EUROPA

Le nostre voci per l’aborto sicuro e accessibile in Europa

In tutta Europa, più di 20 milioni di donne non hanno accesso all’aborto: da questo nasce My Voice My Choice, petizione ufficiale alla Commissione UE per chiedere l’istituzione di un fondo per garantire l’accesso all’aborto sicuro

Il 23 aprile scorso, il governo Meloni ha spalancato le porte dei consultori alle associazioni antiabortiste utilizzando un emendamento all’articolo 44 del decreto PNRR. In una settimana è stata messa in discussione la rete di servizi consultoriali pubblica che dagli anni ‘70 offre nel nostro Paese assistenza gratuita e di alta qualità a migliaia di donne: contraccezione, aborto, supporto alla maternità, prevenzione e menopausa.

Questo emendamento è stato possibile anche grazie a una delle numerose falle della legge che in Italia disciplina il diritto all’aborto: nell’articolo 2 della 194/78 viene descritta la possibilità, da parte dei consultori, di avvalersi di associazioni esterne per eliminare gli ostacoli sociali ed economici che spingerebbero una donna ad abortire. Le conseguenze di questo emendamento sono sostanziali tuttavia e stanno in chi sceglierà le associazioni: nella legge 194/78 il soggetto che può avvalersi della collaborazione di associazioni esterne è l’equipe multidisciplinare del consultorio stesso. Nell’emendamento del governo, invece, il soggetto cambia ed è la Regione a decidere l’eventuale coinvolgimento di nuovi soggetti.

I consultori si ritroveranno dunque un’imposizione dall’alto, e come possiamo immaginare, le decisioni cambieranno a seconda del governo di quella specifica regione, aumentando le difficoltà di accesso e la percentuale di spostamenti extraregionali per Ie IVG. Emilia Romagna, Lazio e Toscana hanno già affermato che eviteranno queste collaborazioni, mentre in Lombardia il sottosegretario leghista Mauro Piazza, nel corso del Consiglio regionale del 7 maggio, ha dichiarato che «intende avvalersi di tutte le possibilità che l’ordinamento mette a disposizione per contrastare la denatalità».

L’immaginario che si paventa è che gli spostamenti di regione in regione avverranno non più solo per cercare un ospedale in cui sia possibile accedere all’operazione ma addirittura per la ricerca di un consultorio che ci permetta di ottenere il certificato IVG senza subire la vessazione delle associazioni antiabortiste. Il tutto in controtendenza con le direttive OMS che chiedono esplicitamente a tutti gli Stati di eliminare gli ostacoli che inutilmente rallentano l’accesso all’IVG e causano ritardi: prima si pratica un’interruzione di gravidanza, più basse sono le possibilità di complicazioni mediche.

Dietro allo sbandierato sostegno alla maternità, dietro alla retorica del dare una scelta alle “povere donne costrette ad abortire”, c’è una strategia più ampia che ci vede ancora una volta i nostri corpi nel mezzo, usati come merce di scambio nel gioco di equilibri politici tra le destre europee e i movimenti “antigender”.

Dal local al sovranazionale, dal sovranazionale al locale

Ma facciamo un passo indietro. L’11 aprile 2024 il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione per aggiungere all’articolo 3 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea il diritto all’aborto.

La ricerca di una risposta europea a tutela dell’accesso all’aborto è in realtà iniziata all’indomani della sentenza statunitense Dobbs v. Jackson la quale ha ribaltato il precedente Roe v. Wade che aveva garantito la costituzionalità dell’aborto a livello federale per cinquanta anni. La risposta è stata infatti dovuta alle implicazioni politico-giuridiche e legislative che la svolta statunitense ha avuto per lo stesso contesto europeo, dove non sono mancati tentativi di coping di proposte legislative statali restrittive, come dimostra la proposta italiana – prestito dello Stato texano – dell’obbligo di ascolto dell’hearthbeat – il cosiddetto battito cardiaco fetale – che tuttavia avviene in mancanza di un cuore completamente formato ma è semmai segno dell’inizio del suo sviluppo cellulare, ci dicono 10 biologi su 10.

