MONDO

Israele ratifica 50 anni di furto di terra

Dopo più di mezzo secolo, Israele ha deciso di formalizzare l’appropriazione del territorio palestinese, trasformando l’occupazione da un’annessione di fatto a una di diritto. Un atto grave, contrario al diritto internazionale e finalizzato ad espellere dalle proprie terre la popolazione palestinese

L’anno 2020 segnerà l’ennesima battuta d’arresto per le speranze palestinesi di autodeterminazione e libertà dall’oppressione. Dalla “Vision for Peace” degli Stati Uniti di gennaio, che offre a Israele gran parte della Cisgiordania occupata, a un governo di unità israeliano a maggio, che promette di andare avanti con l’annessione illegale proprio di tale territorio, una nuova catastrofe si prospetta all’orizzonte.

 

Ma perché Israele ha aspettato più di mezzo secolo per l’annessione formale?

 

Dopotutto, le condizioni materiali costituiscono già un’annessione de facto della Cisgiordania, intrapresa senza grandi conseguenze per l’immagine costruita con cura di Israele come “unica democrazia in Medio Oriente”, insieme alle annessioni formali di Gerusalemme Est e delle alture del Golan (in Siria) conquistate durante la guerra del 1967 [Guerra dei sei giorni – ndt].

La risposta risiede nei progetti colonial-colonici israeliani sistematici che risalgono al 1948 e che cercano di sostituire la popolazione locale con una di importazione. Il ritardo nell’annessione dovrebbe essere visto come un riflesso della demografia della Cisgiordania che, con la sua numerosa popolazione palestinese, doveva essere preparata adeguatamente prima di poter compiere qualsiasi mossa più formale. La preparazione è ormai completata in parti significative della Cisgiordania.

Annessione di Gerusalemme Est

Dopo la conquista della Cisgiordania nel 1967, Israele ha immediatamente e illegalmente esteso la propria giurisdizione e amministrazione su Gerusalemme est e su 28 villaggi circostanti. Nel 1980 ha annesso formalmente Gerusalemme Est con l’approvazione della Legge Fondamentale: Gerusalemme capitale di Israele.

Questa annessione rapida è il risultato dell’equilibrio demografico di Gerusalemme, che nel 1967 era composto per il 74% da ebrei e per il 26% da palestinesi.

In effetti, l’equilibrio demografico è fondamentale per la politica israeliana. Fino alla creazione dello Stato di Israele nel 1948, non c’era mai stata una maggioranza ebraica in Palestina ed è stato soltanto con la cacciata di oltre la metà dei palestinesi dalle loro case e dalle loro terre che tale maggioranza è stata assicurata.

Israele ha tenuto attentamente sotto controllo il rapporto demografico tra ebrei e non ebrei negli anni tra il 1948 e il 1967. Non permettendo ai rifugiati di tornare, distruggendo i loro villaggi e confiscando le loro case (con la Legge sulla Proprietà degli Assenti del 1950, che portò persino all’assurda categoria del “assente presente” per poter confiscare le case di coloro che erano stati sfollati all’interno del territorio nazionale) Israele ha lavorato duramente per mantenere questa maggioranza ebraica. Di conseguenza, il rapporto ebrei-palestinesi era già in corso a Gerusalemme nel 1967.

 

Dal 1967, Israele ha lavorato in diversi modi per mantenere questo rapporto nella città: attraverso leggi di pianificazione discriminatorie, espropriazione di terreni e demolizioni di case, insieme alla continua espansione degli insediamenti.

 

Uno degli strumenti introdotti (in nome della sicurezza) è la costruzione di un enorme muro in Cisgiordania. Il posizionamento del muro è istruttivo. In pratica, circonda quasi l’80% dei coloni israeliani in Cisgiordania, compresi tutti quelli di Gerusalemme Est. Ha quindi aperto la strada all’annessione degli insediamenti più grandi.

Michael Lynk, il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla Cisgiordania occupata e Gaza, ha osservato che a Gerusalemme i principali quartieri palestinesi erano situati deliberatamente all’esterno del muro, eliminando qualsiasi obbligo di fornitura di servizi municipali e tagliando fuori un terzo dei palestinesi di Gerusalemme dal resto del West Bank.

Israele ha anche preso di mira coloro che rimangono. Di norma, ai palestinesi di Gerusalemme Est viene concesso lo status di residenti permanenti. Possono richiedere la cittadinanza, ma questo implica giurare fedeltà nei confronti di Israele. Costringere i palestinesi a giurare fedeltà ai propri occupanti è illegale ai sensi del diritto internazionale e implicherebbe che i palestinesi di Gerusalemme riconoscano l’annessione di Israele, cosa che si sono sempre rifiutati di fare.

Tuttavia, dal 1967 la revoca della residenza è stata una delle molte politiche volte a spingere i palestinesi a trasferirsi forzatamente fuori città.

Dal 1995, tale revoca può essere imposta a tutti i palestinesi che non sono in grado di provare che il loro “centro di vita” sia in città. In sostanza, se un palestinese di Gerusalemme trascorre troppo tempo lontano dalla città, può perdere i propri diritti di residenza.

