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OPINIONI

Milei, l’ultradestra che accelera: Miguel Mellino dialoga con Diego Sztulwark – prima parte

Dialogo di Miguel Mellino con Diego Sztulwark. Diego Sztulwark è da tempo impegnato nell’inchiesta politica militante in Argentina. Coordina gruppi di studio sul pensiero politico e sulla filosofia. Collabora regolarmente con Lobo Suelto ed è autore di numerosi articoli e libri di filosofia politica e analisi sociale. È stato membro del Colectivo Situaciones ed è editore di Tinta Limón Ediciones

Qualche giorno fa Milei ha aperto ufficialmente l’anno parlamentare nel congresso. Non interessa tanto la cerimonia in sé quanto il suo discorso, ancora una volta piuttosto aggressivo, intransigente, quasi squadrista, poco “politico” si potrebbe dire, se per politico intendiamo la ricerca o negoziazione di un qualche “consenso egemonico”. Un discorso ancora una volta destituente, si potrebbe dire, ma tutto sommato prevedibile. Dopo la bocciatura della legge omnibus, non rallenta, torna sull’offensiva, anzi accelera, come tu hai scritto…

Sì, Milei ha ribadito il suo programma, ma questa volta ha accentuato l’importanza della velocità nella sua implementazione. Mi sembra importante sottolineare questo aspetto. Nelle sue costanti teatralizzazioni, Milei tira fuori dei concetti che mostrano sempre di più l’essenza di ciò che rappresenta, la sua visione delle cose. Non nasconde mai nulla. È diretto. Questa volta ha enfatizzato l’importanza e la necessità dell’accelerazione nel suo programma di governo. Accelerare per Milei significa superare gli ostacoli dell’essere una minoranza politica in parlamento, di non poter contare sull’obbedienza dei giudici, che rispondono ancora a Macri, di non avere il sostegno dei governatori e dei sindaci, ecc. Ieri ci ha fatto sapere che per lui l’accelerazione è una risorsa, è lui che può camminare veloce e disarmare le strategie degli altri. Forse sta dicendo che gli altri sono lenti. Vi è qualcosa in questo discorso che mi fa pensare che Milei abbia una connessione senza filtri, senza mediazioni, piuttosto diretta, con alcune delle dinamiche del capitalismo. Una velocità sicuramente crudele, diretta e opportunista e che non intende considerare ciò che consideriamo noi che camminiamo con un’altra marcia, con tempi più lenti, poiché ci interroghiamo sulla fattibilità dei processi, sul consenso, sull’argomentazione, sugli effetti delle politiche.

Milei agisce invece con i tempi del capitale, del capitalismo finanziario, delle reti e delle piattaforme, appena vogliamo reagire a ciò che ha detto o fatto, ecco che arriva un’altra accelerazione. Mi pare che proceda che su questa strada, cerca di vincere la sua battaglia attraverso l’accelerazione dei processi.

Una politica di shock continui, credo segua molto bene per questo aspetto Milton Friedman, che sosteneva che la rifondazione neoliberale di uno stato si fa nei primi sei mesi di governo e mediante una serie di misure shock a catena, una serie che non consenta la reazione immediata da parte delle popolazioni. Come quando un pugile mette all’angolo il suo rivale, approfitta della sua debolezza e lo riempie di pugni per lasciarlo in stato catatonico prima di mandarlo al tappeto. Ma tu sottolinei qualcosa di più profondo rispetto al fenomeno Milei, al suo rapporto di empatia con uno dei modelli di accumulazione contemporanei del capitale, che credo sia importante mettere in luce.

Sì, vedo che Milei comunica molto bene con una dimensione collettiva che noi non riusciamo a riconoscere del tutto. Tutti sappiamo qualcosa sul funzionamento del capitale che fa parte del nostro inconscio capitalistico, e cioè che vi è una verità nel capitale, nella velocità del capitale, un qualcosa delle dinamiche capitalistiche che conquista e affascina, che seduce e mobilita le soggettività. Qui sta parte della forza di Milei. E tuttavia, questa fantasmagoria capitalistica perde di vista un aspetto fondamentale: che accade con l’impoverimento generalizzato, con lo spossessamento di massa, che costituiscono il rovescio di questo programma.

Cosa succede con questa sorta di smaterializzazione popolare, peraltro già prodotta dalle sue prime misure, che hanno visto non solo liquefarsi salari e poteri d’acquisto per ampi settori della popolazione, ma anche la possibilità di accedere a cure mediche, all’istruzione dei propri figli, al diritto dell’abitare con affitti più o meno plausibili, ecc.?