La risoluzione esorta il Consiglio europeo ad avviare una Convenzione per la revisione dei trattati, come già richiesto nelle risoluzioni del 9 giugno 2022 e del 22 novembre 2023, e ad adottare la proposta inclusa nella risoluzione del 22 novembre 2023 volta a integrare nella Carta l’assistenza sanitaria sessuale e riproduttiva e il diritto a un aborto sicuro e legale, modificando l’Art. 3 sul Diritto all’integrità della persona e all’autonomia del corpo che includerebbe:

2 bis. Ogni persona ha diritto all’autonomia del corpo e all’accesso libero, informato, pieno e universale alla salute sessuale e riproduttiva e relativi diritti, come pure a tutti i servizi di assistenza sanitaria correlati, senza discriminazioni, compreso l’accesso a un aborto sicuro e legale.

La Risoluzione inoltre esorta i governi a prevedere la formazione obbligatoria per le procedure d’aborto nei curriculum e programmi di formazione dei medici, invita gli Stati membri a eliminare gli ostacoli sociali, economici, giuridici, e a depenalizzare l’Ivg come riferiscono le linee guida dell’OMS del 2022. Infine la Risoluzione esprime preoccupazione per l’aumento dei sostegni finanziari alle associazioni antiabortiste e antigender, invitando la Commissione a garantire che questi non ricevano fondi UE.

Il parlamento si è espresso favorevolmente (con 336 voti a favore, 163 contrari e 39 astensioni) alla modifica dell’articolo, ma per la sua attuazione è richiesta l’unanimità dei 27 stati membri. La peculiare costitutizione dell’Unione Europea e la dialettica tra sovranazionale e nazionale risulta uno specchio per l’analisi della tutela della salute sessuale e riproduttiva e i livelli di discriminazione nei singoli Stati Membri. Stati, come la Polonia dove l’IVG è praticabile solo in caso di incesto, stupro o pericolo di morte o come Malta dove è divenuto possibile abortire solo nel 2023 e solo in caso di pericolo per la vita della persona gestante, probabilmente si opporranno alla Risoluzione. Del resto, neanche la posizione dell’Italia lascia troppo sperare: votano infatti a favore soltanto PD e M5S mentre contrari FDI, FI e Lega a eccezione di tre eurodeputate. Sempre a sfavore compaiono nella lista l’Ungheria di Orbán, la Slovacchia e la Lituania.

Nello specifico, la destra al governo italiano si è sempre espressa in linea con Provita&Famiglia, una cui delegazione ferma davanti al parlamento di Bruxelles durante la votazione della Risoluzione ha presentato una vela con un poster rappresentante un feto insanguinato e lo slogan «To kill a baby is not a fundamental right». Intervistato da vari giornali, Jacopo Coghe commenta l’approvazione della risoluzione definendolo un giorno tragico per la storia dell’Europa e chiedendo esplicitamente all’Italia di «unirsi ai paesi pro-vita», promettendo un contrattacco.

Poiché, come già sottolineato, la mozione può passare solo con l’unanimità al Consiglio è verosimile che anche questa volta, come nel 2022 (in cui la proposta non aveva nemmeno superato il Parlamento) questa storia si concluderà con un nulla di fatto.

Tuttavia, alla luce delle prossime elezioni europee è l’invito di Pro-vita e Famiglia a rimanere il punto più preoccupante: la chiamata alla crociata anti-gender e l’alleanza populista che ha visto i suoi risultati oltreoceano non è lontana. E questo evento, dal significato politico poco rassicurante, segna il terreno sul quale si giocherà l’ennesima battaglia. La votazione italiana rispetto l’emendamento PNRR ha confermato la strategia non solo della destra italiana di per sé, ma fornendo una finestra attraverso cui guardare la situazione sovranazionale. All’indomani della votazione è stato peculiare lo scontro tra Ana Redondo, ministra spagnola per le pari opportunità, e Giorgia Meloni ed Eugenia Roccella. La prima, contestando l’emendamento italiano come «la strategia dell’estrema destra» per minare le fondamenta della parità di genere ha visto in tutta risposta il presidente del Consiglio Meloni e la ministra Roccella rispondere sottolineandole l’ignoranza, pertanto screditando, in quanto «parlamentare di un altro paese». La ministra Roccella aggiunge che la ministra spagnola dovrebbe conoscere i fatti e la legge in quanto l’emendamento riprende soltanto l’art. 2 della legge 194/78.

