MOVIMENTO

Non c’è un pianeta B: sciopero mondiale contro i cambiamenti climatici

In migliaia di città in tutto il mondo (più di 120 in Italia) oggi si manifesta per chiedere giustizia climatica sull’onda del Climate Strike lanciato da Greta Thunberg. Giovani in tutto il mondo esigono che i governi agiscano in fretta, la sopravvivenza sul pianeta è a rischio.

Oggi è il 15 marzo 2019, giorno del Climate Strike indetto da Fridays For Future il movimento internazionale per la lotta al cambiamento climatico ispirato dalla giovane attivista svedese Greta Thunberg.

Tutto è iniziato a fine agosto 2018 con la volontà di Greta di esprimere in modo radicale la propria protesta contro i governi per la loro mancanza di azione verso quella che è l’emergenza planetaria più grave che stiamo attraversando: il cambiamento climatico. Greta ha iniziato a scioperare ogni giorno davanti al parlamento di Stoccolma e da settembre ogni venerdì. A partire da dicembre 2018 in tantissimi luoghi del mondo migliaia di ragazze e ragazzi hanno iniziato a imitare Greta e a protestare e a scioperare, per chiedere risposte e azioni concrete da parte della politica. L’emergenza climatica è un problema globale che colpisce in modo diversificato ogni continente ma che ha conseguenze che impattano ovunque e la protesta ha assunto ben presto una impressionante dimensione globale, con manifestazioni coordinate e notevoli in tutti gli angoli del pianeta. Non accadeva forse dal movimento contro la guerra in Iraq del 2003, ma a differenza di quel movimento, ora la caratterizzazione giovanile di chi lo anima è più netta e chiara.

Anche in Italia, da gennaio, il movimento si è diffuso rapidamente, grazie anche ai social, e in più di 120 città si manifesterà nella giornata di oggi. I media mainstream se ne sono accorti e all’improvviso hanno “scoperto” il problema del cambiamento climatico. Infatti, a novembre l’IPCC (la commissione di scienziati dell’ONU) ha dichiarato che abbiamo solo 12 anni di tempo per invertire radicalmente rotta e cambiare il nostro modo di produrre energia e di consumarla, altrimenti la temperatura crescerà ben oltre i 1,5 gradi centigradi (limite massimo secondo la scienza) e vaste zone della terra diverranno inospitali. Tuttavia in Italia non è praticamente apparsa la notizia nonostante la gravità e l’importanza del suo contenuto.  Ora invece di Fridays for Future si parla anche da noi, ma cercando di edulcorare il messaggio, focalizzandolo su una narrativa morbida e generalista sui “giovani preoccupati per il proprio futuro”, neutralizzando la radicalità del messaggio stesso e privandolo di un target specifico.  Greta invece non scherza né è ingenua: ha individuato fin da subito il suo target, il governo svedese, ha definito richieste chiare – il taglio del 80% delle emissioni di gas serra entro il 2030 in Europa – e ha scelto una pratica ben precisa e netta, lo sciopero.

Lo sforzo che il movimento si trova a fare nel nostro paese, quindi, è proprio quello di non venire trascinato e racchiuso nella cornice anestetizzante in cui la rappresentazione mediatica mainstream rischia di confinarlo.

Un altro rischio all’orizzonte, sempre nel contesto italiano, è la strumentalizzazione di questi “giovani dalla faccia pulita” per bieche finalità personalistiche ed elettoralistiche da parte della politica istituzionale. Il primo ad essersi mosso in tal senso è stato il neoeletto segretario PD Nicola Zingaretti, che ha dichiarato di dedicare la propria vittoria alle primarie “a Greta Thunberg”. Peccato che non solo sia a capo di un partito sempre ligio ai dettami di Confindustria  e delle lobby dei fossili, ma pure il documento programmatico che lo stesso Zingaretti ha presentato per farsi eleggere è totalmente inadeguato rispetto all’emergenza climatica e dice cose ben diverse dalle richieste che sta facendo Greta.