È proprio questo che ci dobbiamo chiedere, cosa accadrà con questo rovescio dei processi che si stanno istituendo. Detto in altro modo, ci sarà uno scontro tra corpi sempre più spossessati e questa specie di “futurismo capitalistico” socialmente del tutto irresponsabile, per così dire, uno scontro frontale tra questi corpi e questa vertigine capitalistica illimitata?

Da una parte, dunque, abbiamo lo scenario montato dal Presidente, deregolamentazione e vertigine capitalistica, dall’altra vi sono però egli effetti delle sue politiche sulle persone. La velocità è il suo metodo, accelerare in continuazione per stressare e confondere, per non consentire che si stabiliscano dei ragionamenti o delle riflessioni. È difficile riflettere in tempo reale su quanto ha detto, ma in ogni caso dobbiamo farlo perché fra tre giorni forse tutto questo passerà in secondo piano data la vertigine che sta imprimendo alla sua gestione. Può darsi che nei prossimi giorni parli di politica internazionale o annunci altre misure shock, che peraltro ha anche promesso nel suo discorso in parlamento, e tutto questo sembrerà lontano. Tornando a quanto ponevi nella domanda, ho l’impressione che Milei abbia una sintonia del tutto straordinaria con le forme più digitalizzate dei movimenti finanziari del capitale. È come se i corpi fossero degli ostacoli, elementi di ritardo, di lentezza, di noia, è quanto ribadisce spesso anche nei suoi discorsi, occorre liberare le forze produttive degli Argentini, costi quel che costi, non importano gli effetti.

Effetti feroci che mostrano peraltro la totale insostenibilità sociale di un simile modello di governo della società. Abbiamo visto i primi effetti di cui parli: il licenziamento di decine di migliaia di impiegati pubblici, e anche del privato, un’inflazione brutale generata dalla svalutazione della moneta e che si è trasferita subito sui generi di prima necessità, un ulteriore spossessamento dei corpi in carne e ossa, delle classi popolari e dei pensionati. La parte importante della sua interpellazione sta nel ciò che bisogna fare, non tanto negli effetti; anzi, è come se non vi fossero effetti, poiché ciò che annuncia è una sorta di stato sociale naturale, la razionalità di mercato, la lotta di tutti contro tutti, come necessario “grado zero” della società. Poi bisogna darsi da fare, non aspettarsi nulla, qualunque diritto sociale è un’aberrazione, un intralcio allo sviluppo, come egli ha ribadito spesso. Credo che questo faccia parte di quell’offerta di accelerazione di cui parlavi. È come se Milei stesso si proponesse come l’incarnazione del dispotismo del capitale, del feticismo della merce, senza filtri né mediazioni. La domanda che ti vorrei porre è a chi offre però questa accelerazione, a quale soggetto sociale e soprattutto se questa sua offerta di accelerazione non abbia anche a che vedere con la “soluzione autoritaria” del governo del capitale che egli propone, poiché è il metodo veloce per eccellenza per un presunto sviluppo sociale ed economico, per la liberazione delle forze produttive degli Argentini, come tu dicevi, rispetto alle lentezze della democrazia formale, di una macchina statale governata dalla politica, dalle sue regole e mediazioni, da ciò che egli chiama le sue “clientele”. Si tratta di un discorso che va incontro a quella percezione generalizzata, comunque per certi versi vera, secondo cui tutto è fermo, nulla cambia, vanno avanti sempre gli stessi mentre la gente comune precipita. L’elemento da “guerra civile”, se così si può dire, aggiunto certo da Milei, ma già in opera da tempo nell’ordine del discorso mediatico, è che tra i privilegiati e corrotti dalla macchina statale vi sono le organizzazioni e i movimenti sociali, che si appropriano di risorse indebite e immeritevoli e fermano lo sviluppo di tutti. Qualcosa del genere abbiamo visto anche in Italia con l’attacco dell’ultradestra di Meloni al reddito di cittadinanza.

