La revoluciòn bolivariana oltre Chavez

Il Venezuela dopo il voto: intervista ad Íñigo Errejón ricercatore e attivista.

Dopo la morte del presidente Chavez avvenuta lo scorso 5 marzo, su DinamoPress abbiamo raccontato con le parole di Íñigo Errejón il clima e le sfide che la revolucion bolivariana aveva davanti a sé. Il successore designato a proseguire il processo democratico di rivoluzione bolivariana è Nicolas Maduro, ex conducente di autobus e uomo di fatto di Chavez, uscito vincitore dalle elezioni di domenica 14 aprile con un margine di vantaggio sulla destra di Capriles di poco più dell’1% (circa trecentomila voti). Il CNE (consiglio nazionale elettorale) ha diffuso i dati con cui ha proclamato Maduro presidente del Venezuela lo scorso 16 aprile: il 50,75% dei voti sono andati a Maduro e 48,98% a Capriles, con una affluenza del 79,17% . Per altri sei anni e per la diciassettesima volta su diciotto, anche se con un margine molto risicato rispetto alle altre tornate elettorali, l’opzione chavista vince in Venezuela, e mentre si scatenano le tentazioni golpiste e le violenze dei gruppi paramilitari legati al candidato conservatore Capriles, abbiamo assistito sui nostri media mainstrem ad una narrazione mistificata, come da decenni avviene rispetto al processo rivoluzionario venezuelano.

“Appena quattro giorni fa è stato assassinato un altro compagno, lo stiamo ancora piangendo qui a Caracas mentre ti rilascio questa intervista” mi dice Íñigo dalla capitale venezuelana. “Gli attacchi diventano sempre più rarefatti, il tentativo di golpe, perché di questo si è trattato, è stato però infine sconfitto”. Raggiunto telefonicamente a Caracas, Íñigo Errejónci racconta il clima che si vive in Venezuela, le violenze destabilizzanti dei gruppi neofascisti, la tensione nelle strade, ma anche l’emozione di una pur risicata vittoria elettorale che mantiene aperto lo spazio di trasformazione radicale cominciato con Chavez, che riguarda il Venezuela ma si estende per tutto il continente. “E’ importante per l’intera America Latina questa vittoria, perché il Venezuela guiderà il Mercosur nei prossimi sei mesi e l’offensiva della destra che vorrebbe fermare i processi di emancipazione nel continente è stata fermata” ci dice ancora Íñigo. Infatti, come scrive Federico Larsen di marcha.org.ar la vittoria di Maduro la attendeva il “Mercosur, del quale il Venezuela sarà presidente da giugno, lo aspettavano i paesi del Petrocaribe, che mantengono la produzione energetica grazie ai convegni firmati con Chávez, o Petrobras, con la quale il governo bolivariano sta aprendo una serie di collaborazioni di importanza”.

Analisi del voto

Iniziamo l’intervista chiedendogli un’analisi del voto, capace di rendere conto della complessità della situazione politica venezuelana e latinoamericana. Il quadro politico venezuelano si è complicato nelle ultime settimane, complice anche una particolare campagna elettorale della destra reazionaria, costretta a spostarsi sul terreno di discussione imposto dal chavismo: se questa è di fatto una vittoria (ancorché parziale) del chavismo su cui torneremo più avanti, per la sinistra rivoluzionaria è il momento di una forte autocritica sul perché di questa comunque significativa crisi del voto. Inigo parla di “vittoria inequivocabile” anche se l’accento va posto anche sulla crisi del consenso rispetto alle scorse elezioni, vinte da Chavez il 7 ottobre 2012 con un margine ben superiore a quello con cui ha ottenuto la presidenza Maduro.

