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Le visionarie e il superamento del genere

Le visionarie (Not-Nero), libro collettaneo curato da Ann & Jeff VanderMeer e tradotto da un gruppo di autrici e giornaliste coordinato da Claudia Durastanti e Veronica Raimo, raccoglie 29 racconti di fantascienza, fantasy, horror e speculative fiction che mettono in crisi i dispositivi di potere della sessualità, del genere e dei generi letterari

Visionarie, sognatrici, schizofreniche creatrici di universi evocativi immaginari distopici e utopici, mondi rovesciati e fantastici, poetici e bucolici, quasi mai fantascientifici nel senso tradizionale del termine; nessuna realtà illusoria creata dalle macchine, nessuna intelligenza artificiale che minacci pericolosamente le sorti dell’umanità ma corpi difformi e dissidenti, in costante trasformazione, in pieno divenire e spesso in contrasto aperto con la realtà a cui appartengono, nel tentativo continuo di ri-tracciare nuove costellazioni.

Il testo Le visionarie, edito in Italia da Not (Nero Editions), è un’antologia di 29 racconti che spaziano dal fantasy, all’horror, alla weird fiction sino alla creazione di scenari distopico-utopici tipici della speculative fiction femminista degli anni Sessanta e Settanta. L’imprescindibile antologia, a cura di Ann e Jeff VanderMeer, è immersione in una narrativa che tiene insieme il genere fantascientifico, fantasy e horror. La speculative fiction si contraddistingue per il fatto che la maggior parte dei testi, attraverso la descrizione di mondi futuribili, paralleli o alternativi adotta uno sguardo fortemente critico rispetto alla politica, la storia, la scienza. I protagonisti delle storie creano un nuovo mondo conferendogli un nuovo senso.

I racconti selezionati non sono disposti in ordine cronologico per volere dei curatori, che hanno preferito far dialogare tra loro le storie, riconciliando parzialmente scrittrici di genere e scrittrici più “tradizionali” con autrici che solitamente non entrano a far parte di raccolte di questo tipo; tra le visionarie che si alternano in questa antologia, troviamo autrici rinomate come Ursula K. Le Guin (La mano sinistra delle tenebre) e Angela Carter (Le infernali macchine del desiderio del Dott. Hoffmann), firme storiche come Octavia E. Butler (La nuova stirpe) e Joanna Russ (Female man) e scrittrici meno note all’interno del panorama italiano come Angelica Gorodischer, Leena Krohn e Vandana Singh.

La fantascienza, insieme all’horror e al fantasy ha fornito sin dai suoi esordi uno spazio letterario ideale per la riflessione femminista e la messa in discussione dell’ottica etero-patriarcale attraverso cui la realtà veniva descritta, riprodotta e rappresentata. Donne subalterne, macchiettisticamente desiderabili mai desideranti, madri e mogli al massimo antagonisticamente streghe erano le co-protagoniste o le stampelle dell’unico vero eroe dei racconti di fantascienza “tradizionali”: il maschio, etero, bianco salvatore. Queste autrici sembrano invece essere finalmente in grado di restituirci un immaginario completamente differente, non radicato nel binarismo di genere, libero dalle maglie del determinismo sessuale, con storie che vedono alternarsi figure complesse, non stereotipate, forti, imperfette, empatiche, crudeli e determinate.

Le visionarie, non sembrano essersi limitate a ri-orientare lo sguardo del lettore rispetto le più svariate tematiche di genere riguardanti l’identità, la sessualità, i corpi, la maternità, la corporeità ecc., ma anche dal punto di vista della scrittura sembrano essere in grado di torcere il linguaggio canonico della letteratura fantascientifica sperimentando nuove modalità di espressione; alcuni racconti sono resti di diari o lettere, altri narrazioni dentro altre narrazioni, altri sembrano essere non arginabili flussi di coscienza oppure oniriche visioni.

