MONDO
Ni olvido ni perdòn: 30mila ragioni per lottare ancora

Il 24 marzo ricorre l’anniversario del golpe militare argentino del 1976: cogliamo l’occasione per proporre qui una intervista a Nora Cortiñas, delle Madres de Plaza de Mayo-Linea Fundadora, a cura di Erica Porris e Julia de Titto, pubblicata su notas.org.ar.
Il 24 marzo continua ad essere una giornata di lotta per la giustizia sociale, contro i crimini della dittatura e le impunità del governo militare e dei suoi complici. Anche quest’anno sono state decine le manifestazioni in tutta l’Argentina per ribadire che i 30.000 desaparecidos vivono nelle lotte che rivendicano memoria e giustizia.
Cogliamo inoltre l’occasione per presentare il nuovo progetto editoriale di informazione indipendente notas.org.ar – periodismo popular, da cui abbiamo tratto questa intervista, realizzata alla vigilia del corteo del 24 marzo 2014 a Nora Cortiñas delle Madres de Plaza de Mayo – Linea Fundadora
Co-fondatrice delle Madres de Plaza de Mayo – Línea Fundadora, referente indiscussa delle lotte per i diritti umani in Argentina, Nora Morales de Cortiñas, “Norita”, è un simbolo del movimento. Da quel 15 aprile del 1977 che ha cambiato la sua vita per sempre, Norita ha abbandonato la sua routine familiare e il suo ruolo di moglie e di sarta per scendere nelle piazze. Quella mattina, come accadde a tante altre donne, su figlio Gustavo (24 anni, militante della Juventud Peronista nella villa 31 e lavoratore dell’INDEC) uscì per andare a lavorare e non tornò mai più. Nora iniziò la sua ricerca insieme ad altre, incarnando quella frase fondante delle Madres pronunciata da Azucena Villaflor: “Tutte per tutte e tutti sono figli nostri”. Da allora, Nora ha deciso di dedicare la vita alla lotta collettiva.
Nel suo cammino e nel suo impegno militante, Nora rappresenta il prototipo di quel che Allende ha chiamato “vecchi-giovani”, ovvero coloro che dedicano la loro vita alle lotte in difesa degli oppressi, in contrapposizione con i “giovani vecchi”, indifferenti al dolore altrui. Contagiosa con il suo entusiasmo e la sua gioventù, nonostante lo scorso sabato 22 marzo abbia compiuto 84 anni. È difficile non incontrarla in ogni giornata di lotta, con il suo fazzoletto bianco, sprizzando solidarietà e impegno militante. Nella Patagonia ribelle fino ai caldi territori del Chaco e di Formosa che reclamano con forza il diritto alla terra per i popoli originari, nelle manifestazioni contro le mega-miniere a cielo aperto, con il suo fazzoletto verde mentre rivendica il diritto all’autodeterminazione delle donne, nelle lotte in sostegno delle cause dei paesi fratelli: in tutto questo Nora è sempre presente.
Questo gigante di meno di un metro e mezzo che è un esempio di lotta, di dignità, di continuità e di amore, afferma che “questo 24 marzo, forse non sarà come pensavamo qualche anno fa, perché siamo andati avanti nelle lotte e abbiamo raggiunto risultati significativi”. Tra questi, Norita sottolinea l’importanza dei processi sui genocidi “che hanno il valore di avere le testimonianze delle vittime del terrorismo di Stato, che hanno il coraggio e la solidarietà di coloro con i quali hanno vissuto questo terribile inferno, oltre agli avvocati che li difendono in maniera irreprensibile, e anche alcuni giudici, pochi, che hanno l’idea di arrivare a condannare questi crimini commessi durante la dittatura”.
Cosa rappresenta il 24 marzo per il popolo argentino e cosa significa commemorarlo con mobilitazioni in tutto il Paese?
Ricordare questa data significa riportare alla vita e alla storia migliaia e migliaia di detenuti desaparecidos, e centinaia di giovani che furono vittime di appropriazione illegittima e non conoscono la loro vera identità. Scendiamo in piazza per ripudiare questa dittatura civico-militare-ecclesiastica, perché tutto il popolo possa sapere che noi non dimentichiamo, che continuiamo a reclamare verità e giustizia: tutta la verità e tutta la giustizia. E vuol dire anche mostrare che la lotta di quelli che non ci sono più, o che lottarono e furono imprigionati e mandati in esilio, fu e continua ad essere una lotta per l’uguaglianza. Per le migliaia e i milioni di giovani a cui manca tutto ciò che sognano e che hanno le necessità, come per tutti gli esseri umani, di studiare, lavorare, e godere di un proprio spazio di possibilità. Noi non siamo estranei a ciò che succede oggi, stiamo attraversando una fase di forte criminalizzazione della protesta, un caso molto paradigmatico è quello dei lavoratori petroliferi condannati attraverso la legge antiterrorismo, una legge che ripudiamo, e di cui chiediamo quotidianamente l’abrogazione, così come facciamo per quanto riguarda tante altre leggi ingiuste. Abbiamo ottenuto sì dei risultati, ma allo stesso tempo dobbiamo continuare a lottare, poiché tra una vittoria e l’altra accadono molto spesso attacchi contro di noi come vediamo in molti atteggiamenti da parte dello Stato. Ad esempio, è gravissima la designazione ai vertici dell’esercito di un repressore, César Milani, complice del terrorismo di Stato, la cui partecipazione a casi di tortura e sparizioni è comprovata.