Sulle ragioni della perdita dei voti, Inigo indica tre cause principali che a suo modo di vedere, ma anche rispetto anche a quanto si sta discutendo all’interno del partito socialista venezuelano e dei movimenti sociali, hanno condizionato queste elezioni. Come prima cosa ha di certo pesato l’assenza di Chavez: “molta gente” dice Inigo, “ soprattutto parte di quella popolazione ancora distante dai circuiti militanti e dalla partecipazione politica attiva, votava per Chavez a causa della forza della sua leadership, della sua figura, e dopo la sua morte si è sentita orfana di questo elemento. Un’altra causa può essere rintracciata nel cambiamento dello scenario politico latinoamericano, che a differenza dell’Europa – in cui si è determinato uno spostamento a destra, sul terreno neoliberista, anche da parte delle forze socialdemocratiche o di centro-sinistra – ha vissuto in questi anni uno “spostamento a sinistra”, facendo sì che molte questioni proprie della sinistra siano state riprese in maniera strumentale anche dalle destre, Capriles ha dovuto di fatto confrontarsi sul terreno politico imposto dal chavismo”.

Continua ancora Inigo: “Questo ha fatto si che, per esempio, nessuno mette più in discussione alcuni principi del chavismo, come il fatto che le medicine devono essere gratis, la scuola universale e gratuita, queste cose son diventate senso comune nella popolazione, Capriles è profondamente di destra ma ha dovuto presentarsi con una facciata da progressista, una parte del voto è andato all’opposizione a partire da questa nuova rappresentazione politica determinata da quattordici anni di processo bolivariano.”

Le sfide di Maduro

Le sfide che il nuovo governo deve affrontare riguardano appieno la complessità della situazione sociale ed economica in Venezuela che resta comunque, nonostante gli indubbi avanzamenti apportati dal chavismo, una situazione difficile: l’aumento dell’inflazione, le difficoltà nell’assicurare l’energia elettrica sufficiente per tutto il paese, la difficoltà riguardo alla distribuzione alimentare, il rafforzamento dell’industria nazionale. Questi problemi hanno di certo influito rispetto al voto: problemi che continuano a colpire in particolare i settori popolari e che quattordici anni di chavismo non hanno definitivamente eliminato, pur avendo indubbiamente migliorato le condizioni di vita dei venezuelani. “Se da una parte questi problemi hanno a che vedere con la “guerra economica” portata avanti dall’oligarchia degli imprenditori venezuelani contro il governo, di fatto la persistenza di queste problematiche scredita il governo in carica e si ripercuote in termini elettorali sui partiti al potere” continua ancora Inigo.

Maduro ha stabilito quattro punti su cui incentrare la sua politica e il programma del governo per i prossimi sei anni di mandato, punti che potremmo definire come le sfide attuali della rivoluzione bolivariana, oppure le sfide del chavismo dopo Chavez.

Il primo punto riguarda l’efficacia nella gestione del settore pubblico, in particolare plan sociales e ridistribuzione reddito che arrivi a tutti e una maggiore responsabilizzazione del governo nel contrastare il potere delle burocrazie e la diffusa pratica della corruzione. Il secondo punto riguarda la lotta contro l’insicurezza, in particolare contro la delinquenza, che rappresenta un tema difficile da affrontare “da sinistra”, viste le difficoltà affrontate e da affrontare infatti non basta pensare di risolverlo solo con la riduzione della povertà – i poveri sono diventati la metà rispetto al momento in cui Chavez arrivò al potere la prima volta – si tratta comunque di una questione problematica che non riguarda solo la dimensione elettorale, ma siamo in un paese in cui ci si confronta con la difficoltà di riaprire spazi comuni e spazi pubblici in città dominate dalla paura e dall’insicurezza.