Comincio dalla prima parte della domanda. Può essere utile ricordare che quando Milei enfatizza il concetto di libertà di cui si fa promotore, interpella, mobilita il popolo ma non in rapporto allo stato, ai corpi riuniti in un progetto collettivo, o ai corpi favoriti da una qualche forma istituzionale. La democrazia, intesa come parlamentarismo politico, non gli interessa affatto. Non si appella a questo scenario, non lo vede come una risorsa o una necessità, o un obbligo, anzi lo vede come un problema, e penso consideri la democrazia soltanto come lo scenario entro cui egli deve fare la sua rivoluzione. Questo punto del suo programma è molto chiaro: l’obiettivo di Milei è disattivare tutte quelle regolazioni e forme istituzionali che le classi dominanti hanno storicamente prodotto come compromesso con i corpi, ovvero la burocrazia politica, la democrazia procedurale, la dimensione deliberativa, quello che resta del tessuto o della mentalità industriale come modalità di gestione o mediazione. Con il suo discorso, Milei ci fa sapere che il meglio di noi avviene quando chattiamo in rete, quando scambiamo denaro, quando abbiamo un’idea su come fare affari, quando ci consegniamo a questa specie di velocità sensibile, mentale di scambio, è li che siamo onnipotenti. Come corpi, siamo qualcosa di simile agli escrementi. L’intera società deve seguire questo istinto o pulsione alla produzione di valore con ogni mezzo necessario e a scapito di qualsiasi cosa. Rispetto alla seconda parte della domanda, a chi parla Milei, penso che ci siamo abituati a pensare al dominio capitalistico come a un dominio attraversato da segmenti, frammentato, composto da diverse frazioni e segmenti del capitale. Per questo ci chiediamo, quale frazione del capitale, quale blocco sociale di potere, rappresenti un governo o una coalizione politica: il capitale nazionale, la grande industria, il capitale finanziario globale, ecc.?

Mentre seguivo il suo discorso in parlamento, ho avuto l’impressione che Milei rappresenti il capitale nella sua essenza e velocità più pura, non nella sua frammentazione, e qui rispondo alla tua domanda: non credo Milei rappresenti un certo segmento egemonico o frazione del capitale a discapito di altri; ovvio che alcuni settori del capitalismo nazionale, intrecciati al funzionamento dello stato, verranno aggrediti dalle sue politiche ed egli tesse continuamente le lodi delle corporazioni transnazionali e dei monopoli, ma penso che lui si rivolga più che altro a una specie di nuovo eroe capitalistico in grado di assumere in sé la stessa velocità del capitale, vale a dire a qualunque soggetto abbia in sé una capacità straordinaria di accelerare.

Dentro la politica argentina, Milei non parla a nessuna frazione economica particolare. Diciamolo in altro modo: mi sembra che Milei parli soltanto a quelle frazioni del capitale e a quei soggetti che abbiano la capacità di reagire e di montare su ciò che sta arrivando, su ciò che egli stesso sta creando. Va ricordato che nelle ultime elezioni ha sconfitto tutti i gruppi di interesse e potere, così come è anche vero che egli attacca principalmente la sinistra e il peronismo, ma allo stesso tempo, per esempio, parla ad alcuni “peronisti” disposti ad ascoltarlo, non mi pare dunque ci sia un’interlocuzione diretta tra lui e un qualche segmento particolare delle classi capitalistiche locali.

È come se Milei rappresentasse l’attuale congiuntura capitalistica nel suo aspetto più spettrale e disincarnato, come se non fosse radicato da nessuna parte, e per questo parla come parla e non parla a nessun segmento politico-economico locale particolare. Quanto dici poi può spiegare quanto molti cerchiamo di spiegarci, non trovando mai la quadratura del cerchio. Nello specifico, il suo estremo personalismo, il suo programma intransigente e poco accomodante rispetto ai gruppi di potere reale tradizionali dell’Argentina, meglio rappresentati da Macri e da tutto l’antiperonismo più viscerale. Nell’alleanza di governo, non si capisce ancora chi sta usando chi. Questo aspetto da te enfatizzato spiega anche la disputa interna in corso tra questi gruppi di potere e Milei, che sono chiaramente d’accordo con buona parte del suo programma economico, con il suo estremismo neoliberale, ma non con il modo di implementarlo. A ogni modo, dal mio punto di vista, Milei può rappresentare, anche se a certe condizioni che gli verranno imposte da questi gruppi e che non sappiamo se egli accetterà, gli interessi di questo blocco agro-finanziario, e aggiungerei coloniale ed estrattivista, tradizionale nella storia argentina. Mi viene ora spontanea un’altra domanda, in rapporto a questa: qual è la composizione sociale del voto a Milei? Ricordiamo che è stato il presidente più votato dal ritorno della democrazia nel 1983, anche se al ballottaggio. Penso che la resistenza politica a Milei debba cominciare da qui, nel capire questa cosa, e non solo dalla sua alterizzazione o demonizzazione.