Quali altre questioni relative alle violazioni dei diritti umani faranno parte delle rivendicazioni nelle piazze di questo 24 marzo 2014?
Portiamo avanti la lotta per denunciare le imprese a cui sono stati ceduti terreni che appartengono alle popolazioni indigene, le cui lotte vengono represse in maniera pesantissima, i mapuches, i qom, che subiscono continue vessazioni perché reclamano le loro terre ancestrali mentre si contano innumerevoli morti tra gli appartenenti a queste comunità. Chiediamo inoltre un audit sul debito, sia per smettere di pagare il debito sia perché ci venga restituito ciò che abbiamo pagato e non era dovuto.
-Tornando a quei primi anni di lotta, cosa hanno significato per voi, queste prime manifestazioni del giovedì e gli inizi del percorso delle Madres?
Quando iniziammo e fino al giorno d’oggi sento qualcosa di viscerale, l’ho sentito dalla prima volta in cui ho partecipato, e non fu pensato dall’inizio con una visione politica. È politico perché è per ragioni politiche ci hanno portato via i nostri figlie e le nostre figlie, ma la nostra azione fu spontanea e viscerale, e continua ad esserlo in un certo senso per me. Continuo a sperare e spingere perché mi dicano che cosa accadde a mio figlio e agli altri 30 mila desaparecidos. Continuo ad esigere la stessa cosa, e non accetto compromessi.
Cosa è cambiato dalla prima manifestazione fino ad oggi?
Nelle prime manifestazioni, eravamo tutti partiti politici di sinistra, organizzazioni sociali, collettivi studenteschi, che apportavano tutto il loro entusiasmo, erano giovani che ci sostenevano e che oggi continuano a sostenerci. Oggi la politica è un po’ distorta, poiché alcuni hanno ceduto. Molti attivisti delle organizzazioni per i diritti umani hanno optato per la scelta di internità ai partiti e un atteggiamento di ossequio rispetto governo di turno, potrebbe essere questo o anche un altro. Ciò indebolisce la lotta, ma non può oscurare la lotta di un intero popolo. Domani scenderemo tutti nelle piazze, ognuno sceglierà il luogo che più lo rappresenta, ma senza rancore né odio contro coloro che la pensano diversamente. Ho imparato, durante questi anni, che è inutile che ci si faccia il sangue amaro se qualcuno cede, poiché si assumono atteggiamenti da scambio di figurine, ti dò qualcosa in cambio e tu ti conformi. Io non sono per il compromesso in cambio di qualcosa, questo è ciò che voglio affermare. Manifesteremo, ognuno col cartello su cui riporta le proprie rivendicazioni. Voglio che nelle piazze ci si rispetti.
Dopo tutti questi anni di lotta, sapreste identificare momenti di svolta decisiva nella lotta per processare e condannare i responsabili dei genocidi?
Le sentenze dei primi processi hanno dimostrato che è possibile fare processi ai responsabili se c’è la volontà politica. Ciò che fu molto problematico furono le leggi del Punto Final y Obediencia debida e gli indulti. Ma anche tutto ciò che abbiamo ottenuto è stato decisivo. Non abbiamo vinto, poiché ottenere una vittoria significherebbe abbracciare i nostri figli che ci hanno portato via, però certamente abbiamo ottenuto delle risposte importanti con la lotta. In ogni situazione in cui abbiamo ottenuto qualcosa, abbiamo sentito che il nostro cammino non è perduto se continuiamo a lottare. E quando qualcosa non va bene, quando prendiamo una batosta, pensiamo non dobbiamo arrenderci perché ne hanno bisogno i nostri figli, le nostre figlie, i desaparecidos, coloro che furono imprigionati, gli esiliati e il popolo tutto. E noi non ci arrendiamo finchè i giovani ci continuano a sostenere, perché questa è la nostra forza.
Interivista realizzata da Erica Porris e Julia de Titto per notas.org.ar, traduzione a cura della redazione di dinamopress
Il 24 marzodel 1977, nel primo anniversario del golpe militare, il giornalista e militante Rodolfo Walsh scrisse la famosa “Lettera aperta di uno scrittore alla giunta militare”, in cui denunciò le atrocità commesse, le violazioni dei diritti umani e il piano economico neoliberale imposto dalla dittatura. Il giorno successivo alla pubblicazione Rodolfo Walsh fu sequestrato e desaparecido. Proponiamo qui il video in cui viene letto il testo della Lettera aperta: