Missione Bersani

Dichiarare ineleggibile il giaguaro, che pessima idea!

La tattica, in politica, ha le sue ragioni. Detto altrimenti: le stronzate si pagano. Bersani ha condotto una campagna elettorale per metafore crozziane e con un caposaldo: governare insieme a Monti e al centro tecno-cattolico. Un po’ per conformarsi all’Europa, un po’ in eredità del compromesso storico berlingueriano –la maggiore disgrazia della sinistra italiana, essendo il probo Enrico addirittura più dannoso del corrotto Bettino. Quel governare con il 51% come se si avesse il 49% era una citazione precisa del rifiuto post-cileno di accontentarsi della maggioranza, pur non essendoci in Italia nessun Pinochet in caserma. Archeologia? Forse per i giovani elettori (che a volte peccano di spensieratezza storica, anche se di quegli anni è meglio ricordarsi «Quaderni rossi» e Velvet Underground, autoriduzioni e Doors piuttosto che Togliatti e Berlinguer), ma non quelli più attempati e dediti alla rimozione, tanto meno per il gruppo dirigente del Pd, la cui ottusa ripetitività strategica ne fa elefanti più che volpi. Così Bersani ha continuato a correre dietro a un centro cattolico che ormai esisteva soltanto come corrente interna del Pd (segnatamente in area renziana), mentre si è dissolto con il collasso di Curia romana e Cei, le dimissioni di Ratzinger e la sovrana indifferenza alle vicende italiane di papa Francesco. Un occhio oltretevere bisogna sempre darlo, ma, appunto, sarebbe meglio capirci qualcosa invece di ripetere gli schemi degli anni ’50: per esempio, vedere negli incontri di Todi il futuro della politica italiana, quando trattavasi di un modesto flop. Sognare Riccardi sindaco di Roma e Passera pilastro della ripresa economica. Are we talkin ‘about a Revolution, now? Ma no, spieghiamo solo come il Pd ha perso 10 punti in 4 mesi. Miseria tattica, neppure carenza di strategia.

Certo, dietro l’errore di non aver visto l’insofferenza popolare per l’austerità economica (ah, nostalgia canaglia per Berlinguer-Lama 1977) e l’arrogante incompetenza bocconiana, l’essere rimasti con il cerino in mano del sostegno al governo dei tecnici dopo il repentino quanto prevedibile disimpegno berlusconiano, l’aver obbedito a Napolitano nel correre dietro al vanesio e sprovveduto Monti entrato in lizza per conto suo e di quattro relitti della defunta partitocrazia, dietro tutto questo c’è un cambiamento strategico effettivo. Cioè la scomparsa del centro, nel suo duplice aspetto di ideologia cattolico-solidaristica e di fattore chiave per il successo elettorale in un sistema multipartitico o bipolare. In Italia il centro era sopravvissuto al collasso del modello renano e alla distruzione neoliberista dello Stato sociale, lo era grazie alla residua azione della Chiesa che se ne era servita, anche dopo il crollo della Democrazia cristiana nel 1992, per esercitare funzioni di freno e di ricatto. La crisi drammatica del Vaticano ha di colpo tolto questo appoggio, facendo precipitare il già logorato sistema dei partiti che si reggeva sulla convergenza tendenziale al centro (malgrado le apparenze di uno sfrenato bipolarismo). Adesso –e in questo l’Italia è un teatro politico sperimentale, l’ha esemplificato il gesto inaudito dell’abdicazione di Benedetto XVI– lo Stato dei partiti si risolve in populismi concorrenti, dove a quello tradizionale di destra si è aggiunto il populismo di centro (o estremismo di centro) del M5s. E il populismo di sinistra? Assente, né populismo né socialdemocrazia, SILENCIO come nel finale di Mulholland Drive.

Ma perché ammorbarci con faccende di febbraio, ora che la primavera sboccia? Torniamo alla tattica e vediamo come ha svoltato Bersani, lasciando cadere di scatto ogni alleanza con Monti e prendendo atto del nuovo scenario determinato dal successo di Grillo e dalla scomparsa del centro? Ha scelto per il suo incauto scouting, nell’eterogenea piattaforma pentastellata, i temi più innocui e demagogici (corruzione, sprechi della politica, ineleggibilità di Berlusconi), scartando accuratamente quelli che avrebbero imposto una frattura con il programma Pd e avrebbero indebolito il suo ruolo nei confronti di Sel e dei renziani: per esempio il reddito di cittadinanza e la questione Tav. Peccato, proprio quelli che avrebbero offerto una sponda a una svolta politica reale e magari pure favorito la prossima consultazione autunnale, che non si muoverà proprio in una logica di convergenza moderata al centro. Ritoccare (con qualche pavidità) l’immondo ma economicamente insignificante peso dei costi della politica, condurre una battaglia per liquidare Berlusconi con un cavillo legale (una legge sacrosanta, disapplicata nell’indifferenza generale per 50 anni, diventa tale) invece di rompere lo schema bi-partisan dell’austerità sfidando l’Europa sul fiscal compact e il pareggio di bilancio costituzionalizzato, invece di sconvolgere l’ansimante sistema di tutele fordiste con l’introduzione di un reddito universale di cittadinanza, significa ripetere la cecità tattica degli ultimi mesi cambiandone semplicemente il segno. E un’overdose di Saviano, per di più. Con il pericolo di trascinarsi dietro nel «voto utile» tutti i frammenti di sinistra radicali sopravvissuti allo tsunami grillino e di soffocare gli impulsi di riforma che coesistono nel M5s con giustizialismo, ossessioni patafisiche e istinti d’ordine.

Bersani tirerà in lungo sperando di restaurare una rappresentanza ormai alla canna del gas, rilancia perfino una Superbicamerale costituente a presidenza Alfano (sic), ma finirà (riecco la tattica) a sbattere contro un muro. Con gli applausi di dalemiani e renziani, con il governo di scopo ovvero inciucio pronto dietro l’angolo per eseguire gli ordini della Bce. Speriamo che i movimenti, cui si aprono spazi non esigui nel sopravveniente disordine, sappiano sottrarsi a rovinose scorciatoie e a fronti comuni nella jurassica battaglia dei dinosauri, a rischio di realizzare le visioni apocalittiche di Casaleggio, Nostradamus e Malachia. Campagne sul reddito universale di cittadinanza, sul welfare del comune, sull’organizzazione autonoma orizzontale delle figure del precariato e sui diritti civili in primo luogo dei migranti sono la sola forma efficace di intervento nella crisi economica e politica e perfino nelle traversie elettorali.