ROMA

Di mura, monumenti, decoro e ri-scrittura della storia. «Ciao Anto’»

Il Comune di Roma ha approfittato della quarantena per far cancellare una storica scritta sulle mure aureliane nel quartiere romano di San Lorenz. Due parole per ricordare un compagno morto di lavoro che davano un nuovo senso a quel reperto. Perché la storia si scrive tutti i giorni

A dispetto di quanto si pensi comunemente, non è facile definire cosa sia un monumento e soprattutto cosa significhi tutelarlo o, dall’altra parte, identificare le azioni che lo deturpano, lo rovinano, lo offendono.

Jacques Le Goff sosteneva che la memoria collettiva, così come la storia, si applica su due tipi di materiali: i monumenti e i documenti. Se si risale alle origini filologiche del termine, per monumento si indica tutto ciò che può riguardare il passato, perpetuarne il ricordo. In altri termini, il monumento è un lascito alla memoria collettiva, fa parte dei processi di trasformazione dei luoghi in cui risiede, muta nel tempo e con il cambiamento dello spazio. Molti studiosi si sono profusi in spiegazioni e definizioni di modelli su cosa sia un monumento e su quali siano i metodi migliori per preservarlo. La maggior parte è arrivata però alla conclusione che, se si vuole far morire, scomparire un oggetto del passato, bisogna paradossalmente trattarlo come monumento da preservare, strapparlo dalla processualità storica del luogo in cui risiede, recintarlo, isolarlo.

Soprattutto in una città come Roma, che si struttura da secoli su discontinuità urbanistiche ed espansioni a macchia d’olio, separare le tracce del passato che in ogni dove, dal centro fino alle varie “periferie” della città, affiorano sul territorio significa sottrarli alla pubblica utilità, renderli indecifrabili ai più, invisibili anche se al centro della quotidianità di ognuno. Da qui risulta davvero molto più complicato di quanto l’Ufficio decoro del comune di Roma e i retakers ci vogliano far intendere, capire come far vivere, mantenere vive le vestigia che non affiorano da un passato mitico e assoluto, ma che vivono all’interno della storia della città, della sua evoluzione in un presente che non è astorico. Ancora più complesso è definire i criteri di valutazione su cosa deturpa o rovina un oggetto del passato. Perché decidere di cancellare la scritta di saluto ad Antonio, un ragazzo morto sul lavoro e di precarietà, che i suoi compagni e compagne avevano apposto più di dieci anni fa su un tratto delle Mura aureliane nel quartiere di San Lorenzo? Quale insopportabile fastidio ha spinto, tra l’altro in un periodo complesso come questo, l’ufficio comunale a reputare urgente cancellare una scritta che ormai faceva parte della storia del quartiere e che, in un certo senso, rendeva meno invisibile per tanti e tante quel tratto di mura? A testimoniare la sua storicità erano gli strati di vernice, il ripetuto gesto di cura dei colpi di pennello che di anno in anno l’hanno rinnovata, una pratica di memoria attiva, calda, con un suo valore autentico e vivo.

Una provocazione, ma neanche troppo, perché una scritta con un preciso significato e valore all’interno di un quartiere con una sua storia, dovrebbe danneggiare maggiormente un tratto delle Mura aureliane (per di più ampiamente restaurate e tamponate nel corso del tempo) che la continua esposizione ai fumi delle patatine fritte delle mura serviane all’interno di Termini? (per non parlare dei crolli alla prima pioggia dovuti a carenze di manutenzione). O chissà se gli amanti del decoro ritengano opportuno demolire nel tratto adiacente a via Salaria quella parte di mura dove è ben visibile una latrina di età medievale, a testimonianza di uno dei tanti usi che rendono queste mura un palinsesto straordinario in grado di incorporare le storie della città?

Andreina Ricci sostiene, a ragione, che gli oggetti del passato che incontriamo anche non volendo, camminando per la città devono parlare e non tanto per “dovere di memoria” ma perché possano riacquistare un senso che li faccia riaffiorare dall’opacità in cui sono stati inseriti.

Ecco, la scritta a San Lorenzo non deturpava un monumento ma offriva un’altra biografia, tra le mille, a quel tratto di mura. La scritta faceva parlare le mura, le rendeva visibili, parte integrante del quartiere e di una memoria collettiva. A chi addurrà come motivazione la difesa dalla vandalizzazione del patrimonio storico-culturale bisognerà rispondere che una scritta che fa parte della memoria collettiva del quartiere è già parte integrante del patrimonio storico-culturale.

Del resto, le mura antiche sono state spesso punto di riferimento per riconnettere il tessuto urbano, sono traccia materiale e nello stesso tempo intangibile della memoria. Il circuito delle mura ha da sempre costituito l’aspetto visibile, la forma attraverso cui ogni città viene raffigurata divenendone quasi un simbolo rappresentativo. Per di più, per loro stessa natura e costituzione, in una città come Roma, le mura sono oggetti polisemici e multifunzionali. Per molto tempo le strutture murarie più antiche non hanno avuto la funzione di difendere la città. Soprattutto dal periodo imperiale in poi, i resti delle mura serviane che facevano parte del tessuto urbano avevano la funzione di dispositivo di comunicazione, di mezzo simbolico e cultuale per mostrare la potenza e la complessità della città. Così come i lunghi tratti della Mura Aureliane dal 275 d. C sono state testimoni e parte integrante dello sviluppo storico di Roma, segnando pagine importanti dalla storia della città. Fossero gli assedi durante la guerra greco-gotica o, in tempi più recenti, la breccia di Porta Pia o le battaglie a Porta San Paolo nel settembre 1943 e nel luglio 1960. A chi avesse il desiderio di percorrere tutte le mura in un sol giorno, potrebbe su un solo tracciato imparare le infinite storie che ne tengono insieme i mattoni. E mentre all’intorno si rivelano i diversi scenari che offrono i quartieri sorti in modi e tempi diversi da un lato all’altro, è possibile leggere sulle mura le loro storie grazie agli stemmi papali incastonati in occasione della nascita del quartiere, per i cartelli stradali rimasti appesi dagli anni ’90, quando queste si confondevano con le mura dei palazzi.

A riprova del fatto che le mura sono ancora vive e non solo per il loro valore memoriale (antico o recente che sia), sta l’evidenza che proprio a San Lorenzo in alcuni tratti esse sono propriamente abitate: come è norma nella storia della città, le strutture più antiche sono state la base su cui si sono prodotte le continue stratificazioni della Roma attuale, che nel suo sviluppo ha costantemente inglobato, interpolato e rimaneggiato l’eredità del passato. Un altro famoso esempio da questo punto di vista sono i suoi acquedotti, le cui pareti fino agli anni ’80 del secolo scorso sono state utilizzate per appoggiarci le abitazioni di fortuna di molte borgate romane, come in parte si può ancora notare percorrendo il Mandrione.

La città insomma non ha mai cessato di riutilizzare i suoi materiali, concreti e simbolici, per continuare a costruirsi, tanto nella sua struttura fisica che nei suoi significati sociali.

Dunque, per difendere davvero gli oggetti, le tracce che affiorano dal passato ma che fanno parte del presente e della vita della città bisogna difenderne la storia, le tante storie delle donne e degli uomini che quei luoghi li hanno attraversati e che ancora oggi attraversano. La scritta per Antonio a San Lorenzo fa parte di quella storia. Cancellandola non si è difeso un monumento, né tutelato la sua integrità, si è soltanto strappato alle mura un pezzo della loro storia.