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L’“anomalia romana”: i Comitati autonomi operai

Il libro di Salvatore Corasaniti, “Volsci. I Comitati autonomi operai romani negli anni Settanta (1971-1980)”, ricostruisce la storia degli autonomi a Roma negli anni Settanta, tra fonti orali e produzione del movimento stesso

Nel panorama degli studi sugli anni Settanta fa la comparsa un volume necessario sulla storia dell’autonomia operaia romana, Volsci. I Comitati autonomi operai romani negli anni Settanta (1971-1980) (Le Monnier, 2021) del giovane storico Salvatore Corasaniti. Un lavoro necessario perché specifico sulla realtà romana, troppo a lungo taciuta nonostante abbia avuto tanta parte nella storia del dibattuto decennio. Grazie alla ricerca di Corasaniti, dunque, si colma un vuoto nella storiografia sulla stagione dei movimenti.

Volsci. I Comitati autonomi operai romani negli anni Settanta (1971-1980) -  - Libro - Mondadori Store

Via dei Volsci è una strada del quartiere San Lorenzo di Roma dove, negli anni Settanta, vi fu la più importante sede dell’autonomia operaia romana; nella stessa strada si situò anche l’emittente radiofonica degli autonomi, Radio Onda Rossa; non da ultimo, il nome della via diventò il titolo della testata dei Comitati autonomi operai romani (Cao). Il saggio di Corasaniti analizza il fenomeno dei Cao di Roma, attraverso lo studio e l’incrocio di un ricco e variegato insieme di fonti storiche – documenti istituzionali del Ministero dell’Interno, materiale grigio di movimento, stampa, fonti radiofoniche cartacee e audio, interviste –, lungo tutto il decennio Settanta, dal 1971 al 1980, ovvero dall’anno della loro formazione all’anno del «disarmo dell’ipotesi rivoluzionaria» (p. 7).

L’autore divide il libro in tre parti: il contesto spazio-temporale e socio-culturale in cui matura l’esperienza autonoma romana e le caratteristiche dell’organizzazione (1971-1976); il momento di maggior splendore dei Comitati autonomi operai, corrispondente anche con la nascita di Radio Onda Rossa (1977); le trasformazioni dell’autonomia romana alla fine del decennio (1978-1980). Nell’analisi di questa lunga parabola temporale e delle sue evoluzioni, ci sono dei temi che ricorrono: le principali lotte politiche condotte dall’autonomia romana – le autoriduzioni, le lotte nei quartieri, le battaglie sul lavoro, l’antifascismo militante – e il rapporto con gli altri, in particolare con l’autonomia del nord d’Italia e con il Partito Comunista Italiano.

Tre sono gli aspetti di questo lavoro su cui voglio porre l’attenzione: l’“anomalia romana”, l’antifascismo militante e l’uso delle fonti. 

Uno dei pregi di questa ricerca è quello di dare spazio e voce alla realtà autonoma romana, su cui finora ci si è interrogati marginalmente in quanto schiacciata dagli studi sull’autonomia del Nord-Est – quasi fosse l’autonomia con la A maiuscola.

Ciò che prende il nome di area dell’autonomia è una galassia di collettivi, comitati operai e territoriali, strutture di movimento che non conosce, se non per brevi fasi, momenti di composizione nazionale; al contrario, esistono specificità locali che inducono a considerarla, più che un’area omogenea (malgrado non manchino i tentativi di centralizzazione), un insieme di realtà che condividono alcune coordinate pratico-teoriche di fondo (p. 20). 

Nella storia degli anni Settanta, l’autonomia operaia romana ha una sua specificità ed è questa che l’autore sceglie di approfondire. I motivi dell’“anomalia romana”, come viene giustamente definita da Corasaniti, sono diversi. Innanzitutto, a Roma, i quadri militanti confluiti nell’autonomia provengono principalmente dal Manifesto e non da Potere operaio, come invece la vulgata comune ha finora lasciato passare – è così per l’area del Nord-Est. Inoltre, a differenza della realtà autonoma settentrionale, a Roma non ci sono punti di riferimento teorico come Toni Negri, per citarne uno fra tanti, piuttosto troviamo delle «figure di capipopolo» (p. 62). Questo aspetto ha una conseguenza importante nella memoria e nella ricostruzione della storia romana.

Infatti, è questo uno dei motivi della carenza di scritti teorici riconducibili all’autonomia romana, che avrebbe negli anni lasciato un’impronta più labile di altre della propria peculiarità analitica, finendo per essere assimilata nelle ricostruzioni postume ad altre e ben più robuste narrazioni (p. 62).