La tua domanda è un po’ l’ossessione del momento, cercare di capire cosa rappresenta Milei nell’elettorato comune, oltre i gruppi di potere. A me pare che Milei sa benissimo chi lo ha votato, qual è il suo elettorato e qual è stato il mandato per cui è stato scelto. In questo senso, vedo una certa efficacia politica di Milei, esprime sempre una certa lucidità su questo. E penso che per quanto riguarda il suo consenso, se così lo vogliamo chiamare, vi è una sorta di equivoco. Si pensa che Milei è un pazzo, che ha un discorso delirante, che non si sostiene su nulla, che non è supportato da un soggetto politico chiaro, che nessuno lo appoggia se non per motivi contingenti e specifici, si crede che da un momento all’altro crollerà, dovrà gettare la spugna e andarsene o cedere alle pressioni della destra di Macri. Il dibattito in Argentina è caratterizzato proprio da queste domande: quanto durerà Milei, ce la fa ad arrivare al mese prossimo, quando cadrà? Verrà cacciato da Macri o dalle lotte di piazza, passerà i tre mesi, o resisterà oltre marzo? Nel suo discorso al congresso, non si è visto nulla di tutto ciò, non ha dato l’impressione di uno che stia per cadere. Si è visto un politico che ha ancora l’iniziativa, ha ribadito la necessità di un riaggiustamento strutturale feroce, che per qualsiasi altro governo sarebbe stato insostenibile, avrebbe generato una situazione di totale e immediata ingovernabilità.

Secondo me, Milei, anche se ci costa capirlo, non sta nell’aria, ha un suo elettorato e una base sociale, e lui capisce benissimo questa situazione, sa estrarre un mandato da qui e metterlo in gioco, ovvero sa usarlo per estorcere il resto del mondo politico e istituzionale.

Milei ha vinto le elezioni annunciando con la motosega in mano un super riaggiustamento strutturale per rimettere in ordine il deficit fiscale e i conti dello stato. Il giorno dell’assunzione ha detto alla gente in piazza «non ci sono soldi, ci sarà solo austerity», e la gente lo applaudiva. Dobbiamo prendere sul serio questo fatto, perché ci dice qualcosa sulla composizione che lo sostiene. Si tratta di una composizione sociale che dal punto di vista politico può costituirsi come una maggioranza elettorale, ma che ha come tratto comune un rifiuto totale del sistema politico precedente, che manifesta una stanchezza non negoziabile rispetto a quanto avevamo a livello politico ed è disposta a sfasciare, a far scoppiare, tutto quanto è associato al sistema politico precedente.

Quando dico il sistema politico precedente non mi riferisco soltanto al peronismo nella sua versione kirchnerista, ma a tutto l’arco enorme di tempo che va da Cristina a Macri, grosso modo dal 2013 al 2023. Questo mi sembra assolutamente centrale. D’altra parte è vero che la radicalizzazione del voto che fa capo a Milei avviene da destra, è di destra o ultradestra, se così la vogliamo chiamare, ma è anche vero che se fosse solo quello avrebbe vinto Macri, che rappresenta una destra liberale tradizionale, con tutto ciò che questo può significare in Argentina.

Destra liberale tradizionale vuol dire qui, lo dico per pubblico italiano, uno spettro ideologico e politico rappresentato in passato da quello che possiamo chiamare il partito dei militari, che ha da sempre incarnato un’opzione politica ed economica liberale e neoliberale e che veniva riattivata ad ogni golpe. Oggi una parte di questo spettro è anche rappresentato dalla vice di Milei, Victoria Villaruel.

Sì, certo, anche Milei ha saputo interpellare una parte quel blocco che tu hai chiamato agro-finanziario tradizionale, da sempre assai vincolato agli interessi del capitale transnazionale. Ma ciò che qui voglio dire è che se fosse vero, come alcuni sostengono, che quanto è accaduto è semplicemente un giro a destra delle classi popolari argentine, sarebbe stato Macri il presidente. Qua vi è qualcosa di più. Il partito di Macri, il PRO, aveva vinto le elezioni di medio periodo del 2021, due anni prima dell’elezione di Milei, con una base del 41% dei voti. Tutto lo scontento verso il governo di Alberto Fernández e Cristina Kirchner (2019-2023) avrebbe trovato il suo giro a destra con Macri, ma questo non è accaduto. Macri è finito terzo nelle elezioni. Con Milei vi è stata una radicalizzazione a destra, ma una radicalizzazione di cui la parola destra, nel suo significato tradizionale, non spiega tutto, dobbiamo quindi cercare spiegazioni del voto che vadano al di là di questo continuo insistere sulla radicalizzazione a destra.

