cult

CULT

Nu jeans e na maglietta

Al di là della sua sensazionalistica e superficiale associazione col crimine organizzato, la musica neomelodica nasce tra gli anni Settanta e Ottanta, a cavallo tra il Neapolitan Power di Pino Daniele e le hit di Patrizio e Nino D’Angelo. E affonda le radici in un processo di rilettura della canzone classica dal basso, cioè dalla prospettiva delle classi subalterne

Tu si’ zucchero pe’ mme, doce, doce, doce…tu si’ tutte cose..

Il 14 luglio dell’anno scorso, viene pubblicato su “El País” un articolo dal titolo “Camorra, amor y sintedizadores”, nel quale si parte dalla descrizione del matrimonio tra Tony Colombo e Tina Rispoli (vedova del boss scissionista Gaetano Mckay Marino) – matrimonio noto alle cronache come l’unione definitiva tra il mondo della musica e quello del crimine organizzato – per poi arrivare a suggerire che in buona sostanza la musica napoletana, sia quella classica che quella neomelodica, ha da sempre cantato le gesta dei camorristi. Tanto che, secondo l’autore dell’articolo in questione, una parte della musica neomelodica potrebbe essere considerata affine al gangsta rap americano e al narcocorrido messicano. Su quali basi musicali e culturali si possa parlare di un confronto tra questi generi che sembrano alquanto diversi dalle canzoni di malavita partenopea non è dato, però, sapere.

Tralasciando gli errori alquanto grossolani contenuti nel pezzo e che riguardano la ricostruzione di alcune arcinote vicende camorristiche, occorre fare chiarezza su alcune questioni relative alla galassia neomelodica, brutalmente liquidata come fenomeno culturale quasi del tutto organico al ‘Sistema’. In ordine sparso: la Camorra, sin dalla metà del diciannovesimo secolo, è profondamente radicata nel tessuto socio-economico e politico della città di Napoli, ragion per cui il fatto che nella musica classica napoletana – si pensi a Guapparia – e nella musica neomelodica si parli talvolta anche di malavita, non può né deve sorprenderci. Prima di canzoni come O’ capoclan di Nello Liberti, Comando io di Daniele De Martino, O’ killer di Gianni Vezzosi, c’è stata la famosissima Nu’ Latitante di Tommy Riccio, cantante che dagli anni ’90, a più riprese, si è confrontato con tematiche riguardanti da vicino il mondo criminale (si pensi, in quest’ottica, a Stanza 39, Napule carcerata, Malavita napulitana o al monologo finale di Napule e’ notte).

 

 

Tuttavia, chiamare in causa sempre e comunque la Camorra ogni qual volta si voglia parlare di musica neomelodica, sebbene funzionale a una certa superficiale ed essenzialistica narrazione che risulta, per ovvi motivi, vincente in termini di visibilità massmediatica, è, senza dubbio, fuorviante. Il tema centrale della musica neomelodica è la passione amorosa, vista da una prospettiva strettamente popolare. Non mancano riferimenti a problemi e situazioni riguardanti la vita del sottoproletariato urbano napoletano, ma la descrizione di vicende amorose – dall’innamorato ferito e/o tradito all’amore impossibile, dall’amore coniugale a quello adulterino – domina la stragrande maggioranza dei testi.

Quando vengono pubblicate le intercettazioni di un commando di killer appartenente al famigerato clan dei casalesi e guidato dal boss Giuseppe Setola, l’opinione pubblica si scandalizza e a buon diritto. Si possono sentire uomini spietati che cantano canzoni d’amore – uno dei killer canta a squarciagola Tu si’ zucchero pe’ mme, doce, doce, doce…tu si’ tutte cose… – prima di imbracciare kalashnikov e calibro 38 per fare fuoco contro altri pregiudicati legati al loro clan. Setola e i suoi compari intonano canzoni d’amore e non di malavita, un amore certamente non filtrato attraverso complesse metaforiche poetiche, ma pur sempre d’amore si tratta. Come quello raccontato da Tony Colombo, i cui principali successi, da Sott’e stelle a Ti aspetto all’altare passando per Ammore ammore ammore e Si cagnata, non parlano di intrecci camorristici o di made man, ma solo di sentimenti, di gelosia e di passioni morbose, di famiglia e di amanti. Con questo non si intende dire che non esista alcun tipo di rapporto tra neomelodici e camorristi né che la cultura napoletana delle classi subalterne non abbia mai celebrato il guappo. Alcuni pezzi neomelodici, diventati dei veri e propri tormentoni, sono stati scritti da boss della Camorra. Ciro Ricci – ora noto come Ciro Rigione – e Gigi D’Alessio, tanto per citare i due casi più famosi, hanno cantato canzoni scritte da Luigi Giuliano aka uocchie e brillant, rappresentante dell’aristocrazia camorristica del centro storico. Ciò nonostante, ridurre la musica neomelodica a mero epifenomeno sovrastrutturale del crimine organizzato non ci consente di comprendere le caratteristiche fondamentali di un momento fondamentale della storia culturale di Napoli e del Mezzogiorno.

