ITALIA

La liberazione di Carola, la rabbia di Salvini: ora la battaglia è contro il Decreto Sicurezza Bis

Il provvedimento della giudice per le indagini preliminari che ieri ha liberato Carola Rackete fa vacillare il Decreto voluto dal Ministro degli Interni per normalizzare le azioni di salvataggio in mare. Da oggi, inizia la mobilitazione che accompagnerà la discussione in parlamento

«Il fatto contestato all’indagata Carola Rakete non può essere atomisticamente esaminato, ma deve essere vagliato unitamente e alla luce di ciò che lo precede, ossia il soccorso in mare e gli obblighi che ne scaturiscono. In particolare la Carta Costituzionale, le convenzioni internazionali, il diritto consuetudinario e i Principi Generali del Diritto riconosciuti dalle Nazioni Unite, pongono obblighi specifici sia in capo ai comandanti delle navi che in capo agli Stati contraenti, in ordine alle operazioni di soccorso in mare». Si apre con questa premessa l’ordinanza sulla richiesta di convalida di arresto e applicazione della misura cautelare nei confronti della comandante di Sea Watch 3 firmata ieri dalla giudice per le indagini preliminari Alessandra Vella. Il provvedimento giurisdizionale, che non ha convalidato gli arresti domiciliari, fa a pezzi punto per punto sia la propaganda salviniana di questi giorni, sia la misura-bandiera del ministro dell’Interno definita «decreto sicurezza bis», almeno nella sua applicazione contro le navi umanitarie che salvano i migranti. L’ordinanza che scagiona Carola Rackete, infatti, arriva con quel decreto in piena vigenza. Dalla minuziosa ricostruzione degli eventi, la giudice fa emergere diversi elementi che è utile sottolineare.

Primo: la decisione di non riportare i migranti in Libia è stata corretta, perché la Libia non può essere considerata un porto sicuro. Questa ovvietà, oggi tristemente confermata dalla strage di almeno 44 persone migranti recluse nel lager situato nell’area di Tajoura e bombardate dal generale Haftar, è internazionalmente accettata e dimostrata sulla base dei rapporti di istituzioni internazionali come le Nazioni Unite. Su questo punto il ministro Salvini mente sapendo di mentire. Intanto il parlamento italiano ha votato nuovamente il finanziamento delle milizie libiche mascherate da guardia costiera. Una vergogna di cui la storia presenterà il conto a chi l’ha votato e a chi vigliaccamente non ha partecipato al voto, come il Pd.

La giudice Vella ha poi stabilito che neanche la Tunisia può essere considerata un porto sicuro. Al di là delle vergognose battutine del ministro dell’Interno sui ricchi turisti europei che vanno a prendere il sole, ci sono prove documentate di violenze e torture nei confronti dei migranti con lo scopo di convincerli a non richiedere asilo. Alcuni di loro sono stati bloccati per 14 giorni in condizioni disumane su una nave a largo di Tunisi, con il divieto di sbarcare. Successivamente sono stati espulsi senza poter presentare la domanda di protezione internazionale. In generale, inoltre, la Tunisia non ha un sistema di asilo. Per ultimo, dal momento che Lampedusa era geograficamente più vicina di Malta al luogo del salvataggio, sulla base delle prove raccolte dalla Gip la decisione della comandante Rackete è stata corretta e non è stato rilevato alcun intento strumentale nella ricerca delle coste italiane, come le diverse tesi complottiste animate da esponenti del governo giallo-verde vorrebbero far credere.

Secondo: la giudice ha stabilito che la motovedetta della guardia di finanza, dal momento che agiva in acque territoriali italiane, non può essere considerata una nave da guerra, facendo decadere i capi di imputazione di violenza e resistenza a nave da guerra. La resistenza a pubblico ufficiale, invece, è stata ritenuta giustificata sulla base di una «scriminante», cioè di una causa di giustificazione che toglie al fatto il carattere di reato: l’aver agito per salvare vite umane in mare. Su questo punto il solito Salvini e i suoi seguaci utilizzano la falsa metafora di una persona che non si ferma all’alt di un posto di blocco. Secondo questa tesi propagandista e complottista il cittadino comune verrebbe immediatamente arrestato per un comportamento simile, mentre alla «ricca fuorilegge tedesca» la «magistratura rossa» permetterebbe di violare la legge senza conseguenze. Chi vuole utilizzare questa metafora dovrebbe aggiungere alcuni dettagli: il fatto che quella non è una macchina, ma un’ambulanza diretta all’ospedale più vicino; che non trasporta 1, 2 o 3, ma 40 persone bisognose d’aiuto; che il posto di blocco è consapevole del carico umano e dei rischi che affronta; che l’ambulanza si è fermata e ha chiesto permesso di passare per raggiungere l’ospedale; che ha aspettato più di due settimane per ricevere quel permesso; che solo dopo tutti questi avvenimenti l’autista, dovendo rispondere a un dovere superiore che è quello di salvare le persone, ha deciso di ripartire e lo ha fatto a velocità bassissima per non mettere a rischio nessuno degli agenti del posto di blocco, ma neanche le 40 persone trasportate; che una volta arrivata in ospedale mentre l’ambulanza ha cercato di parcheggiare una volante che le ha tagliato la strada cercando di impedire fisicamente la fine della manovra.

