ITALIA

Onde e ondate. Esce il secondo numero di “Dinamoprint”

Dal 10 dicembre nelle librerie il secondo numero della rivista cartacea “Dinamoprint”, dal titolo “L’era delle piattaforme”. Un prodotto editoriale controcorrente che vuole raccontare il mondo “in movimento”. Pubblichiamo in anteprima l’introduzione

Nulla sarà mai più come prima», ci si ripeteva all’inizio della pandemia. E, in effetti, poche cose sono rimaste immutate se si guarda anche solo al mercato del lavoro, ancor più precarizzato e sparigliato dall’impiego massiccio di forme agili e da remoto, oppure al mondo dell’istruzione, stretto fra la necessità di un’educazione inclusiva e l’ingiunzione della didattica a distanza, oppure ancora all’uso di uno spazio pubblico, che diventa sempre più luogo di profilassi e transito invece che di incontro e prossimità.

 

Ma a rimanere come prima è forse la nostra condizione psichica, il nostro desiderio: impossibilitati a giocare un ruolo realmente “attivo” nella lotta alla pandemia, si continua come se la pandemia non ci fosse.

 

Da uno stato di emergenza generale e generalizzato, si è passati a un perenne e fluttuante processo di adattamento, pubblico e privato. Mentre consegniamo questo numero in stampa i casi totali di Covid-19 in tutto il mondo hanno superato quota 50milioni (con oltre un milione di decessi). Se in molti paesi la diffusione epidemica non ha mai subito una vera e propria battuta d’arresto, anche in Italia (40mila morti) – dove sembra esserci stata una sorta di “tregua estiva” – si registra una nuova impennata e l’ingresso in un regime di lockdown differenziali, misure restrittive, ingolfamento delle strutture ospedaliere e affaticamento del personale sanitario.

Niente di tutto ciò sembra più generare choc o sgomento collettivi, come è accaduto nei mesi primaverili. La narrazione collettiva della pandemia si è ribaltata: Confindustria, rappresentanti del potere economico e destre hanno da subito portato avanti una campagna tesa a salvaguardare il profitto della grande impresa contro il diritto alla salute di tutte e tutti. Governo, istituzioni territoriali e una parte della cittadinanza hanno fatto propria questa convinzione, in una sorta di paradossale “trickle down del negazionismo”, un effetto di gocciolamento “dall’alto verso il basso” in cui invece di redistribuire ricchezza si ripartisce assuefazione.

 

Così, progressivamente e sottilmente, muta pure la nostra idea di politica. Come il virus di Covid-19 è stato definito un “nemico invisibile”, anche il piano del conflitto è andato via via smaterializzandosi, parcellizzato in numerose e piccole (microscopiche?) istanze.

 

In Italia, terminata la prima fase di lockdown abbiamo assistito anche a una ripresa delle mobilitazioni “in presenza”. Dalle iniziative a sostegno di Black Lives Matter fino alle proteste di lavoratori e lavoratrici dello spettacolo, dalla disobbedienza civile e gli scioperi per l’emergenza climatica fino alle lotte che hanno attraversato il mondo della scuola, si è verificato il costituirsi di nuove soggettività capaci di scendere in strada in sicurezza, elaborare vertenze inedite, riannodare le fila di oppressioni sistemiche e problematiche strutturali.

Ma il loro impegno rischia di rivelarsi effimero. All’insorgere della seconda impennata dei contagi, i movimenti si sono trovati come irrigiditi nella loro natura corporativistica, particolare. Lo “spettro” di un nuovo lockdown, agitato dal governo per evidenti motivi epidemiologici ma senza aver prima introdotto adeguate misure di sostegno economico e sociale, ha riportato in piazza una rabbia più spontanea e confusa, ambivalente.

Le composizioni di classe sono diventate “scomposizioni”, linee di fuga che solo ora provano faticosamente a ricongiungersi in ulteriori percorsi di lotta e mobilitazione. Mentre scriviamo le aziende farmaceutiche Pfizer, Moderna e AstraZeneca hanno annunciato vaccini con tassi di efficacia superiori al 90%, rinnovando così la fiducia in una veloce soluzione farmacologica. La “cura politica” alla pandemia, però, sembra ancora lontana.

 

La prima uscita di “Dinamoprint” raccontava l’esplosione di tutti questi processi.

 

Nato “sotto il segno della Covid-19”, il numero zero provava ripercorrere il ciclo di lotte e sollevazioni che stava attraversando mezzo mondo – dalle insurrezioni popolari in Cile e in Ecuador alle mobilitazioni dei Gilet Gialli in Francia, dalla rivolta di Hong Kong alle occupazioni di piazza irachene, dalla marea transfemminista globale fino alla presa di parola dei movimenti indigeni in Amazzonia – per concludersi con l’entrata in scena della pandemia, “soggetto imprevisto” della nuova congiuntura politica. Con questo secondo numero si tratta dunque di capire quali sono le mutazioni strutturali che si stanno radicando a livello di comunità sociali e moltitudini. Non solo su un piano materiale ed economico, ma anche dalla prospettiva simbolica della produzione di immaginario.

