La moneta in trincea

E’ il capitalismo bellezza – Seconda puntata.

È ufficiale, siamo in guerra, una vera e propria guerra globale in cui si giocano gli assetti geo-strategici del futuro prossimo, non c’è più analista economico che non si soffermi su questa novità. Non si tratta del Mali, ma di una guerra che, al momento, usa una sola arma: la moneta. Svalutare la moneta per sostenere crescita e occupazione. È la ricetta che persegue la Fed di Bernanke, con la sua terza operazione di quantitative easing. Ma è anche la ricetta, promossa in grande stile, del Giappone di Shinzo Abe: dopo vent’anni di deflazione, e nonostante un rapporto debito/PIL del 236%, la banca centrale nipponica svaluta lo yen, attraverso l’acquisto massiccio di bond pubblici, mentre il governo rilancia l’intervento pubblico in economia, l’equivalente di 170 miliardi di euro saranno destinati al sostegno di ricerca, sviluppo, nuove tecnologie.


L’obiettivo di Bernanke è chiarissimo: ridurre la disoccupazione dal 7,8% attuale al 6,5%. Abe, altrettanto, punta a conseguire l’aumento, già nel 2013, di 600 mila posti di lavoro. Incrementare l’occupazione, ma soprattutto favorire, attraverso la svalutazione competitiva, l’aumento dell’export. Questo secondo elemento alla base del primo e viceversa, alla ricerca del circolo virtuoso e, chiaramente, della via d’uscita dalla crisi.

A scapito di chi si gioca questa rincorsa svalutativa? Non ci sono dubbi, dell’euro. La «gabbia d’acciaio» neoliberale, la moneta unica, segna l’impotenza della Bce. Il board di inizio gennaio, nonostante le attese, ha chiarito che non sarà tagliato ulteriormente il tasso di interesse, rimarrà fisso, piuttosto, allo 0,75%. E le operazioni “eterodosse” di Draghi, l’acquisto dei titoli di Stato dei PIIGS sul mercato secondario e l’immissione di liquidità a sostegno delle banche, non sono state sufficienti a mettere in questione il dogma ordoliberale: la stabilità dei prezzi. Paradosso vuole dunque che l’euro si una moneta forte – che a partire dal 2011 si è apprezzata del 70% sul dollaro – mentre l’economia europea annaspi nella recessione.

Paradosso o semplice necessità? Direi la seconda, senza particolari dubbi. Proprio perché la Fed ha fissato il tasso di interesse allo 0,25% e immetterà ad oltranza 85 miliardi di dollari al mese nei mercati, attraverso l’acquisto di bond, l’America continua a crescere, seppur in modo debole, e l’occupazione altrettanto. Certo, è la natura del dollaro come moneta imperiale a tenere a freno, nonostante tutto, l’inflazione. Ma rimane il fatto che la Fed ha le idee chiare: svalutare significa agevolare l’export a stelle e strisce, gli altri si arrangino. L’austerity, invece, non può che alimentare deflazione e recessione, i due processi viaggiano assieme.

Ora viene da chiedersi: perché la Germania, la cui economia nel 2012 è cresciuta solo dello 0,7% e nel 2013 non supererà lo 0,4%, si ostina ad imporre una ricetta economica tanto suicida? Semplice, non è la Germania che si sta suicidando, ma il resto d’Europa, dalla Grecia all’Italia, dalla Spagna al Portogallo, arrivando – vedrete – anche alla Francia. La Germania cresce meno – ma d’altronde non è mai cresciuta troppo nell’ultimo decennio – e intanto ridisegna gli assetti capitalistici in Europa e quelli geostrategici a livello globale. Se deve fare a meno dell’export continentale, se la caverà con quello rivolto ad oriente, dalla Russia alla Cina. Intanto nei PIIGS il mercato del lavoro viene completamente deregolamentato e i colossi finanziari tedeschi sfruttano la svendita di asset strategici e public utilities. Senza dimenticare, poi, che la popolazione tedesca, al pari di quella giapponese, è vecchia, la più vecchia d’Europa, garantirne pensione e risparmi è la prima preoccupazione di tutte le forze politiche, soprattutto di quelle, CDU e SPD, che con buona probabilità dal prossimo novembre governeranno assieme il paese.


Leggi anche: “E’ il capitalismo, bellezza! – Prima Puntata. Senza tetto nè legge”