Un’altra evidente strumentalizzazione è quella della CGIL che, entusiasta del movimento, ha offerto pubblicamente il proprio sostegno, mentre solo un paio di mesi fa manifestava a piazza San Giovanni assieme ai petrolieri delle trivelle, «perché offrono lavoro al paese». Forse è ora e tempo che quello che è tutt’oggi il più grande sindacato italiano decida quale posizione vuole prendere rispetto alla emergenza climatica che viviamo e indirizzi le proprie politiche in modo un po’ più coerente in virtù di quella scelta.

Nonostante la “complessità” qui descritta, il movimento sta crescendo in modo esponenziale coinvolgendo tanti e tante giovani, soprattutto medi e universitari. È un dato di fatto notevole che oggi in centinaia di città del paese si organizzino proteste in piazza in modo assolutamente autorganizzato e decentralizzato. La mancanza di struttura del movimento ha portato a criticità oggettive, incluso il fatto che la notte dell’8 marzo uno dei promotori iniziali abbia cambiato password di accesso a Instagram e Facebook della pagina nazionale di Fridays For Future e abbia iniziato a utilizzarla per finalità proprie. Il resto del movimento ha reagito però in modo maturo e composto scrivendo un comunicato congiunto e successivamente ripristinando un nuovo sito e nuovi account social.

Al netto del risultato della giornata odierna, che si spera dei migliori, rimangono aperti gli scenari post 15M. Riuscirà il movimento a strutturarsi a livello nazionale e internazionale in modo da tutelare la propria dimensione grassroot ma al tempo stesso in modo di evitare spinte centrifughe o scissioni atomistiche? Riuscirà a connettersi in modo sano e osmotico con i movimenti ambientalisti del paese, offrendo loro la possibilità di arricchirli con energie e approcci nuovi e giovani e assorbendo invece conoscenze e strumenti di chi lavora sulla tematica da anni?

È una sfida, ma di sicuro la vicinanza temporale con il grande corteo che invaderà Roma il 23 marzo per dire No alle grandi opere e No alle devastazioni per i cambiamenti climatici, permette di facilitare le connessioni, la cooperazione e fa sperare per il meglio.

Sarà fondamentale che in futuro il movimento Fridays For Future sappia porre questioni concrete e richieste dirette al governo attuale. Infatti la politica energetica del governo gialloverde è perfettamente analoga a quella dei governi precedenti e del tutto inadeguata per riuscire a centrare gli obiettivi che la scienza ci richiede. È stato pubblicato a Gennaio il Pniec, il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima, prodotto congiuntamente da Mise, MIT e Ministero dell’Ambiente. Tale piano deve definire scelte e investimenti del paese in tema di Energia e Clima per i prossimi 10 anni. Come ha fatto notare Greenpeace, tale piano ricalca perfettamente la Strategia Energetica Nazionale di Calenda, fondata sul desiderio di rendere l’Italia un hub del gas, puntando sui fossili e senza investimenti significativi nel settore del trasporto pubblico e nelle rinnovabili. Evidentemente il servilismo verso le lobby dei fossili, potenti anche in Italia come altrove, è uno dei tanti elementi di continuità tra questo governo e i precedenti.

Nel frattempo però i cambiamenti climatici non sono più un elemento negabile, non possono essere derubricati allo spettro agitato dalle cassandre dell’ambientalismo, come spesso gli stessi governi italiani e mondiali hanno dichiarato in questi ultimi 20 anni. Nel 2019 il fatto che il clima stia drammaticamente cambiando per effetto del riscaldamento globale è un dato oggettivo e concreto che sta colpendo anche il nostro paese, come il disastro nelle montagne bellunesi a ottobre scorso ha dimostrato.

Come dice l’hashtag del 23 marzo, #Siamoancoraintempo ma bisogna agire in fretta, perché non c’è un pianeta B su cui migrare quando avremo devastato la Terra.