L’ordinanza smentisce quindi le ricostruzioni propagandistiche di Salvini, che anche ieri sera nel suo discorso alla nazione via Facebook è tornato a sottolineare il tasto emotivo del rischio per la vita dei cinque finanzieri a bordo della motovedetta «speronata». Non solo il magistrato ha stabilito che questo rischio non c’era, che Rackete non aveva nessuna intenzione di far loro del male, ma anche che di fatto il comportamento illegittimo è stato quello dell’unità della Gdf che in una manovra folle ha tentato di frapporsi all’attracco sacrosanto e giustificato della Sea Watch 3. Forse, la responsabilità dei rischi occorsi ai militari andrebbe ricercata tra chi ha dato loro l’ordine di impedire a ogni costo la manovra legittima della nave.

Terzo: per quanto riguarda l’inasprimento delle misure contro le navi umanitarie contenute nel Decreto Sicurezza bis è il richiamo alla Costituzione e ai trattati internazionali, pacta sunt servanda scrive la giudice, a escludere la legittimità dell’applicazione di quel provvedimento a chi salva dei naufraghi. Le navi straniere, infatti, non possono essere ritenute pregiudizievoli per la pace, il buon ordine e la sicurezza dello Stato se sono impegnate in un’azione di soccorso di persone che in mare rischiano la vita. Questo soccorso, infatti, in base alle fonti giuridicamente sovraordinate non solo è legittimo, ma anche obbligatorio. E questo tipo di azione va considerata nella sua completezza: dal trasbordo dei naufraghi alla loro conduzione e sbarco nel porto sicuro più vicino.

«Il provvedimento del Gip di Agrigento ripristina il primato del diritto rispetto a quello della forza», scrivono in un comunicato i legali della difesa di Rackete, gli avvocati Alessandro Gamberini, Salvatore Tesoriero e Leonardo Marino. Secondo l’ordinanza, infatti, il diritto stava dalla parte della capitana, mentre l’uso della forza è stato praticato illegittimamente contro di lei. Un mondo ribaltato rispetto alla narrazione che in questi giorni Salvini e altri esponenti del governo, compresi i servili 5 Stelle, hanno dato in pasto al pubblico. Se per Salvini la magistratura è buona solo quando lo assolve dalle accuse di sequestro di persona o quando condanna oppositori e stranieri, stupisce che un esponente politico come il vicepremier e ministro del Lavoro Luigi Di Maio, che sulle retoriche legalitarie ha costruito la sua carriera politica, si dica “sorpreso” dalla decisione della giudice e continui a inseguire l’omologo della Lega in misure sempre più dure contro le navi umanitarie («serve la confisca», ha proclamato ieri, invocando una misura neppure prevista dal Decreto Sicurezza bis se non in caso di reiterazione del reato). La doppia morale è forse parte del contratto di governo?

In generale, il provvedimento giurisdizionale di ieri va considerato nel quadro delle forme di resilienza della democrazia costituzionale nei confronti delle bordate eversive del ministro dell’Interno. Bordate che includono parole e provvedimenti politici approvati con il sostegno del partner di governo a 5 Stelle.

Per il momento, esiste ancora una gerarchia delle fonti e quelle sovraordinate prevedono che la sovranità statale che si esprime nella (presunta) difesa dei confini debba essere subordinata alla protezione della vita degli esseri umani. Bisogna ricordare che questo principio, scritto ora nero su bianco dalla giudice per le indagini preliminari, è stato l’esito di uno scontro che ha avuto come punto di innesco l’atto di disobbedienza di Carola: senza quel gesto coraggioso della comandante della Sea Watch 3 non si sarebbe neanche aperta la contesa giuridica e il processo di normalizzazione e repressione delle azioni di salvataggio in mare perseguito a colpi di decreti governativi si sarebbe concluso senza intralci. Dimostrata la loro valenza giuridicamente nulla, quei decreti si presentano ora per quello che sono sempre stati: atti politici di pura intimidazione.

Si apre ora un nuovo fronte dello scontro politico: proprio oggi, infatti, inizia la discussione in parlamento del Decreto Sicurezza Bis. A fronte del pronunciamento della giudice che ne depotenzia significativamente l’efficacia, il governo tenterà probabilmente di emendarlo ulteriormente. Le contromosse sono per ora imprevedibili, anche se le dichiarazioni minatorie rilasciate con la faccia gonfia di rabbia da Salvini sui social, non lasciano presagire nulla di buono per la tenuta delle istituzioni democratiche del paese.

Nel frattempo, la mobilitazione permanente che ha attraversato da mercoledì scorso molte città italiane a sostegno della liberazione di Carola si sta trasformando in quella contro l’approvazione del Decreto Sicurezza Bis. Oggi il primo appuntamento in piazza Montecitorio a sostegno dello sciopero della fame indetto da Padre Alex Zanotelli, domenica 7 luglio la Rete Restiamo Umani lancia un’assemblea pubblica alle ore 20 a Piazza dell’Esquilino a Roma.