ITALIA

Multe a No Tav per violazione di misure anti-Covid. «Un atto intimidatorio»

Centinaia di sanzioni amministrative hanno raggiunto militanti contro l’alta velocità in Valsusa nei giorni scorsi. Secondo Livio Pepino, è stata utilizzata una norma dall’applicazione «altamente discrezionale»

Due pesi e due misure: un principio che, per quanto riguarda le normative anti-Covid, in questi ultimi mesi sembra essere applicato sempre più spesso. Lo abbiamo osservato, per esempio, in occasione di alcuni rave party che sono stati organizzati sul territorio italiano, come quello del febbraio scorso sulla darsena milanese oppure quello a Tavolaia (Pisa) a luglio, per i quali esponenti istituzionali e politici hanno chiesto a gran voce l’apertura di inchieste per “epidemia colposa”, mentre magari negli stessi giorni avvenivano altri grandi raduni di massa senza precauzione, come le celebrazioni per la vittoria dell’Europeo di calcio.

È quanto accaduto, passando però dalle richieste alle azioni giudiziarie concrete, anche per centinaia di militanti No Tav, che si sono visti recapitare verbali da 400 euro in seguito alla partecipazione a mobilitazioni e iniziative di piazza.

Le infrazioni rinvenute hanno a che fare con le disposizioni in materia di salute e prevenzione sanitaria: in particolare, gli investigatori della Digos guidati da Carlo Ambra (nominato a capo del comparto sabaudo il 2 ottobre del 2017) contestano alle attiviste e agli attivisti di aver dato vita a manifestazioni “itineranti” e non stanziali, come previsto dalle normative anti-Covid in quel momento (le multe si riferiscono sistematicamente a tutte le azioni compiute in Valsusa da dicembre dell’anno scorso nonché al corteo del Primo Maggio).

Ma, anche in questo caso, viene in mente come nessun provvedimento sia stato intrapreso per i festeggiamenti dello scudetto dell’Inter, che si svolgevano a Milano esattamente nel medesimo periodo (2 maggio). «Misure come queste, che distinguono fra manifestazioni stanziali e itineranti, sono destinate fin dall’inizio ad avere un’applicazione limitata e altamente discrezionale», afferma l’ex-magistrato direttore di Edizioni Gruppo Abele Livio Pepino. «Il rischio, cioè, è che si verifichi una disparità di trattamento inaccettabile».

Va peraltro rilevato che le multe non arrivano in seguito a fermi e accertamenti svolti durante le manifestazioni e non sono state consegnate al momento dell’infrazione, bensì tramite identificazione di militanti già noti alle forze dell’ordine riconosciuti sul posto o a mezzo video.

Non è da escludersi dunque che il procedimento si ripeterà anche per mobilitazioni successive. «Si tratta di un provvedimento molto indeterminato», aggiunge Pepino. «Una tale indeterminatezza lascia spazio a una forte arbitrarietà interpretativa e attenua quindi la certezza applicativa della disposizione. Tutti elementi che possono alimentare strumentalizzazioni e atteggiamenti persecutori nei confronti di quanti sono oggetto di attenzione giudiziaria per altri motivi».

Circostanze che, per quanto riguarda il movimento No Tav, non sarebbero certo sorprendenti: è stato fatto notare da più parti come, nel corso degli anni, nei confronti di chi si è impegnato nella lotta contro l’alta velocità in Valsusa siano stati impiegati strumenti giudiziari spesso sproporzionati o misure eccezionali.

Uno studio condotto l’anno scorso da Alessandro Senaldi, ricercatore presso l’Università di Bologna e autore del libro Cattivi e primitivi. Il movimento No Tav tra discorso pubblico, controllo e pratiche di sottrazione (Ombre corte, 2016), rileva infatti numerose criticità: innanzitutto, una «sovrarappresentazione degli agenti di pubblica sicurezza» durante tutte le fasi processuali che coinvolgono militanti No Tav; a seguire, un «sovradimensionamento dei fatti di reato», tale per cui le singole fattispecie vengono il più delle volte ingigantite (e un “danneggiamento” viene trasformato in “terrorismo”) e le aggravanti applicate nella quasi totalità dei casi; infine, c’è una rapidità inconsueta sia nello svolgimento delle indagini preliminari che nella durata dei processi (le prime che impiegano, per il campione esaminato, 126 giorni in meno della media nazionale, i secondi che sono invece 2,5 volte più veloci del normale).

A questo si aggiunge poi – come annota Pepino – «l’utilizzo in modo massiccio di misure previste per motivazioni diverse dalle manifestazioni politiche, come il divieto di spostarsi in comuni diversi da quello di residenza, che sono state forzate ai fini di una repressione del movimento».

Il dubbio è dunque che anche nel caso delle multe per violazione delle norme anti-Covid ci si trovi davanti a un caso di questo tipo. «In situazioni che sono ingestibili con le misure del diritto penale o amministrativo di stampo repressivo, ecco che si esalta il potere di colpire indiscriminatamente», conclude Pepino. «Sanzioni come queste sono meno penetranti e invasive delle “classiche” sanzioni penali ma, soprattutto se ripetute nel tempo, possiedono una capacità intimidatoria piuttosto forte. La difesa peraltro non è una passeggiata: fare opposizione può risultare spesso molto costoso».

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