MONDO

A Khan al-Ahmar ho rinnovato la speranza di resistere contro l’occupazione

A Khan al-Ahmar, piccolo villaggio beduino non lontano da Gerusalemme si sta scrivendo un nuovo capitolo della resistenza popolare palestinese all’occupazione israeliana.

 

Il villaggio è sotto ordine di demolizione. Il governo israeliano dice che è stato costruito in zona C senza permesso, pur sapendo che questi permessi, in quella zona, non sono ottenibili.

Dopo mesi di lotte, un primo passo è stato ottenuto con il rinvio dello sgombero sabato 18 ottobre. Oren Ziv, fotografo di Activestills e attivista israeliano, profondo conoscitore delle lotte popolari palestinesi alle quali partecipa dal 2005, racconta in questo articolo  apparso su 972mag.com la sua partecipazione alla resistenza del villaggio.

Da quando la Corte Suprema di Giustizia israeliana ha dato il via libera alla demolizione del villaggio di Khan al-Ahmar, due mesi fa, ho dormito al villaggio quasi ogni notte. In questo periodo, un numero di persone (tra le quali i miei stessi editori) mi hanno chiesto «per quale ragione?». E me lo sono chiesto pure io.

La prima risposta è interamente tecnica: la mia paura che le autorità israeliane avrebbero potuto bloccare completamente l’accesso durante la demolizione. Se fosse successo, nessun giornalista, che non fosse già dentro il villaggio quando all’arrivo dei bulldozer, sarebbe stato in grado di documentare lo sgombero e la distruzione.

Mentre giornalisti palestinesi hanno mantenuto una costante presenza a Khan al -Ahmar negli scorsi mesi, assieme a un po’ di fotografi, ero l’unico giornalista Israeliano che abbia raccontato storie dal villaggio in modo costante negli scorsi quattro mesi. La mia presenza nel villaggio mi ha insegnato che nonostante tutte le sue sconfitte precedenti, la lotta popolare nei territori occupati è ancora viva.

Per tutta l’estate, e specialmente dalla sentenza finale della corte a settembre, centinaia di attivisti palestinesi sono rimasti nel villaggio di giorno e di notte. Il Comitato della ANP contro Muro e Insediamenti ha offerto loro infrastrutture per la permanenza, da viaggi in bus, a coperte, a cibo a elettricità per caricare i telefoni.

Un mese fa nessuno in Israele, West Bank o anche nel mondo, avrebbe mai creduto che la lotta di poche centinaia di attivisti avrebbe potuto vincere nel ritardare – se non sconfiggere del tutto – la decisione di Netanyahu di demolire il villaggio.

Nonostante la grande maggioranza di attivisti e giornalisti pensasse che la demolizione sarebbe stata solo questione di tempo, sabato 20 ottobre, quando il primo ministro Netanyahu ha annunciato che avrebbe rimandato la demolizione fino a una decisione successiva, tutto è apparso differente. Per un momento è stato possibile vedere che una lotta coraggiosa, popolare e non violenta può raggiungere l’impossibile.

Ho sentito vari giornalisti israeliani sostenere, negli scorsi mesi, che senza il supporto della ANP e degli attivisti, i beduini residenti a Khan al-Ahmar avrebbero già firmato un accordo e lasciato volontariamente il villaggio per trasferirsi sul piccolo pezzo di terra vicino a una discarica a Gerusalemme Est che Israele stava offrendo loro.

È una falsità.

Per anni, senza il sostegno della ANP, i cittadini di Khan al-Ahmar si sono rifiutati di cedere e hanno portato in tribunale la loro lotta. Gli attivisti sono stati lì a supportare i residenti mentre hanno affrontato una incredibile e incalzante pressione da parte delle autorità israeliane a cambiare pensiero e lasciare le proprie case. Questo ha incluso violenza poliziesca, entrate del villaggio bloccate e raid.

La presenza sul campo di attivisti e di alcuni media è stata la parte integrale di una lotta efficace che ha portato a una copertura mediatica costante da parte di organi di informazione mondiale. La pressione internazionale su Israele, da diplomatici fino alla Corte Internazionale Criminale, non ci sarebbe mai stata senza l’impegno di attivisti, visite al villaggio e incontri con diplomatici in visita.

Mentre è difficile immaginare un ministro del governo israeliano che dorme in una tenda di un villaggio beduino per un mese e mezzo, questo è esattamente quello che Walid Assaf, il ministro ANP del Comitato contro Muro e Insediamenti, ha fatto. Lui, i membri del suo staff nel ministero e alcuni attivisti veterani dei comitati di lotta popolare si sono scontrati direttamente con la polizia israeliana e sono stati spesso bastonati o ricoperti di gas.

La presenza di attivisti di sinistra israeliani, invece, è stata dolorosamente mancante. Nonostante il senso di urgenza nei social media, solo un piccolo numero di attivisti da Ta’ayush e All That’s Left sono stati permanentemente nel villaggio i mesi scorsi. Politici e leader dei movimenti di sinistra non hanno fatto troppi sforzi per mobilitare gli israeliani a solidarizzare con i residenti di Khan al-Ahmar, anche se alcuni gruppi come B’Tselem e altri hanno giocato un ruolo significativo a livello diplomatico.

E comunque, nonostante le poche presenze, l’incontro tra israeliani e palestinesi all’interno di una battaglia comporta significati maggiori di quelli della lotta specifica che si combatte. Incontrare persone da tutta la West Bank, molti dei quali non partecipano a proteste in cui ci siano israeliani presenti, è stato un motivo per ricordare la differenza abissale tra la realtà vissuta da palestinesi e da israeliani.

Ho incontrato giovani palestinesi dal campo profughi di Askar, vicino Nablus, da Jenin, Hebron, molti nei quali leggono i media in ebraico e sono interessati a che cosa succede dentro Israele. Volevano sempre sapere cosa pensassi e, ancora più importante, cosa pensasse il pubblico israeliano di loro, e se c’è o no una soluzione al conflitto – tutte quelle tipologie di domande che l’israeliano medio ormai non si fa più.

Questi tipi di incontri, nel contesto di una lotta congiunta, ci permettono di immaginare, anche solo per un momento, la possibilità di una realtà differente in questa terra.

Netanyahu sta ora parlando della possibilità di prendersi un po’ di settimane per raggiungere un qualche accordo con i residenti di Khan al-Ahmar, per ricollocarli volontariamente in un posto che sia accettato dagli abitanti stessi. Questo tipo di decisioni, a prescindere da come sarà presentato al pubblico israeliano, proverà qualcosa che sembrava quasi impossibile pochi giorni fa: Netanyahu ha perso e la lotta dei residenti di Khan al-Ahmar ha vinto.

Foto tratta da qui.