Come negli Stati Uniti all’indomani di Roe v. Wade la riorganizzazione dei partiti si è avvalsa di questioni fondamentalmente divise, in primis l’aborto, colpendo dal locale – dai singoli Stati – per giungere al federale –con Dobbs–, così nel contesto europeo l’aborto sta assumendo quelle stesse caratteristiche di polarizzazione sia interna, nei singoli Stati Membri, sia esterna, tra i vari stati e tra gli Stati Membri e l’Unione.

Foto di Renato Ferrantini – 25 novembre 2023

Il malleus maleficarum dell’inquisizione contemporanea

L’invito di Pro-Vita, visto all’interno della più ampia costellazione dei gruppi e delle organizzazioni pro-life e antigender non è tardato a concretizzarsi nella pubblicazione di un Manifesto dei valori lanciato sul web e sui social media e con lo scopo di indirizzare le prossime votazioni europee su candidati firmatari del manifesto.

Guardando al sito della campagna è facile notare gli intrecci politici e il reciproco supporto: una lista di candidati sorridenti e con in mano il manifesto rassicura il futuro e sfortunato elettore sull’importanza dei valori pro-life.

Tale indirizzamento politico in sede elettorale non è una novità dell’ultimo momento, sebbene le condizioni europee abbiano per molto tempo “ritardato” la polarizzazione politica più tipica ed evidente nel contesto americano, dove fin dagli anni Novanta le organizzazioni pro-life e antigender si erano impegnate nel sostenere anche finanziariamente la nomina dei “loro” fidati candidati.

Il Manifesto contiene i seguenti punti programmatici: contrastare l’introduzione dell’aborto come “valore comune” nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea in quanto competenza degli Stati; sostenere la famiglia in quanto unione tra uomo e donna e «custode della vita nascente»; contrastare «la pratica dell’utero in affitto», il «mercato dei gameti», e la «sperimentazione sugli embrioni»; contrastare «l’ideologia gender» e «l’Agenda LGBTQIA+»; prevenire e contrastare politiche a favore «della cosiddetta auto-affermazione di genere» e della «cosiddetta transizione sociale o sessuale di minori»; tutelare il diritto dei genitori a scegliere l’educazione da impartire ai propri figli; difendere «le famiglie dalle cosiddette politiche green fondate sull’ambientalismo ideologico anti-umano e anti-natalista» assicurando che «le giuste politiche a tutela del Creato siano fondate su analisi scientifiche veritiere e comprovate»; contrastare «la iper-sessualizzazione e la iper-digitalizzazione dei minori […] regolare l’utilizzo dello smartphone e vietare quello dei social network prima dei 16 anni».

Cinicamente verrebbe da commentare che a questo punto possiamo tornare anche al piccione viaggiatore come metodo postale e di diffusione notizie, i matrimoni combinati con pagamento dote, le morti in attesa dei miracoli e le famiglie squadra di calcio per la gestione della forza lavoro nei campi. Concretamente invece e al di là del cinismo occorre sviscerare la violenza dietro l’uso di tali retoriche.

Rispetto al primo punto, chi ha avuto modo di vedere cosa è successo negli Stati Uniti post Dobbs v. Jackson sa bene cosa significa quella “competenza degli stati”: donne indagate, incriminate e processate; mifepristone e misoprostolo inserite nella classificazione delle sostanze a fianco degli oppiacei contro ogni evidenza scientifica e giudizio delle adibite agenzie farmaceutiche e di gestione del farmaco, uso delle piattaforme, app, social media messenger come prove durante i processi e morti per mancato intervento del personale medico a causa delle leggi restrittive e criminalizzanti. Rispetto agli altri punti sono sempre gli Stati Uniti a restituirci vari screenshot su in cosa si traducono concretamente tali punti: la personificazione degli embrioni e la lotta alle banche di crioconservazione, alle agenzie di intermediazione surrogacy, alle cliniche di IVF, alle abortion clinics. Rispetto a quella libera scelta dei genitori di fare dei figli cosa vogliono come fossero proprietà in linea con “valori personali” sappiamo che ciò significa interferenza nei programmi di studio di scuole e università rispetto tematiche inerenti equality e antidiscrimination. Rispetto l’ambiente “politiche green” come quella del Texas che per contrastare l’aborto si avvale del presunto danno ambientale dei resti abortivi nelle fognature. Infine, quel richiamo paternalista alla protezione dei minori che profuma più di censura che di qualsiasi altra cosa, una censura tuttavia richiamata attraverso il suo opposto: la difesa della libertà di parola.