Sono diversi i temi che attraversano e animano i diversi racconti presenti all’interno dell’antologia,ma un elemento che li accomuna tutti è la critica de-strutturante dei principali dispositivi di potere che regolano e sanciscono sessualità e genere. Le madri di Shark Island di Kit Reed ci offre, ad esempio, una prospettiva differente sul tema della maternità, affiancato a una restituzione ambientale carceraria che strizza l’occhio alla riflessioni di Foucault in Sorvegliare e punire; Le lacrime della madre della scrittrice finlandese Leena Khron dipinge invece un paesaggio urbano iper-industrializzato, in cui alla produzione industriale comunemente intesa si è sostituita la produzione di corpi da parte di una madre dis-umanizzata e disperata rinchiusa all’interno di una stanza opprimente che la relega alla sola, eterna e infinita ri-produzione, tra lacrime e impotenza. Un altro racconto emblematico rispetto al “destino naturale” di ogni donna è Racconti dal seno di Hiromi Goto, un crudo resoconto del post-parto e del dolore derivante dall’allattamento, che sembra

ironicamente voler portare il lettore a riflettere sul concetto di naturalità o biologico.

Si collocano invece sulla scia kafkiana delle metamorfosi i racconti La donna che si credeva un pianetae Il sonno delle piante, dove le protagoniste, una giovane donna e un’anziana moglie e madre, avvertono entrambe il desiderio di ricongiungersi alla natura e a un universo galattico a cui si sentono di appartenere, fino a trasfigurarvisi, con esiti differenti.

La bandita delle palme di Nnedi Okarofor e Le cinque figlie della grammatologa di Eleanor Arnason appartengono, per stile narrativo e ambientazioni, alle favole popolari. Nel primo racconto spiccano fortemente tematiche legate ai culti matriarcali, con la rappresentazione di una bandita ironica, intelligente e forte che semina il panico all’interno di un villaggio nigeriano; nel secondo invece vengono trattati in modo molto sapiente questioni legate alla classe, al genere e indirettamente all’orientamento sessuale.

La soluzione della mosca di James Tiptree si presenta invece come il primo racconto dell’antologia più canonicamente distopico, in cui un gruppo di fanatici religiosi riconosciuti come “Figli di Adamo” mettono in atto una sorta di femminicidio di massa; oltre alle riflessioni sulla banalità del male veicolata da un regime di questo tipo, vengono affrontati temi quali il disastro ambientale, la malattia e il contagio. Anche Il trucco della bottiglia di Nalo Hopkinson rivisita in modalità Barbablù la piaga del femminicidio, intrecciandolo a complesse questioni di razza e genere.

Nell’antologia non mancano nemmeno racconti che interrogano la sessualità e l’identità di genere. All’interno di E Salomè danzò, di Kelley Eskridge, in un groviglio narrativo carico di tensione erotica, sono analizzate le pieghe profonde del desiderio e il rapporto tra desiderio, arte e performance teatrale.

Naturalmente, trattandosi di un’antologia, non è possibile restituire la complessità e la profondità che ogni racconto porta con sé, una complessità che interroga il lettore a ogni lettura e rilettura. Tuttavia leggendo questa raccolta, non è possibile non lasciarsi trasportare all’interno di questi mondi di generi diluiti che mettono in questionesenza sosta il nostro presente.

La “fantascienza femminista” sembra riuscire magnificamente nell’operazione di sovvertimento totale di generi, norme e canoni patriarcali. Oltre i bigottismi, oltre il senso comune, oltre i facili moralismi è in grado di scuotere il lettore, di sovvertire e ri-significare il suo mondo, di de-colonizzarne lo sguardo.

Le visionarie si presenta dunque come l’antologia femminista a cui fare posto nel proprio scaffale, forse proprio accanto a un testo di Donna Haraway; sì perché sebbene non spicchino all’interno dell’antologia troppi cyborg, replicanti o intelligenze artificiali, ciò che sembra emergere dai vari rovesciamenti di genere descritti dalle visionarie è la parzialità e la fluidità di ciò che significa abitare sessualmente un corpo. Il genere, continuamente scardinato e ri-significato all’interno di questi racconti visionari, sembrerebbe poter emergere non più come un’identità globale radicata nella storia, ma come evento contingente di rottura, riflessione e critica.