Tuttavia, nei Comitati autonomi operai non ci sono solo i leader. I Cao, come gli altri gruppi politici protagonisti degli anni Settanta, sono infatti composti principalmente dai militanti di base, che in questo caso non coincidono con gli operai tradizionali: i Cao sono composti da operai nel settore dei servizi, ovvero coloro che lavorano negli ospedali (infermieri e portantini), nell’Enel, nelle ferrovie, tutte «quelle figure snobbate dagli esegeti della classe operaia, quasi fossero improduttive o parassite, comunque ritenute marginali rispetto all’interpretazione del conflitto capitale-lavoro» (p. 63). In tal senso, è emblematico che il nucleo fondante dei Comitati autonomi romani fosse composto dal Comitato politico unitario operai-tecnici-impiegati dell’Enel, dal Collettivo lavoratori-studenti del Policlinico e dal Comitato unitario di base dei ferrovieri – tutte organizzazioni che inoltre, per questioni lavorative, gravitavano attorno al quartiere San Lorenzo. 

Guardare alla realtà romana significa anche indagare il fenomeno dell’antifascismo militante, che la storiografia ha principalmente analizzato in relazione alla violenza politica agita dai gruppi di lotta armata organizzata. Scelta tutt’altro che scontata, Corasaniti dà ampio spazio allo studio del fenomeno: non solo ricostruisce quei fatti che sono legati anche alla storia dei Volsci e di cui Roma è stata ampiamente protagonista nel corso del decennio Settanta, ma fa emergere la centralità dell’antifascismo nell’agenda politica dei militanti autonomi, concentrandosi soprattutto sugli ambienti scolastici, e la distanza della pratica antifascista dalla lotta politica dei gruppi armati. 

La città di Roma è uno degli epicentri di questo fronte di lotta, anche per la maggiore incidenza delle formazioni di estrema destra nel tessuno urbano; qui la pratica dell’antifascismo militante è moneta corrente dei militanti di sinistra, ed è fatta proprio in particolare dalla componente autonoma (p. 28). 

La pratica dell’antifascismo militante ha, dunque, un’indubbia funzione di legittimazione del ricorso a repertori violenti d’azione. […] Si compirebbe, tuttavia, un’operazione indebita nel far derivare la nascita delle formazioni armate dai percorsi legati all’antifascismo militante. Quest’ultimo spiega, tutt’al più, il ricorso all’omicidio politico da parte di quelle sigle dell’‘armatismo diffuso’ che proliferano nell’ultima parte del decennio e sono protagoniste della logica della rappresaglia contro i “neri” (p. 216).

Infine, merita spazio il ricco patrimonio di fonti che è stato utilizzato per questa ricerca. L’autore ha approfondito tutte le tematiche ricorrendo sia a documenti scritti che a materiali audio. Quest’ultimi, e mi riferisco qui sia all’Archivio Radiofonico di Radio Onda Rossa (Arror) sia alle interviste raccolte dallo stesso Corasaniti nel 2017, sono ancora poco utilizzati dagli storici che studiano gli anni Settanta e costituiscono certamente uno degli aspetti più innovativi e arditi della ricerca condotta dall’autore. 

Nel saggio, le fonti audio e orali si trovano principalmente nelle pagine centrali del libro, ovvero quelle riguardanti il 1977 e l’attività di Radio Onda Rossa. «Era un fatto proprio rivoluzionario il fatto che tu sentissi dei compagni parla’ per radio, che era uno strumento praticamente sconosciuto» (p. 128), racconta uno degli intervistati all’autore, e decidere di dedicare un’ampia parte del lavoro alla storia della radio e al suo funzionamento, senza lasciare che sia predominante la violenza politica, diversamente dalla maggior parte dei lavori storiografici sui gruppi degli anni Settanta, è una novità rilevante. Inoltre, l’esperienza radiofonica è un altro tassello utile per comprendere a pieno quell’“anomalia romana” dell’autonomia operaia. Infine, la sezione del volume relativa a Radio Onda Rossa è anche quella in cui Corasaniti fa un maggiore uso delle fonti orali, le interviste agli e alle allora militanti dei Cao. Tuttavia, è proprio qui, nella scelta di usare le fonti orali prevalentemente nella parte dedicata alla radio, che ritrovo l’unico limite di questo importante lavoro: sul piano della soggettività dei militanti e delle militanti e del senso che l’esperienza nei Comitati autonomi operai romani assume nella loro memoria a distanza di oltre quarant’anni, sarebbe stato prezioso un uso più diffuso e analitico delle interviste raccolte dall’autore durante la ricerca.

La foto di apertura è di Tano D’Amico