Sì, il trionfo di Milei esprime qualcosa di inedito nello scenario politico argentino. Credo sia importante ricordarlo, come dici, altrimenti ci perdiamo qualcosa. Ovviamente ciò che esprime ha delle somiglianze con quello che possiamo chiamare l’attuale ultradestra internazionale, ma non è del tutto riducibile a questo spettro. Anche altre categorie con cui viene letto il fenomeno in Italia, per esempio “sovranismo” e ancora meno “populismo”, servono più a sfuocare che a chiarire qualcosa. A me pare evidente che con Milei si chiude un lungo ciclo cominciato nel 1983 con il ritorno della democrazia, un ciclo che comunque restava legato agli anni Settanta. Un ciclo caratterizzato anche da una forte instabilità del peso, con svalutazioni della moneta tanto ricorrenti quanto brutali, con processi inflattivi e iperinflattivi piuttosto pesanti e che, tranne il cosiddetto decennio “vinto” (2003-2013) grazie al processo virtuoso innescato dalla grande insurrezione del 2001 e comunque non esente di contraddizioni, ha generato disuguaglianze crescenti, con livelli di povertà ed indigenza sempre più estesi e intollerabili. Si tratta di un periodo che altrove tu hai definito come “post-dittatura”, per enfatizzare la traccia indelebile che la dittatura, attraverso il terrorismo di stato, ha impresso nella società argentina. Penso sia importante questo termine per spiegare quanto stiamo cercando di spiegare.

Per tutto questo ti dicevo che dobbiamo cercare altre parole che spieghino questa radicalizzazione a destra, senza chiudere quanto è successo con la parola destra, perché cosi facendo rischiamo di non vedere tante cose. Vengo ora a quanto hai appena detto.

Vi è un’enorme insoddisfazione popolare con ciò che è stato la cultura politica dei 40 anni di democrazia, il cui 40esimo anniversario è stato proprio l’anno scorso, che si somma al grande malessere rispetto a come è stata gestita l’economia nell’ultimo decennio. Vi sono altri fenomeni da prendere in considerazione, come per esempio la devastante precarizzazione che ha colpito il mondo del lavoro negli ultimi anni. Tanto si è detto su questo, si tratta di un processo che ha provocato la scomposizione della vecchia classe operaia argentina che aveva dato luogo al peronismo.

Questo dato di fatto mi pare un fattore centrale. Nel 2001 con l’insorgere del movimento piquetero tutto questo era molto chiaro e poi, anche se alcuni movimenti sociali hanno cercato di produrre un nuovo ragionamento attorno alle economie popolari, ciò che abbiamo avuto nell’economia degli ultimi anni è stata una precarizzazione e un’informalizzazione del lavoro sempre più diffusa. Si tratta di un processo che ebbe un punto di non ritorno con la pandemia, in una situazione in cui vi era, da una parte, gente più o meno garantita che ordinava da mangiare a casa per telefono e, dall’altra, lavoratori ultra-precarizzati che glielo portavano in bicicletta.

La pandemia è uno spartiacque fondamentale per capire l’ascesa di Milei. Questo lavoratore precarizzato, di cui il rider è sicuramente l’emblema, è parte di una situazione socio-lavorale e urbana nuova che, con la pandemia e il rapido sviluppo del capitalismo digitale, divenne sempre più diffuso. Vi sono diverse ricerche che ci dicono che questo tipo di lavoratore, per lo più piuttosto giovane, abbia trovato in Milei un’ottima espressione per la sua insoddisfazione rispetto alla qualità della vita, pubblica e privata, ovvero in merito al suo accesso ai servizi pubblici in generale, alle cure mediche, all’istruzione, ecc. Questo tipo di lavoratore, come molti altri, nelle proprie intenzioni, votando per Milei, ha espresso un rifiuto frontale di tutta quella retorica politica che si riferisce al popolo argentino come se fosse un popolo omogeneo, integrato in forme di lavoro tradizionali, a cui si sta fornendo un’ottima serie di servizi pubblici. Questa favola discorsiva di una parte importante della retorica politica argentina ha trovato un forte limite presso la classe lavoratrice più giovane. Non è solo questo il votante di Milei, altri studi ci dicono altre cose. Ma è stato sicuramente un soggetto centrale del suo voto, come molte altre figure del lavoro autonomo informale, non certo specializzato e sempre più precarizzato. Altri studi ci dicono invece che Milei ha trovato un consenso significativo presso una parte importante di maschi giovani, presso una parte della popolazione che si sente interpellata dal suo antifemminismo.