 

 

Nella prima sezione (“Piattaforme”) portiamo l’analisi dentro gli ambienti e i settori che sembrano accreditarsi come i grandi “vincitori” dell’ondata pandemica, i salvati a scapito di un numero sempre più vasto di sommersi. Amazon, Netflix, Facebook e i colossi multinazionali che si occupano di consegna di cibo a domicilio come Foodora o JustEat hanno non solo aumentato i propri profitti (tra il primo gennaio e il 15 aprile 2020, la ricchezza del Ceo di Amazon Jeff Bezos è aumentata di circa 25 miliardi di dollari), ma stanno anche imponendo una nuova idea di società con nuove linee di esclusione: una “società servile di massa” in cui, chi può permetterselo resta isolato a casa nel comfort, lasciando agli altri il rischio della produzione e circolazione delle merci.

Da un lato, le piattaforme hanno provocato una ristrutturazione generalizzata dei modi della produzione capitalistica: lungo una filiera del valore globale sempre più opaca e spezzettata, la concentrazione proprietaria viene mantenuta attraverso un’aggressiva politica dei prezzi. Dall’altro, esplodono nuove forme della lotta di classe che ovunque nel mondo contestano il potere politico ed economico delle piattaforme, già in atto (come lo sciopero transnazionale dei rider) o a venire (come le cooperative delle piattaforme oppure la richiesta di controllo democratico sulle piattaforme).

 

In questo scenario ci confrontiamo con una nuova visione dell’Intelligenza Artificiale, oltre la falsa alternativa tra il terrore suscitato dal controllo dei dati e la speranza “tecnosoluzionista” di neoliberali entusiasti.

 

Nella seconda sezione (“Mutualismo”) ripercorriamo episodi, storie e contesti in cui, alla voracità predatoria delle logiche del profitto a tutti i costi, si è opposta un’inedita resistenza. Assumendosi il rischio di contraddizioni politiche e reinventandosi un rapporto conflittuale con le istituzioni, esperienze di autorganizzazione, reti sociali, collettivi politici, spazi occupati, nuove soggettività solidali nate dentro la pandemia ribadiscono la priorità del lavoro riproduttivo e di cura contro le dinamiche e logiche capitalistiche.

Dalle economie popolari sudamericane alle brigate di mutuo aiuto sorte in tantissime città e centri italiani (da Cosenza a Bergamo) fino ai servizi informali e di prossimità in Cina si è verificata una “torsione interna” dei normali rapporti di scambio e produzione: milioni di persone hanno costruito reti di condivisione invece di linee di separazione, trovato mezzi inediti per redistribuire la ricchezza al posto di contribuire alla sua concentrazione nelle mani di pochi.

Le pratiche mutualistiche mettono al centro cura e riproduzione sociale spodestando profitto e produzione. Così riflessioni e pratiche dei movimenti femministi ed ecologisti diventano, nel pieno della pandemia, il terreno di sperimentazione di nuove forme di organizzazione politica e sociale, che reinventano lo spazio pubblico e ri-significano relazioni, città e luoghi della condivisione di vita e quotidianità.

Nella terza e ultima sezione (“Serie Tv”) osserviamo come la nuova serialità televisivo-cinematografica stia rappresentando da una parte i contesti urbani, quelle “metropoli-fabbrica” popolate da supereroi e reietti (ben rappresentati dall’universo della Marvel) sempre più terreno di conflitti e contestazioni, dall’altra i corpi che li abitano, anch’essi campo di battaglia di narrazioni e interpretazioni divergenti che corrono sul filo del genere, della razza del colore, come nel caso della recente serie televisiva I May Destroy You.

 

Oltre a essere una forma letteraria o visiva del discorso che destruttura e trasforma le rappresentazioni del mondo, la serialità è anche un modo di produzione economica che fonda i nostri “ritmi esistenziali”, la percezione del tempo come successione di singolarità isolate e divise nel panorama della precarizzazione contemporanea.

 

Al centro della sezione c’è dunque un’esame dei cambiamenti nella fruizione collettiva dell’immaginario, nel passaggio tra cinema e serie tv, tra romanzo e graphic novel.

Attraverso queste pagine osserviamo come sotto il “negazionismo strisciante” o il finto ricatto fra salute e profitto, agiscano vecchi e nuovi rapporti di forza, in perenne conflitto fra loro. E intravvediamo come il lavoro di cura sia poi l’altra faccia del desiderio, il segno che – anche dentro un’ondata pandemica – esista ancora la scommessa di una felicità finalmente condivisa.

 

Per ordinare il secondo numero di “Dinamoprint” e per abbonarsi alla rivista scrivere a dinamoprint@gmail.com