale di pregiudizi, teorie del complotto e chiusure identitarie. La stessa svolta conservatrice e autoritaria che sta investendo molti paesi nel mondo, così come la crescita di movimenti reazionari in Europa, sembra poggiarsi – in modo non marginale – su una generale trasformazione del senso comune che interroga direttamente il ruolo politico del sistema dell’informazione. La produzione di senso prima controllata e dominata dai tradizionali canali della comunicazione si è frammentata a favore di un’indefinibile miriade di media, portando i grandi gruppi dell’informazione mainstream a perdere il monopolio della costruzione e convalida della “verità”. Quali sfide si aprono in questa situazione per i giornali più tradizionali e per i media nativi digitali? Le questioni della deontologia della professione e della qualità dell’informazione prodotta sono sufficienti a definire uno spazio alternativo ed efficace nell’infosfera?

Informazione e finanziamento pubblico

«La libertà di espressione deve potersi esprimere senza censure. Spetta solo ai lettori sindacare l’esercizio di questa libertà. I giornali e i media dovrebbero stare sul mercato, in modo da poter realizzare la condizione ottimale di essere puri e liberi». Con queste parole è intervenuto a ottobre scorso il premier Giuseppe Conte nella vicenda del taglio al fondo per l’editoria. Una battaglia storica del partito di governo dei 5 Stelle trasformata in decreto dal sottosegretario con delega all’editoria Vito Crimi. Al di là del provvedimento – che dietro la lotta ai cosiddetti “giornaloni” costituisce un duro attacco contro i media cooperativi e no profit, gli unici che beneficiavano del sostegno pubblico – la misura ha aperto un dibattito ben rappresentato dalle parole del primo ministro. Questo fatto si inserisce dentro una serie di trasformazioni epocali nel mondo dell’informazione e del giornalismo. Il crollo verticale delle vendite dei quotidiani negli ultimi 12 anni, cioè dalla comparsa di smartphone e Facebook (con percentuali che oscillano tra il 30 e il 50%). La concentrazione globale dei proventi pubblicitari della rete sugli “over the top”, Facebook e Google (il 75% del totale). La parallela diffusione, spesso organizzata, di notizie senza alcun fondamento utili a riprodurre paure e stigmatizzazioni già presenenti nel senso comune. L’informazione è una merce che al pari di tutte le altre deve stare sul mercato e solo dal mercato essere giudicata oppure è un servizio di pubblica utilità che le istituzioni pubbliche dovrebbero sostenere e implementare? Il mercato rende davvero «puri e liberi»?

Informazione e lavoratori dell’informazione

Negli ultimi anni le figure dei lavoratori dell’informazione si sono moltiplicate. Sia per l’emergere di nuove richieste di produzione di contenuti legati all’online, sia per la deregolamentazione del mercato del lavoro in generale e di questo segmento in maniera particolare. Scuole di giornalismo e tirocini nelle redazioni stanno creando un esercito di precari dell’informazione costretti a oscillare tra lavori mal retribuiti e di scarso prestigio, scrittura di articoli gratuiti “per farsi conoscere”, collaborazioni occasionali o discontinue che non permettono di emergere dalla giungla della precarietà. Dinamiche di questo tipo sono effetto della tendenza del mercato a comprimere il costo del lavoro per massimizzare i profitti. A questa non corrispondono politiche efficaci di protezione dei diritti di questi lavoratori. Così, da un lato i lavoratori dell’informazione sono maggiormente ricattabili e vedono le loro condizioni materiali peggiorare progressivamente, dall’altro l’informazione nel suo complesso perde di qualità e accuratezza. Su cosa bisognerebbe agire con urgenza per tentare di invertire la rotta?