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La terra, il cielo, i corvi. Alla (difficile) ricerca della personale meraviglia

Il nuovo fumetto di Teresa Radice e Stefano Turconi, edito da Bao Pubblishing non è solo un libro da leggere ma è utile strumento per affrontare questi tempi strani che viviamo.

Le storie di Teresa Radice e Stefano Turconi, arrivano nella mia vita sempre in momenti particolari, il più delle volte complicatissimi, e puntualmente mi aiutano a capire un po’ meglio quello che mi accade. Sono una particolare stella polare da osservare quando si è persa la rotta. Ovviamente questa cosa non poteva non succedere anche stavolta, in questo 2020 che ha cambiato drasticamente le nostre vite. Ci troviamo in questo strano mondo pandemico a esser bloccati da qualcosa che non possiamo vedere, privati della bellezza dei baci e dello stare assieme. Sospesi in giorni grandi come stanze (per dirla come Emilia Giorgi in un recente libretto) un po’ intimoriti da quello che ci attende al di fuori degli ambienti che siamo certi di aver sanificato. Ci ritroviamo a provare angoscia nei luoghi delle nostre città in cui sino a qualche mese fa passavamo giornate intere. A ricercare lo spazio aperto perché meno rischioso di quello chiuso…ma sempre con quell’ansia, ogni giorno più difficile da nascondere. Immagino che questa paura dello spazio (interno o esterno che sia) deve aver provato anche Attilio Limonta nelle 196 tavole de La terra, il cielo, i corvi, quando di punto in bianco, sebbene immerso nuovamente nella “sua” natura, si ritrova spaesato e impaurito in una «vastità […] disorientante e spaventosa»!

La storia, ambientata nel 1943, parla infatti della fuga di un soldato italiano dalla prigionia in Russia durante la Seconda Guerra Mondiale. Come co-protagonisti un caporal maggiore dell’esercito tedesco (Werner Volker – Fuchs) e un soldato russo (Ivàn Pavlovič Mostovskij – Vanja) preso in ostaggio per scappare. Questo trio improvvisato, da barzelletta «che si raccontano giù al crotto dei platani», non parla la stessa lingua, ha obiettivi diversi e sembra non fidarsi l’uno dell’altro. Nelle pagine del fumetto, durante il lungo viaggio a piedi nella Russia innevata, il rapporto tra i tre cambia man mano che le maschere che indossano si sciolgono come la neve dagli alberi per far spazio alla primavera. Cambia grazie a un esercizio di empatia che facciamo, noi e il protagonista, per tutto il libro. Attraverso la «lezione di prossimità offerta dalle storie» ci scopriamo «affini agli altri in quanto diversi».

Molto è già stato scritto sulle sfide affrontate dai due autori per creare quest’opera: la scelta meravigliosa di non tradurre le diverse lingue per far immedesimare il lettore appieno nella strana situazione; l’uso della prima persona narrante per far svolgere la trama; le ambientazioni che richiamano i libri bellissimi di Tolstoj e Rigoni Stern, nonché la non facile capacità di raccontare un evento della portata della guerra senza inseguire la grande Storia privilegiando invece le piccole storie degli ultimi. Vorrei soffermarmi, piuttosto, sul ruolo del paesaggio in questo storia, che è la ciliegina sulla torna dell’ennesimo capolavoro degli autori, il valore aggiunto al nuovo meraviglioso racconto del duo. La natura, non è il mero fondale dove si svolge la commedia umana, nonostante gli acquerelli di Stefano sarebbero già di per sé una perfetta scenografia teatrale. Il paesaggio è il vero protagonista assieme ad Attilio della trama. Tra i flashback di una vita precedente ambientate sui monti attorno al Lago di Como, e tra i segnali che la natura russa invia ai nostri fuggiaschi, Attilio riesce a capire cosa fare. L’apparizione di un coniglio, così come quando gli uccelli «che si erano ammutoliti riprendono a cantare» muovono la trama ben più dei semplici personaggi chiusi in loro stessi e provati dalle difficili vicende che affrontano. La natura, amata o odiata che sia, nel corso delle pagine si scopre essere il simbolo della Libertà. La libertà di ricercare una «personale meraviglia: i luoghi e le persone che», ovunque siamo, o qualunque cosa stiamo facendo, ci «fanno sentire a casa». Sia che ci troviamo su quel ramo del lago di Como o tra le isole Solovetskij.

Ed è proprio per tale ragione, che in questo momento particolare, La terra, il cielo e i corvi non è solo un libro da leggere ma è anche un utile strumento per affrontare la realtà. Lo dicono d’altronde molto bene Teresa e Stefano nel messaggio ai lettori del libro: «a volte il modo più efficace per far pace con la realtà è frequentare la finzione. O la natura. O entrambe». Un po’ come cantavano gli Assalti Frontali nella canzone Spugne del 2011: «Ci vuole molta fantasia per sopportare la realtà». Da questa fantasia che dobbiamo ripartire, in questo strano 2020, immaginando nuove forme di vita e soprattutto di paesaggi per ricercare la nostra personale meraviglia. Immergerci in un viaggio coraggioso (e disperato) come quello di Attilio, Fuchs e Vanja, che ci porti a (ri-)scoprire lo spazio come luogo d’incontro e di crescita. Che ci porti a «ritrovarsi guardando oltre sé» negli occhi e nelle storie dell’altro. Sia un tiglio piantato nell’asfalto di parcheggi per le auto o un bosco di montagna, il panorama mozzafiato di un lago o il terrazzo condominiale di cui non avevamo mai saputo l’esistenza (ma da cui si vede tutta la città), è arrivato il momento di ripensare insieme i luoghi, soprattutto pubblici e comuni, come spazi da usare per ricercare la bellezza e il benessere per tutti e tutte anche se ancora per un po’ lo dovremmo fare a “distanza di sicurezza” gli uni dagli altri.