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Karsi Direnis. Storia di un giornale resistente ad Istanbul

Due videointerviste, un incontro, tanti giornalisti in lotta: raccontiamo qui la storia del giornale turco Karsi, a partire dal nostro incontro con i lavoratori in lotta nella sede occupata ad Istanbul. La passione, la determinazione e i desideri dei protagonisti della lotta

Un racconto di una storia di lotta, della mobilitazione dei lavoratori, dei redattori e dei giornalisti per il salario e l’informazione indipendente, è la storia dell’occupazione della sede del giornale, della sperimentazione del lavoro in autogestione, di una vertenza che va avanti da ormai due mesi.

Nel mese di maggio siamo stati ad Istanbul, per costruire connessioni transnazionali ed iniziare una inchiesta sulle esperienze di autogestione dei processi produttivi, in particolare gli operai della fabbrica tessile Kasova. Una parte tra le tante e variegate esperienze di lotta dei movimenti che, nati dalla lotta su Gezi Park, hanno profondamente trasformato il paese.

Erano passati pochi giorni dal primo Maggio, come scriveva Serena Tarabini nell’articolo “Il primo maggio rubato“- in cui sindacati e movimenti hanno assediato piazza Taksim resistendo alla violenta repressione poliziesca, e poco dopo sarebbe esplosa la tragedia di Soma e le mobilitazioni contro il governo successive alla strage, approfonditi da Serena Tarabini sul nostro sito con “Non è destino” e “Strage di Soma: sempre più nero“.

Abbiamo incontrato diverse esperienze di lotta operaia, sindacale e autorganizzata, esperienze di connessione e di ricerca attorno a commons, spazi urbani e resistenza, esperienze editoriali autonome e spazi sociali: una ricchezza che il movimento di Gezi ha rilanciato, rinnovato e creato in maniera estremamente interessante.

Attraverso alcuni esponenti del Disk, sindacato rivoluzionario turco, entriamo in contatto con una lotta in corso proprio in quei giorni: si tratta dell’occupazione e dell’autogestione di un giornale, il Karsi, nato pochi mesi fa e chiuso in maniera poco chiara.

 

Decine di giornalisti, giovani ed appassionati ad un progetto editoriale nuovo che hanno visto i loro contratti stracciati, senza stipendi da mesi, a causa del fallimento del giornale. O meglio della sua chiusura improvvisa, con i fondi della proprietà e degli investitori riversati su altri progetti e speculazioni.

Per conoscere questa lotta decidiamo di attraversare la città verso ovest, da Taksim attraverso il Corno d’Oro, fino ad arrivare al quarto piano di una palazzina in cui da settimane stanno resistendo e reclamando i loro diritti salariali, ma anche la libertà di espressione, decine di giovani giornalisti, che incontriamo, assieme e attivisti dei movimenti sociali che hanno raggiunto il palazzo occupato per sostenere la mobilitazione del Karsi.

Gerdan ha 27 anni, davanti all’immancabile thè chai ci racconta la lotta in corso, ma anche la specificità di un giornale che ha attratto giovani giornalisti, free lance ed attivisti, proponendosi come esperimento comunicativo basato sulla libertà di espressione e sull’assenza di interferenze dei proprietari con la linea editoriale decisa dai lavoratori: ma pochi mesi dopo l’inizio di questa esperienza, nonostante contratti annuali o biennali, “mentre lavoravo, un collega mi ha chiamato dicendomi che ero licenziata e il giornale finiva. Non ci credevo, ho pensato fosse uno scherzo, poi ho realizzato che era proprio così.”

 

Appena giunta la notizia della chiusura del giornale, delle manovre poco chiare del proprietario dell’impresa, si riuniscono in assemblea e decidono “di non lasciare più la sede del giornale fino all’ottenimento dei nostri diritti, ovvero il pagamento dei salari arretrati, perché il padrone ci ha detto che non ha soldi ma ci pagherà in futuro, ma noi non abbiamo garanzie, non abbiamo sicurezze. Alcuni avvocati ci hanno appoggiato, cercando di difenderci contro il padrone, e abbiamo avuto degli incontri con lui che ci ha proposto dei pagamenti dilazionati, così abbiamo realizzato che era solo una trappola”.

“La rivolta di Gezi ci ha ispirato perché è per noi è simbolo e fonte di libertà di espressione, che in Turchia è un elemento molto importante perché non esiste veramente, per questo noi ci siamo lanciati con passione in questa esperienza, perché il proprietario del giornale ci aveva garantito che non ci sarebbero state interferenze nella linea editoriale. Questo è stato vero, ma poco dopo l’inizio di questa avventura è stato chiuso il giornale: adesso siamo qui per fare veramente ciò che ci appassiona, costruire un media indipendente, e per reclamare i nostri diritti.” La passione, la militanza, la lotta per il salario e contro le truffe del proprietario si intrecciano nei volti, nei sorrisi determinati, nella rabbia e nella preoccupazione che si leggono sui volti dei tanti che incontriamo durante la giornata passatata alla sede occupata del Karsi.

“Siamo giornalisti ispirati dall’esperienza di Gezi e siamo in uno dei paesi con la peggiore libertà di espressione, ci sono molti giornalisti arrestati per ragioni politiche, così in quanto giornalisti turchi ci siamo impegnati a costruire una informazione indipendente, cosi ci impegniamo a pubblicare un foglio, Karsi Direnis, lo pubblichiamo ogni giorno su twitter, su internet, il primo numero si intitolava “siamo ancora qui” e il secondo “stiamo resistendo”, il terzo e quarto raccontavano la nostra occupazione e l’appoggio che abbiamo ricevuto, e i nostri progetti che vogliamo portare avanti con l’occupazione”. Poco dopo il nostro incontro è uscito il numero di Karsi Direnis dedicato a Roma, alle esperienze di occupazioni abitative e quelle relative agli spazi sociali, ma anche ad Officine Zero e a questo progetto editoriale indipendente su cui scriviamo, DinamoPress; un numero nato dal nostro incontro, per raccontare e connettere esperienze di lotta a livello transnazionale.

“Certo lottiamo per i nostri diritti, ma vogliamo anche continuare il progetto, in libertà e in relazione con i movimenti di gezi e le relazioni transnazionali e le associazioni di giornalisti che ci appoggiano” continua Gerdan.

“Abbiamo pubblicato anche alcune pagine all’interno di quattro giornali di sinistra a livello nazionale, che ci hanno dato spazio per raccontare le nostre lotte, e abbiamo distribuito anche le copie ai cortei e nelle strade. In questo modo l’eco della lotta si è propagata in tutto il paese, capace di parlare a quel mondo che sta continuando a lottare contro l’autoritarismo di Erdogan, la violenza della polizia, lo sfruttamento del lavoro, dell’ambiente, la vita di tutti noi. Oltre a lottare per i nostri diritti vogliamo sperimentare un giornale indipendente senza padroni che sappia raccontare la realtà di questo paese oppresso dal governo Erdogan.”

Videointerviste a cura di Miriam Freschi

 

Link utili:

Employees occupy buiolding after Karsi daily closes down

– Il blog del Karsi Direnis

– Account facebook, account Twitter KarsiDirenis.com e Karsi Direnis