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LIBRI

La storia di un Municipio Ribelle e di un’altra città

Più di dieci anni di governo del Municipio raccontati da chi ne è stato protagonista nel libro pubblicato da Momo edizioni “Roma anni zero- Cronache dal Municipio Ribelle”. Durante la presidenza di Sandro Medici si è materializzata una città diversa, pensata per chi la abita e non per chi ne estrae valore

Sandro Medici, in una sorta di diario scritto a posteriori, racconta la sua esperienza di presidente del Municipio Ribelle, come fu chiamato l’allora settimo Municipio, in quel decennio che apriva il nuovo secolo. Roma anni zero- Cronache dal Municipio Ribelle pubblicato da Momo Edizioni ci porta a Cinecittà, un quartiere di Roma fra i più densamente popolati cresciuto rapidamente dagli anni ‘50 in poi.

Alla fine della guerra la maggior parte del territorio è ancora agro romano, un’oasi naturalistica ricca di reperti archeologici, prevalentemente rurale, dove la vita contadina era legata ai cicli naturali e alla coltivazione dei campi, con l’obiettivo di rifornire i mercati di Roma. Poi un fenomeno di espansione urbana disordinata inizia a erodere il territorio agricolo.

Nasce il quartiere Don Bosco sui terreni dei marchesi Gerini con una distesa di intensivi di otto, nove piani tutti di iniziativa privata che portano la densità abitativa in quell’area a 1.200 abitanti per ettaro. Di iniziativa pubblica è invece il quartiere Ina Casa, uno dei più grandi interventi realizzati dal “Piano Fanfani”. Due milioni di metri cubi in un’area di 35 ettari danno la casa a 18mila abitanti

Un territorio che si è presentato da subito con mille problemi, non differenti da quelli che conosce tutta la città e che l’amministrazione guidata da Sandro Medici si è trovata  a dover affrontare fin dall’inizio.

Lo ha fatto stravolgendo le pratiche che gli amministratori fino ad allora avevano messo in atto, con fantasia e coraggio. Ha potuto farlo perché non era solo, ma era appoggiato, spinto, sollecitato da chi i problemi li viveva sulla propria pelle e animava lotte in quel quartiere. Lo ha fatto con la complicità, che mano a mano si guadagnava, degli amministrativi del Municipio.

Scorrendo il racconto si capisce che il vero protagonista del libro è il conflitto. Quello con un’amministrazione centrale che mal tollerava le unioni civili, i testamenti biologici, le alzate di testa di un municipio ribelle. Il conflitto agito da chi non ha una casa e ne rivendica il diritto, da chi occupa spazi abbandonati e ne fa spazi sociali, dalle donne che inventano Lucha y Siesta, da chi come Don Sardelli non si arrende all’emarginazione dei poveri dell’Acquedotto Felice.

È da questo conflitto e da coloro che lo animano che Medici trova la spinta per agire. Si mette a disposizione e insieme a loro progetta e a tratti realizza un’altra città. Insomma scopre che all’interno di quella realtà urbana ci sono già tante pratiche incredibilmente ricche di possibilità alternative.

Da qui la capacità di far nascere la cooperativa dei “Cantieri Sociali” che riesce a dare dignità a quel gruppo di lavoratori e lavoratrici socialmente utili e perfino portare un vantaggio economico per l’amministrazione pubblica. Un capitolo dopo l’altro l’autore ricostruisce le scelte che l’amministrazione prende per cambiare il volto di quel Municipio. Elabora la proposta di un bosco urbano, contro le previsioni del piano regolatore che prevedeva di riempire di cemento il Pratone di Torre Spaccata con una Centralità urbana. Purtroppo il bosco urbano non esiste ancora oggi e resta concreta la minaccia della sua cementificazione.

Il problema più drammatico, quello della mancanza di case, è stato il più difficile da affrontare. Centinaia di persone si riversavano ogni giorno in Municipio, disperate e senza sapere dove andare a dormire. Senza alcun appoggio dall’amministrazione centrale e incapace di offrire una risposta Medici osa l’impossibile. Requisisce un immobile da tempo disabitato di proprietà di un monsignore e nei mesi successivi altri fino ad arrivare a 216 alloggi. Seguirono naturalmente denunce e processi. Alla fine dei tre gradi di giudizio arrivò l’assoluzione. Dunque si poteva fare!

Il racconto di quegli anni ci dimostra che molte cose si potrebbero fare, basta volerlo, basta mettersi dalla parte di chi la città la abita invece che stare sempre dalla parte di chi dai territori vuole estrarne valore.

È la rivoluzione, il momento in cui in tanti diversi si rendono conto che un’azione collettiva può creare qualcosa di radicalmente diverso, stravolgere il presente e rendere possibile, anche per un istante, un’altra città. È quello che è avvenuto in quel decennio nel Municipio Ribelle guidato da Sandro Medici. Proprio una rivoluzione.

L’immagine di copertina è a cura di Momo edizioni

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