Sono semplici contraddizioni quelle leggiamo o è strumentalizzazione, disinformazione, discriminazione e violenza?

Lasciamo a chi legge di interpretare liberamente le parole riportate e decidere come processare questo bombing di informazioni in un contesto politico sempre più polarizzato, antagonista e agonista.

My Voice My Choice

D’altra parte si sa che laddove il potere stringe, la resistenza avanza. Laddove la parola viene silenziata, l’urlo sarà più forte. In tutta Europa, più di 20 milioni di donne non hanno accesso all’aborto: da questo nasce My Voice My Choice, petizione ufficiale alla Commissione UE per chiedere che l’Unione si impegni a stabilire un fondo per garantire l’accesso all’aborto sicuro a chiunque in Europa.

In diversi paesi in Europa, l’aborto è difficilmente accessibile sia per legislazioni che lo criminalizzano sia per legislazioni restrittive che permettono interferenze notevoli nell’organizzazione del personale e dei luoghi della salute adibiti. Il risultato è che chi vuole abortire è spesso costrettə a viaggiare per accedervi, sia fuori dallo stato sia all’interno del proprio stato. In Polonia, in tre anni, organizzazioni come Abortion Without Borders hanno aiutato più di 125.000 persone ad abortire in sicurezza. Di queste, più di 1.235 lo hanno fatto all’estero per accedere a interruzioni di gravidanza per il secondo o terzo semestre a causa di malformazioni fetali. Solo nel 2021, l’ONG Women on Web ha risposto a più di 10.000 messaggi di aiuto per accedere all’IVG farmacologica e nel Paese un medico che voglia praticare interruzioni di gravidanza rischia da 1 a 3 anni di carcere.

Nel 2022 situazione altrettanto grave è registrata poi in Italia e Ungheria dove in comune c’è stato il tentativo di imporre la pratica violenta dell’ascolto del “battito cardiaco” che se in Italia è ancora pendente, in Ungheria è attivo. In Italia lo stigma sociale, l’obiezione di coscienza, ostacoli burocratici intenzionali, la carenza di strutture e mobilità del personale o la lotta ideologica a esse come nel caso dell’attuale smantellamento dei consultori, spingono ancora verso aborti clandestini o – chi se lo può permettere – a viaggiare centinaia di chilometri per avere un aborto sicuro in un’altra regione o all’estero. Ricordiamo inoltre che le morti non sono una “prerogativa” polacca. Nel 2016 in Italia la morte di Valentina Milluzzo per sepsi a seguito di un mancato aborto per obiezione di coscienza dei medici se ha suscitato indignazione, tale indignazione non è stata abbastanza. Quella di Valentina Milluzzo è una morte che non solo poteva, ma doveva essere evitata e lo si deve alla voce alzata e alla forza dalla famiglia quell’amaro risultato che ha visto i medici condannati a seguito di una vita, una vera vita, spezzata.

Quella dell’aborto non è una questione di opinioni: è una questione di salute e di cittadinanza che svela come ancora donne e soggettività sottorappresentate continuino a essere cittadini di classe b strumentalizzabili a seconda dei tempi e delle ideologie politiche. Invitiamo quindi ad essere tutte tutt* partecipi e rivendicare la nostra voce in questo complesso periodo storico che proprio quella voce intende silenziare. E chiediamo a ognuna e ognun* di farlo come gesto di cura e tutela di principi democratici che sembrano ormai diventate oggetto di competizioni agonistiche tra diverse tifoserie.

Si tratta della nostra salute, delle nostre vite, delle nostre scelte e del nostro riconoscimento come persone, soggetti di diritto a pieno titolo e cittadin*. Firmate la campagna sul sito @myvoicemychoiceorg : facciamo sentire le nostre voci e la nostra resistenza a narrative e visioni che non ci appartengono, non ci tutelano e soprattutto ci uccidono!

Foto di Milo Skakal – Piazza dell’8 marzo 2024

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