 

“Il D’Angelo che c’è in me”: Il caschetto d’oro di Nino e le origini del fenomeno neomelodico

La musica neomelodica nasce in un contesto storico-economico e sociale ben definito, a cavallo tra gli anni 70’ e gli anni 80’. In quel periodo, la musica napoletana vive un momento florido, intenso, ricco di sperimentazioni di vario genere. Sperimentazioni che si traducono, ad esempio, nelle alchimie del Neapolitan Power, nel sassofono di James Senese che canta della gente di Bucciano emigrata al Nord per lavorare in fabbrica, nel basso e nei testi di Pino Daniele che presentano una Napoli non oleografica, lontana anni luce da quel “pizza e mandolino” a tutt’oggi punto di partenza di tirate razziste e discorsi sociologici più o meno lombrosiani. Non bisogna poi dimenticare la Nuova Compagnia di Canto Popolare, Edoardo Bennato, E’ Zezi e Nacchere Rosse, artisti e gruppi che, come sottolineato da Daniele Sanzone nel suo Camorra Sound, non puntano al grande pubblico di Sanremo, ma vogliono semplicemente essere artisti e gruppi militanti, in grado di diffondere nuovi valori, nuove prospettive di analisi di quella città complessa che Napoli è da sempre.

 

 

Il Neapolitan Power getta le basi per una vera e propria trasfigurazione della musica classica napoletana, che non viene rigettata in toto, ma piuttosto reinterpretata, rivissuta attraverso schemi musicali non convenzionali che guardano alla cultura internazionale. Quando il giornalista Enzo Biagi chiede a Pino Daniele quale possa essere il rapporto tra la sua musica e la canzone classica napoletana, il cantautore risponde: «Il sentimento. Cambiano le forme, cambiano i modi, però il sentimento è sempre lo stesso». Il sentimento, la passione, non muta. Mutano soltanto le modalità di fare musica. Tant’è vero che Napoli a fine anni ’70 è un fiorire di artisti e gruppi di vario tipo riconducibili alla cosiddetta Vesuwave. Quelli che ruotano attorno a locali storici come l’Happy Rock Cafè di via Bausan o il City Hall Cafè di Corso Vittorio Emanuele. Locali che vedono crescere e affermarsi Edoardo Bennato, Alan Sorrenti, gruppi rock e punk, che si confrontano con la scena underground europea e americana, con le esperienze musicali più disparate.

Anche la musica neomelodica, nonostante la sua lontananza dalle atmosfere talvolta patinate di certi club napoletani, affonda le radici in questo processo di rilettura della canzone classica dal basso, cioè dalla prospettiva delle classi subalterne. Nell’affrancarsi lentamente dal genere della sceneggiata, cantanti come Patrizio e Nino D’Angelo propongono uno stile nuovo, tramite cui dare voce ai sentimenti, alle passioni, alle sofferenze di quel Lumpenproletariat napoletano che tanto faceva paura, nella misura in cui era visto come rappresentante della barbarie preistorica nel cuore della modernità occidentale. Nelle canzoni di questi due artisti vengono espressi in maniera diretta, talvolta ingenua, gli stessi sentimenti che si possono trovare nelle canzoni di Sergio Bruni e di altri grandi della musica classica napoletana.

 

 

L’anno cruciale è, senza dubbio, il 1982, quando due LP segnano la nascita di due stelle: ‘Na sbandata di Patrizio e Nu jeans e na maglietta di Nino D’Angelo. I primi tormentoni neomelodici che spadroneggiano nelle radio libere. E quando Patrizio muore per overdose di eroina nel 1984 – viene ritrovato nel quartiere Barra senza vita, come aveva immaginato in parte in una sua struggente canzone dal titolo Tengo vinte anne – Nino D’Angelo continua a sfornare successi, che non hanno nulla a che fare con la malavita. Personaggi del popolo, uomini e donne che hanno avuto un’adolescenza difficile, figli e figlie di nessuno, scugnizzi che campano alla giornata. Brava gente che cerca di sbancare il lunario con lavori onesti ma spesso malpagati. Periferia persa, hinterland che sa di Harlem e favelas. Di Asse Mediano e passeggiate in scenari urbani desolanti nelle sere assassine di fine settembre. Di taralli e birre a buon mercato. Di estate trascorsa nella giungla di cemento, di esistenze allo sbando. Questi sono i luoghi e i personaggi, le storie raccontate dal primo dei neomelodici.

Da Storia a Sotto e’ stelle e a Luna spiona, il cantante originario di San Pietro a Patierno diventa una star – anche cinematografica –, tanto che il suo repertorio musicale diventa il punto di riferimento per intere generazioni di neomelodici. Non a caso, anche  Tony Colombo qualche anno fa ha interpretato – in modo magistrale, a dire il vero – alcuni successi di Nino D’Angelo. Pochi giorni fa, invece, Liberato, che con i suoi T’e’ scurdata e mme e Nove Maggio, ha scosso dalle fondamenta la musica napoletana, ha reinterpretato un classico di D’Angelo, Stupida Avventura:

e mo ti voglio bene, stupida avventura
E io ci sò carut comm’a nu creature
E te pigliat’ a capa
E te pigliat’ o core
E comm’a na mariola te pigliat’ a mme
Mo nun sò padrone cchiù!
A vita mia a cumanne tu

 

 

Questo brano, tratto dall’album Cose di cuore, è del 1987. La città era in festa per il primo scudetto, ma doveva al tempo stesso difendersi dai soliti attacchi razzisti: «siete i campioni del Nord Africa». La musica neomelodica cominciava a invadere il Sud Italia, dall’hinterland napoletano ai quartieri popolari di Palermo, da Ponticelli allo Zen. Il caschetto biondo di San Pietro a Patierno era ormai una star che cantava l’amore e le passioni, la povertà materiale e spirituale degli umiliati e offesi le cui storie non trovavano posto nelle cronache ufficiali, quasi sempre condite di pregiudizi e luoghi comuni duri a morire. Attraverso la musica neomelodica, dunque, si dava voce alle classi subalterne, a quella plebe che, da sempre socialmente e culturalmente marginalizzata, cercava di presentare una narrazione alternativa a quella asfissiante delle élites economiche e intellettuali.

 

Immagine di copertina: la locandina di Un jeans e una maglietta di Mariano Laurenti