Il terzo punto riguarda quella che Maduro chiama la “rivoluzione economica” ed in particolare la necessità di superare la dipendenza dal petrolio e sviluppare un livello industriale adeguato, ovvero ampliare la produzione nazionale. Infine la questione, centrale nel processo rivoluzionario bolivariano, del “poder popular”, ovvero la decentralizzazione dei poteri e la costruzione di nuove istituzioni popolari, le cosiddette “comunas” già attive ma ilcui potere deve diventare sempre maggiore; si tratta ovviamente di questioni che necessitano di molto tempo perché è in gioco il processo rivoluzionario a livello di ripensamento delle istituzioni, dei luoghi di decisione, creandone di nuovi e trasformando lo stato. Maduro dovrà affrontare al meglio queste sfide nei prossimi tre anni: a metà del mandato di ogni presidente venezuelano vi è la possibilità infatti di chiedere la revoca del mandato presidenziale. Chavez ha affrontato e vinto questa sfida, di certo l’offensiva di Capriles dopo aver raccolto le firme necessarie per chiedere la revoca, si effettua una votazione di sfiducia, e nel caso in cui votano per la sfiducia un numero maggiore di elettori rispetto ai voti con cui il presidente ha vinto le elezioni il mandato decade.

Violenze golpiste della destra

Ricostruendo gli avvenimenti relativi ai giorni immediatamente successivi alle elezioni, Inigo ci riporta nel clima vissuto a Caracas in particolare, ma diffuso in molte città venezuelane: lunedì 15 Capriles non riconosce la sconfitta e chiama la gente in piazza, dove esplodono azioni in stile squadrista. Íñigo racconta come più che la mobilitazione di massa raccontata dai media mainstream vi sono state azioni condotte da piccoli gruppi fascisti contro sedi del partito socialista, sono stati inoltre attaccati e a volte dati alle fiamme ambulatori medici, colpiti leader sindacali, assaltate le “misiones de alimentaciòn” statale, luoghi deputati alla distribuzione a prezzi popolari di alimenti di base a metà del prezzo di mercato destinate ai settori più poveri della società.

Sono nove i morti, tutti militanti rivoluzionari, chi del partito socialista chi legato ai movimenti sociali, conosciuti per il loro impegno nella militanza politica: come racconta Íñigo Errejón, e al contrario di quanto i media italiani hanno raccontato, i nove compagni sono stati assassinati dai fascisti che li hanno cercati e uccisi in strada. Difatti, il governo ha reso pubblici i nomi e le professioni dei morti, si tratta di nove lavoratori, tra cui un falegname, un lavoratore precario di un ostello, una giovane donna una disoccupata.

E’ stato inoltre denunciato dall’emittente televisiva chavista Tele Sur un vero e proprio assalto alle sedi giornalistiche, con minacce agli operatori dell’informazione. “Capriles cercava di creare pressioni sul governo di Maduro a livello internazionale per aprire ad una negoziato tra i due schieramenti, di fatto in questo modo non rispettando il voto popolare espresso, e al tempo stesso ha cercato di provocare l’intervento dell’ esercito contro chi protestava in strada per gridare all’allarme repressione, per demonizzare Maduro, per poi utilizzare davanti alla comunità internazionale contro Maduro l’eventuale repressione governativa. Ma nulla di tutto ciò è avvenuto” continua Íñigo Errejón.

Audit del voto

Intanto solo il governo USA, principale sponsor di Capriles, non ha riconosciuto ufficialmente il governo Maduro, anche la Spagna, dopo una iniziale titubanza, ha dovuto riconoscere la legittimità democratica della vittoria chavista, mentre già nell’immediato Cina, Russia e tutti gli stati latinoamericani, Colombia compresa, hanno riconosciuto il nuovo governo, come spiega Federico Larsen nell’articolo “Acà hay presidente”. Senza appoggio internazionale le oligarchie reazionarie hanno dovuto cedere e hanno cercato di concentrarsi in un offensiva politica incentrata sul riconteggio dei voti: emerge chiaramente la strumentalità di questa richiesta, non solo perché, al contrario di quella che è la prassi istituzionale venezuelana, non è stata fatta alcuna richiesta al Tribunale Supremo, ma anche perché è stata effettuata solo una richiesta al consiglio elettorale affinché vengano ricontrollati i voti: per legge è prassi comune in Venezuela che ad ogni elezione il 54% dei voti vengano ricontrollati, si tratta quindi di una misura assolutamente non straordinaria, a differenza di quello che i media occidentali hanno raccontato.