Dal 2006, la revoca può anche essere imposta in modo punitivo sulla base di una “violazione della fedeltà”, vagamente definita come una mancanza di lealtà verso lo Stato di Israele. Dal 1967, più di 14.500 palestinesi di Gerusalemme hanno perso il proprio status legale.

A gennaio, Benny Gantz, attuale Vice-Primo Ministro israeliano, annuncia ai giornalisti l’intenzione di continuare con l’annessione della Valle del Giordano, alle sue spalle. Heidi Levine (Sipa Press)

 

Dall’annessione de facto a quella de jure

Che Israele abbia deciso adesso che sia giunto il momento di trasformare l’annessione di fatto in annessione di diritto dovrebbe essere letto come un segnale della riuscita realizzazione della politica di lungo corso di annettere il territorio con il minor tasso di popolazione palestinese.

Ci è voluto mezzo secolo per creare una realtà irreversibile che ha rovesciato la realtà demografica nelle aree che Israele non voleva in Cisgiordania. Già nel quarto giorno della guerra del 1967 Israele aveva iniziato la pianificazione per gli insediamenti. Nel 2019, c’erano oltre 240 insediamenti in Cisgiordania con più di 620.000 coloni.

Il colonialismo dei coloni inizia con gli insediamenti e continua con la sostituzione della popolazione originale.

Un modello esemplificativo di come Israele abbia sostituito con successo la popolazione palestinese è la Valle del Giordano, che fa parte dell’area che il nuovo governo israeliano sta cercando di annettere, pari a quasi il 30% del West Bank.

Secondo gli accordi di Oslo, quasi il 90% della Valle del Giordano era sotto il pieno controllo militare e civile israeliano e parte di una zona nota come Area C.

Nonostante il fatto che l’area avrebbe dovuto essere trasferita alla giurisdizione dell’Autorità Palestinese entro due anni dalla firma degli accordi di Oslo nel 1993, Israele ha mantenuto il controllo su sicurezza, pianificazione e costruzione. Gli accordi di Oslo e il “regime legale di segregazione” hanno permesso a Israele di consolidare la propria sovranità sul territorio.

I coloni israeliani e i palestinesi che vivono nell’area C sono quindi soggetti a sistemi giuridici separati. I coloni godono delle protezioni offerte dalla legge civile israeliana, ma i palestinesi vengono trascinati davanti ai tribunali militari con un tasso di condanna di quasi il 100%.

Politiche come l’appropriazione della terra, la costruzione di insediamenti, lo sfruttamento delle ricche risorse naturali dell’area a beneficio dei coloni, le restrizioni alla circolazione e i permessi di costruzione quasi impossibili da ottenere che consentono ai militari israeliani un ampio mandato per la demolizione delle case, hanno creato tutti insieme un ambiente ostile e coercitivo per i palestinesi autoctoni nella Valle del Giordano.

 

Il risultato è stato il trasferimento forzato della popolazione palestinese dalla zona. Prima del 1967, c’erano circa 250.000 palestinesi nell’area. Nel 2016, quel numero si era ridotto a meno di 54.000.

 

La Valle del Giordano non è un caso unico. Israele ha preparato la Cisgiordania per l’annessione formale creando un’infrastruttura fisica (con insediamenti, mura e strade riservate agli israeliani) che crea quello che Michael Lynk ha definito “un bantustan palestinese, un arcipelago di isole scollegate, completamente circondato e separato da Israele e non collegato al mondo esterno.”

Da tempo avremmo dovuto imparare la lezione dell’annessione israeliana di Gerusalemme Est: Israele non nasconde i propri disegni.

Eppure il mondo non riesce nemmeno a mettersi d’accordo su come rispondere a un comportamento così apertamente illegale.

Il capo della politica estera dell’Unione Europea, Josep Borrell, ha confermato che l’UE è “lontana” dal sanzionare Israele per i suoi recenti piani di annessione della Cisgiordania.

Questa è l’ultima possibilità per i governi e le istituzioni più potenti del mondo di rivedere il modo in cui trattano Israele. Gli Stati terzi devono adempiere ai loro obblighi di porre fine a una situazione di evidente trasgressione del diritto internazionale e di non fornire aiuti o assistenza a Israele.

Se il mondo non riuscirà a risolvere la questione, non saranno solo i palestinesi a sopportarne le conseguenze. Le fondamenta dell’intero quadro giuridico post-Seconda Guerra Mondiale sono a rischio di collasso se l’espansionismo israeliano verrà lasciato libero di agire senza conseguenze.

 

Articolo apparso sul sito The Electronic Intifada

Traduzione a cura di Michele Fazioli per DINAMOpress

Aseel AlBajeh è un ex dirigente di difesa legale e comunicazione presso Al-Haq, un’organizzazione palestinese per i diritti umani. Attualmente è dottorando in diritto internazionale dei diritti umani in Irlanda.