MONDO

La Camera approva la missione in Niger

A grande maggioranza, un Parlamento a camere già sciolte benedice la missione militare nel paese africano: un intreccio tra appropriazione neo-coloniale delle risorse e militarizzazione delle vie migratorie. Abbiamo intervistato Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo

Come era altamente prevedibile, la Camera ha approvato a grande maggioranza il finanziamento di una missione militare in Niger. Dinamo ne aveva già parlato a dicembre, quando l’annuncio era stato dato. In quell’analisi evidenziavamo i legami tra la missione, l’accaparramento neo-coloniale di risorse del paese e la volontà di prevenire l’arrivo dei migranti in Libia, paese politicamente instabile in cui è difficile bloccare le vie percorse da chi lascia l’Africa subsahariana, nonostante i ripetuti sforzi di Minniti di pagare le milizie libiche per fare il lavoro più sporco.

È tuttavia ulteriormente grave il contesto in cui tale annuncio avviene. Nel 2017 era stata faticosamente approvata una legge quadro finalizzata a normare l’approvazione delle operazioni militari all’estero. Uno dei punti cardine del provvedimento era che queste venissero approvate singolarmente dal Parlamento e non attraverso decreti legge. Al primo anno di applicazione si viene a creare la situazione paradossale per cui un Parlamento già sciolto viene riconvocato solo per approvare le missioni militari. È pertanto ovvio che se già il dibattito parlamentare è scarno, in un momento in cui le Camere sono ufficialmente sciolte e sono convocate solo per l’approvazione, la possibilità di discutere emendamenti e fare critiche è quasi inesistente.

Rispetto al finanziamento della missione l’arco parlamentare si è ritrovato in piena sintonia, perfino la Lega di Salvini ha detto di essere favorevole a «tutte le iniziative che permettono di difendere i nostri confini e gli interessi nazionali» anche se poi in aula si è astenuta. Evidentemente nelle mappe geografiche della Lega i confini dell’Italia si espandono fino al Sahel.

La migliore amica di Leonardo (l’ex-Finmeccanica), ovvero la ministra Pinotti si è nascosta dietro all’importanza del valore educativo della missione, visto che i 500 militari con il tricolore saranno impegnati per lo più in addestramenti.

Abbiamo chiesto di commentare questa scelta fuori tempo massimo del governo Gentiloni a Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo.

 

Ci puoi spiegare perché la scelta di finanziare la missione potrebbe anche essere collegata a necessità di bilancio? Quanto incidono le missioni militari nel bilancio complessivo del ministero della Difesa?

Le missioni militari, negli ultimi 10 anni, hanno stabilmente superato il budget di 1000 milioni di euro (cioè un miliardo) annuali. Sono sempre più strutturali, ed è strutturale che la Difesa possa attingere da fondi extra budget come quelli delle missioni all’estero che dipendono dal ministero dell’Economia e non dal bilancio standard del Ministero della Difesa. Il problema è che al momento le Forze Armate non sono più in grado di sostenere i costi di gestione con fondi regolari. Lo ammettono pure loro in documenti ufficiali. Senza i fondi delle missioni militari la Difesa non è in grado a oggi di garantire i costi base di gestione delle truppe. Se quindi quei fondi sono così indispensabili, le missioni possono essere una buona scusa per ottenere quei fondi stessi. Questo è molto grave, perché così pure le missioni diventano indispensabili indipendentemente dai loro scopi od obiettivi specifici.

Nel 2018 le spese per missioni all’estero saranno di 1280 milioni di euro, è un costo costante rispetto al 2017 ma risalito del 30% dal governo Monti ad oggi.

 

Pochi giorni fa, tramite l’inchiesta del New York Times, ha avuto ampia diffusione una notizia che voi avete spesso denunciato, cioè il ruolo della produzione di armi italiana nelle forniture dirette in Arabia Saudita. In generale, si può immaginare un collegamento tra la produzione e il commercio di armi e le missioni militari dell’esercito?

Non c’è un collegamento diretto, tra l’export di armi e le missioni militari. Il commercio d’armi è per lo più legato a fattori quali gli accordi di cooperazione militare e le partnership economiche tra gli stati, quelle che avvengono con visite reciproche di cortesia e incontri diplomatici. Un unico collegamento diretto è stato il Tour “Sistema Paese in Movimento” della portaerei Cavour che, tra 2013 e 2014 e anche grazie a contributi di aziende private, ha girato per tutta l’Africa per promuovere la industria militare italiana. Ma è stato un caso specifico, per fortuna, che però ha immediatamente garantito nuove commesse armate pure in Paesi che non avevano mai comprato armi “made in Italy”.

Non siamo i soli ad essere presenti in Niger. Quali altri potenze straniere sono coinvolte? E con quali interessi?

In Niger c’è una presenza militare costante francese. E’ una presenza che ha origine postcoloniale ed è utile non solo al controllo dell’immigrazione ma anche allo sfruttamento minerario, soprattutto di uranio. Il nostro ruolo infatti si può ipotizzare anche come moneta di scambio per avere maggiore “tranquillità” in Libia. Il governo italiano ha malvisto un certo attivismo di Macron verso Tripoli. Va comunque ricordato che la zona in cui le truppe saranno inviate è una zona molto calda. Il tentativo, come ha detto pure la Pinotti, è aumentare la nostra zona di influenza, ma non lo stiamo facendo in una zona di forti e molteplici tensioni e non è un elemento da sottovalutare.

Infine farlo in regime di prorogatio del potere del Parlamento è un errore procedurale e politico molto grave.

 

Ricordiamo che per la missione verranno spesi 49,5 milioni di euro. Denaro pubblico che verrà sottratto a scuole che cadono a pezzi, sanità precaria, reddito e molto altro ancora.

Ancora una volta i profitti della lobby dell’industria bellica, le necessità di bilancio del ministero, unite alla retorica antimmigrazione che trasversalmente caratterizza il Parlamento hanno avuto la meglio. A farne le spese, le migliaia di migranti subsahariani in fuga da guerre, persecuzioni, povertà. Da domani, lungo il loro lungo viaggio verso l’Europa, affronteranno in aggiunta anche l’ostacolo dei militari con il tricolore.