PRECARIETÀ

La banalità nella parola “degrado”

Le accezioni che ha oggi nel senso comune la parola “degrado” sono molteplici. Degrado, nell’immaginario mainstream, è quando i senza casa dormono sui cartoni all’interno della stazione, quando gli zingari chiedono l’elemosina, quando i migranti vendono borse contraffatte (che tutti si comprano, anche la moglie del vigile zelante) a via del Corso, quando nuovi murales compaiono sui muri della città, quando i giovani sono seduti sui gradini di una piazza a bersi una birra. Tutti a puntare il dito, a urlare allo “scempio” e alla “vergogna”, contro questi barbari, baluardi dell’incuria e dei mali che affliggono il nostro paese.

Sarebbe bello, invece, che fossero altre cose a essere oggetto di rabbia e indignazione. Ciò che è degradante, non sono i ragazzi dei centri d’accoglienza che girano per i quartieri, o il manifesto dell’associazione di zona affissa “abusivamente” su un muro. Degrado è la mancanza di servizi nelle zone periferiche, considerate di serie B rispetto ai quartieri più centrali: la mancanza d’illuminazione, le strade disastrate, le scuole lontane chilometri dal quartiere d’appartenenza. Degrado sono i posti inesistenti negli asili nido, i pochi dei quali divengono oggetto di contesa e discussione tra le famiglie italiane, che se non riescono a iscrivere il pargolo perché prima di loro in graduatoria c’è una mamma single straniera scatenano il finimondo. Ma non contro il Comune che si preoccupa di pedonalizzare via dei Fori Imperiali per far passare i taxi e le auto blu dei ministri invece di investire in questi agognati “servizi”, ma contro quelle donne che si trovano in una situazione ancora più precaria della loro.

È la logica della guerra tra poveri, nella quale le spese non le farà mai il potente, ma solo il più povero e ricattabile. Degrado è la mancanza di spazi sociali in cui poter passare del tempo e capire quanti e quali benefici si possono trarre dal vivere in una collettività. Degrado sono i centri commerciali che nascono per permettere ai palazzinari di potervi costruire attorno quartieri dormitorio, distruggendo quel poco di verde rimasto per poter vendere le proprie case a 6mila euro il metro quadro. Degrado è quando le politiche abitative non sono minimamente interessate a investire in alloggi popolari e a garantire una dimora a chiunque non possa permettersi un tetto. Degrado è sfrattare una coppia, una famiglia, un anziano, perché a causa della crisi creata dai banchieri e dagli speculatori non riesce più a far fronte a tutte le spese che si trova davanti. Degrado è quando i migranti sono costretti a vivere nei centri d’identificazione ed espulsione, quando sono sottoposti a torture fisiche e psicologiche atroci con il beneplacito di politici e magistrati. Degrado è quando questo inizia a essere percepito normale dal senso comune.

Degrado è quando la cultura viene smantellata dalle recenti “riforme universitarie”, quando prevale la logica aziendale rispetto ai diritti dei lavoratori, quando un precario è pagato 400 euro al mese. Degrado è quando ti propongono uno stage non retribuito perché devi fare esperienza. Degrado è dover chiedere a tuo padre che ha appena perso il lavoro i soldi per l’affitto, perché tu sei stato licenziato dal tuo lavoro in nero a 4 euro l’ora. Degrado è non poter più arrivare alla fine del mese.

Degrado è quando si permette ai fascisti di Casa Pound e Forza Nuova di costituirsi in partito e andare a sprangare la gente per strada in nome di una millantata democrazia, in base alla quale “tutti possono parlare”. Degrado è pensare che questo sia normale. Il degrado è vero, ha tante accezioni. Ma oggi quelle che prevalgono, sono quelle utili ai padroni e ai potenti.