Può essere importante ricordare che una parte maggioritaria dei maschi giovani hanno votato per Milei, mentre in altre età e generi non vi è questa differenza. È un fenomeno anche visibile, sono per lo più maschi giovani che esprimono una passione o mobilitazione per Milei, che si offrono anche come militanti della sua causa. Qui vi è chiaramente una soggettivazione reattiva contro l’onda verde degli ultimi anni, una reazione alla lotta per il diritto all’aborto e contro tutti gli avanzamenti del femminismo nella società.

Quanto stai dicendo mi pare molto importante per puntualizzare ancora meglio la composizione sociale del voto per Milei. Da un lato, lavoratori autonomi informali, precarizzati e non specializzati, dall’altro, maschi giovani sensibili a un discorso antifemminista e di restaurazione patriarcale. Non a caso tra le ultime misure varate da Milei, c’è stata l’abolizione del linguaggio inclusivo dal linguaggio istituzionale, l’eliminazione della prospettiva di genere dalle politiche pubbliche e una riduzione drastica dei fondi destinati alla promozione della parità di genere. Non c’è bisogno di aggiungere che queste due figure sociali non esauriscono la tipologia elettorale di Milei. Ricordiamo che al primo turno Milei ottenne circa il 30% dei voti, e che sarebbe questo il suo vero elettorato. Al ballottaggio vinse conquistando quel 25% dei voti che aveva ottenuto al primo turno il PRO di Macri e della ministra della sicurezza Patrizia Bullrich, ovvero un voto più tradizionalmente anti-peronista e di destra. Mi interessa però tornare sulla pandemia, sulla centralità della pandemia nell’ascesa di Milei. Credo ci possa dire qualcosa anche rispetto a quanto è successo in Italia.

Sì, prima della pandemia Milei era una figura assai marginale nel panorama politico, anche se aveva un’importante presenza mediatica. Il suo discorso sulla libertà cominciò ad attecchire proprio durante la pandemia. Nei media e nella sfera pubblica, infatti, è rimasto un senso comune piuttosto diffuso secondo cui la quarantena è stata un atto burocratico stalinista che ha rinchiuso per troppo tempo la popolazione. Questa critica ha dato sfogo, a modo suo, anche un connotato classista della gestione, poiché la verità è che in Argentina non vi erano le condizioni per tenere una parte della popolazione chiusa a casa per così tanto tempo, almeno non in quelle condizioni. Tanta gente aveva bisogno di uscire per procacciarsi un po’ di soldi, erano milioni di persone, per lo più non garantiti e lo stato ha impiegato moltissimo tempo nel capire questa cosa; inoltre non ha mai dato una risposta soddisfacente a questa esigenza.

Rispetto alla quarantena pandemica poi, secondo me, per capire una parte dell’esito del voto è importante tenere in considerazione un altro aspetto che ha a che vedere con i giovani. Tanti ragazzi, per avere una socialità, anche una sessualità e una soggettività accettabile, hanno dovuto trasgredire in questo periodo una normativa familiare, statale, pubblica e sanitaria. Il progressismo politico qui ha accettato passivamente questo scenario, in modo acritico, e non si è mai chiesto fino in fondo cosa succedeva con queste parti della popolazione, i giovani, i lavoratori che dovevano uscire per lavorare, ecc.

Vi è stato l’abituale autocompiacimento del progressismo, che appena capisce che un’idea è buona e bella, e soprattutto quando questa idea coincide con il proprio modo di vivere, la blinda, non si mette più in discussione. La sinistra spesso non capisce che vi sono altri, altri che non stanno vivendo allo stesso modo, che non stanno avendo la stessa esperienza sociale di questi progressisti, e che le idee non possono essere belle solo perché coincidono con i propri criteri morali, ma quando funzionano oltre ciò che noi vogliamo e pensiamo.

l’immagine di copertina di Herbert Brant da Pixabay