“L’audit sul voto – spiega Íñigo -avviene attraverso un controllo incrociato tra il documento elettorale e la macchina elettronica attraverso cui si esprime il voto, e riguarda la corrispondenza tra la ricevuta del voto e il documento elettorale, senza controllare però la preferenza espressa. Il fatto che non ci siano stati reclami al consiglio elettorale da parte di nessun elettore, fa emergere chiaramente la natura strumentale di questa richiesta da parte di Capriles: “l’opposizione sa che non ‘è stata alcuna frode elettorale, la richiesta di audit non è un fine, ma solo un mezzo per mantenere alta la pressione su Maduro, a livello di attenzione internazionale ma anche di delegittimazione interna, per cercare di frenare il consolidamento dell’espressione popolare a livello elettorale, cercando di mobilitare la base dell’opposizione in forma più democratica di quanto avvenuto nei giorni immediatamente successivi al voto”.

Come vivono i movimenti sociali e i chavisti questa fase?

“In questo momento si mescolano tante questioni e tante emozioni- continua Íñigo -è molto forte la richiesta di giustizia per i morti e la richiesta di condanna degli assassini, si chiede a gran voce che non sia accordata nessuna impunità ai responsabili”. Il fatto che la situazione sia stata gestita e non sia sfociata in guerriglia o guerra civile viene vista dai movimenti sociali e dai sostenitori di Maduro come una responsabilità collettiva, una scelta di non cadere nelle provocazioni, che però è stata pagata in termini di compagni uccisi e rispetto ai quali si reclama giustizia”.

Al tempo stesso è forte anche la richiesta di autocritica collettiva, ma anche di presa in carico in maniera collettiva della riuscita di un processo politico complesso, senza precedenti storici, ovvero quello di un “ processo di costruzione di una società socialista (secondo lo specifico immaginario latinoamericano che è abbastanza diverso da quello europeo) ma che si sviluppa in una dimensione di libertà e democrazia”: proprio in questi giorni migliaia di movimenti di base del Chavismo si sono incontrati a Caracas per rilanciare la rivoluzione dal basso con la sfida delle tre R (Revisión, Rectificación y Reimpulso) del processo rivoluzionario. “Il passaggio verso le nuove istituzioni politiche per ora passa attraversa le elezioni, se le perdi anche una sola volta arriva al potere un nemico di classe e blocca totalmente il processo” aggiunge Íñigo. “Anche se ambiare lo stato e trasformare società, politica e cultura è un processo lungo, devi anche vincere battaglie immediate, per esempio affrontare le questioni che ho riportato prima sulla sicurezza e la maggiore redistribuzione della ricchezza per esempio. La sfida dei prossimi 3 anni è decisiva, bisogna fortificare la rivoluzione in una fase difficile, davanti ad un problema enorme: come garantire la sua irreversibilità, ovvero come far sì che il processo bolivariano trasformi in profondità le strutture politiche, economiche e sociali del paese. Un esempio storico potremmo farlo rispetto alla Tatcher in Inghilterra, che ha cambiato per sempre il paese al di là dell’alternanza elettorale e di governo. Ovviamente in un senso opposto! Ma il concetto è questo, cioè anche se perde le elezioni il paese lo hai comunque cambiato per sempre, questo è il tema più importante nella discussione nei movimenti sociali”.

La fase è comunque difficile e la flessione in termini di voti in Venezuela, così come la recenti vittoria delle destre in Paraguay con il ritorno al potere del Partito Colorato, dopo il golpe bianco contro l’ex presidente Lugo dello scorso luglio, ci raccontano di una fase complessa per i processi di trasformazione legati ai governi della svolta a sinistra latinoamericana. Adesso la sfida venezuelana entra nella fase più delicata ma decisiva, quella di rafforzare i processi di trasformazione in maniera radicale, senza cedere a compromessi con le destre che hanno riacquistato terreno: una sfida che va oltre il Venezuela e che riguarda, con tutte le contraddizioni, tutti quelli che vogliono costruire un mondo diverso.