editoriale

Ambiguità del femminismo pop

Il ruolo della stampa femminile nella formazione degli immaginari di massa

Freeda fa discutere. Furba operazione di marketing, sfruttamento commerciale del neofemminismo o strumento di liberazione per le ragazze?

In realtà è una vecchia storia, investe da sempre i “femminili”, cioè quei giornali che si rivolgono esclusivamente, o quasi, alle femmine umane. E quindi con argomenti selezionati. Moda, vestiti, trucchi, cucina, cure del corpo, cultura varia, se di fascia alta. Tutto fuorché l’attualità e soprattutto la politica. E poco importa che Freeda sia un socialmedia o un giornale di carta.

È rivolto alle giovani donne, usa grafiche, video, propone pillole di conoscenza, a volte pezzi informativi. Molto didattici, quasi pedagogici. Ho appena visto un ritratto di Artemisia Gentileschi messo online il 28 settembre, a firma di Lavinia Anselmi, questo il sommario: “Artemisia è stata una delle prime pittrici di cui abbiamo conoscenza, una moglie, una madre, un’amante e una grande guerriera che ha sopportato per anni un processo per stupro da cui è uscita vincitrice”. Il pezzo è di Savina Anselmi. Molto corretto. Oppure il 27 settembre, un post che si intitola Stupro: Parliamone, nel sommario dice: “Proviamo a capire perché esiste questa forma di violenza esercitata prevalentemente (ma non solo) ai danni delle donne, che storia ha e in che tipo di mentalità ha messo le sue radici”. Il pezzo, di Arianna Marchente, è sorprendente. Si rivolge evidentemente a chi non sa nulla, a chi deve essere guidata a pensare, a conoscere. È bandito ogni riferimento politico. Si forniscono molte informazioni, ma non si parla delle reazioni pubbliche, singole e collettive, delle donne. Come se fosse un anno zero. Nel wall, poi, scorrono post più o meno scopertamente pubblicitari. Il tutto molto simpatico, induce identificazione. Sono la tua pagina, i like crescono vertiginosamente. Insomma Freeda è un prodotto. C’è un target di marketing, c’è un’ottima idea editoriale. Nel sottotesto un femminismo pop, rivolto alle singole, più che a creare relazioni.

Ora, tutti i femminili sono sempre stati un prodotto. C’è sempre un editore, capitali che investono e realizzano un guadagno. Non parliamo di giornali militanti, senza pubblicità, come fu Effe, mensile femminista voluto e ideato da un gruppo di femministe, che arrivò a vendere 80.000 copie. O NoiDonne, nelle sue tante vite. Cosmopolitan, un puro prodotto editoriale, cavalcò l’onda della liberazione sessuale. Molte femministe lo considerarono una svendita delle proprie battaglie. Eppure, soprattutto attraverso le rubriche, i consigli, che sono il cuore del rapporto tra una redazione e chi legge, il rapporto con le lettrici era reale, un sostegno su cui molte hanno contato. Redazioni in cui si annidavano femministe, donne che fecero parte dei coordinamenti degli anni settanta. Come nelle redazioni di Annabella, Amica.

Un passaggio avvenne all’inizio degli anni novanta, quando uscirono i nuovi supplementi femminili dei quotidiani. Io donna, che batté sul tempo D di Repubblica. L’obiettivo industriale era la raccolta di pubblicità, i femminili erano un formidabile attrattore degli inserzionisti di moda, cosmesi, tutti prodotti che non entravano nelle pagine dei quotidiani. L’obiettivo editoriale era catturare la lettrice emancipata, che lavora e si occupa del mondo. La formula fu presa da NoiDonne, – le nuove testate ne erano dei rovesciamenti significativi e interessanti – dove allora lavoravo, e che poi ho diretto. Nella sua lunga storia, l’avevamo appena cambiato. Cronache, attualità, inchieste, mondo, tra cui molti reportage fotografici, che nessuna rivista già allora pubblicava più. Mezzi e prezzi bassi hanno sconvolto il mercato sbaragliando nel tempo non solo NoiDonne, ma anche gli altri femminili.

Risolto il dilemma iniziale? Direi proprio di no. Leggere i femminili è divertente, la moda è una passione, e spesso gli articoli e le pagine culturali sono migliori che altrove. Ma nessuno, riporta un punto di vista, una chiave di lettura con occhi di donna dei fatti del mondo. Anche se questo può accadere in singoli articoli o rubriche. Vale anche per Freeda. Il prodotto è nuovo, utilizza bene il potenziale dei social e mette in circolazione un linguaggio diverso. In questo senso è innovativo, sicuramente riprende temi e parole dei femminismi di nuova generazione. Uno scandalo? L’importante è non scambiarlo per un media di movimento. Basta saperlo.