MONDO

Israele al voto mentre a Gaza la Marcia del Ritorno continua

Favoriti per il voto Netanyahu in coalizione con una formazione suprematista di ultradestra, mentre la manifestazione dello scorso sabato ha dimostrato che il movimento popolare contro la chiusura di Gaza non è finito

Favoriti per il voto Netanyahu, che si è unito a una formazione suprematista di recente riammessa al voto, e una coalizione di centro che vuole mantenere lo status quo e l’apartheid nei Territori Occupati palestinesi.

Mancano 8 giorni alle elezioni politiche in Israele. Martedì 9 aprile infatti si voterà per rinnovare la Knesset, il parlamento. Il sistema di voto israeliano è interamente proporzionale, pertanto si forma un governo sulla base di una coalizione tra i partiti che riescono a entrare in parlamento (c’è una soglia di sbarramento al 2,5%)

L’esito al momente è incerto e lo scenario si è abbastanza modificato rispetto alle ultime elezioni del 2015. Netanyahu, che nel frattempo sta affrontando vari processi con gravi accuse di corruzione, ha deciso non solo di rinsaldare l’alleanza con Jewish Home di Bennett (partito di estrema destra) ma addirittura di aprire la strada delle alleanze a Jewish Power. Quest’ultima è una formazione suprematista erede del partito Kach del rabbino Meir Kahane, che nel 1984 era stato espulso dal gioco elettorale per le posizioni eccessivamente razziste. Di recente Jewish Power è stato riammesso alla partita politica per decisione sciagurata della Suprema Corte di Giustizia.

Per vari analisti una vittoria di Netanyahu vorrebbe dire una decisa e ulteriore sterzata a destra. Secondo Michael Shaffer Omer, questo esito potrebbe implicare, tra le altre cose, il controllo diretto del governo sulla Suprema Corte (obiettivo esplicito della attuale ministro della giustizia, il falco Ayelet Shaked), ulteriori leggi ingiuste verso la popolazione palestinese di Israele, fine della libertà di espressione e maggiore violenza nei confronti della popolazione palestinese, fino addirittura alla possibile soluzione della annessione completa dell’area C dei Territori Occupati Palestinesi.

Certo, il governo attuale di Netanyahu non è moderato, ha già fatto numerose leggi esplicitamente razziste, ha ministri che hanno definito i palestinesi subumani e li hanno minacciati di una “Terza Nakba”. Tutto questo però accadeva senza la coalizione con Jewish Power.

Si può pertanto immaginare che, nel caso di una vittoria di Netanyahu, rispetto al conflitto si passi da un mantenimento vantaggioso (per Israele) dello status quo a un aggravarsi della situazione. Va ricordato che Netanyahu sta cercando di approfittare del contesto internazionale particolarmente favorevole alle destre sovraniste per rinsaldare legami e appoggio politico. Esplicito è il legame che ha costruito con Viktor Orban e altrettanto chiaro quello con Jair Bolsonaro, che ha appena iniziato una visita di quattro giorni in Israele. Motivo della visita una serie di commesse su petrolio e gas di recente scoperta a largo di Israele e, ovviamente, il pieno endorsement nei confronti di Netanyahu a pochi giorni dal voto. Avevamo già segnalato su Dinamo il legame storico tra l’estrema destra israeliana e quella brasiliana e tutto fa pensare che questa relazione si consoliderà ulteriormente.

Non è scontato però l’esito finale delle elezioni. Il contendente di Netanyahu più favorito è la formazione di centro “Blue and White”, guidata da Yair Lapid e dall’ex generale Gantz, che ha buone possibilità di sostituirsi all’attuale premier. Il vantaggio è dato sopratutto dalla recente adesione al partito del generale Gantz, un volto che promette sicurezza in politica interna e estera. Gantz tuttavia ha tutt’altro che un programma democratico o progressista e ha aperto la propria campagna elettorale vantandosi di aver «ridotto Gaza all’epoca della pietra».

È probabile che una vittoria di “Blue and White” consolidi quello che è l’attuale status quo rispetto alla condizione della popolazione palestinese. In una analisi della posizione dei vari partiti rispetto al conflitto, Dalia Scheindlin ha evidenziato che la parola più frequente nel partito di Gantz e Lapid è “separazione”. Il loro progetto politico è perpetuare l’attuale apartheid senza che questo abbia conseguenze eccessivamente negative per gli equilibri e gli umori interni a Israele ed esterni ad esso (sono più presentabili al mondo e all’Europa rispetto al governo attuale). Inoltre per la popolazione mizrahi di Israele (ebrei provenienti da paesi del Nordafrica, tendenzialmente discriminati) la vittoria di “Blue and White” rappresenterebbe il consolidamento al potere della componente askenazi della popolazione (cioè gli ebrei originari dalla Europa centro-orientale.)

Purtroppo a sinistra lo scenario non è dei migliori. Il Labour è l’ombra di sé stesso, il Meretz non ha possibilità concrete di aumentare il proprio piccolo zoccolo di voti mentre è sfumata la possibilità di riproporre la Joint List tra i partiti arabi come accadde nel 2015. Le tre formazioni (Balad, Hadash e United Arab List) correranno in autonomia e questo fatto farà loro perdere credibilità e sostegno da parte della popolazione palestinese che vive in Israele e che fisiologicamente si reca in percentuali ridotte alle urne.

In questo scenario per nulla promettente ricorre un anno dall’inizio delle proteste chiamate “Marcia del Ritorno” a Gaza, che abbiamo a lungo raccontato su Dinamo. Sabato 30 marzo una grande manifestazione di più di 40 mila persone è stata una prova di forza notevole, che ha lasciato sul terreno 4 morti e decine di feriti. La “Marcia del Ritorno” ha dimostrato che il movimento popolare contro la chiusura di Gaza non è finito – come alcuni già annunciavano – ma ha desiderio e determinazione di continuare la propria lotta, come racconta in questo articolo uno dei leader, e in questa intervista un altro.

La Marcia del Ritorno ha sicuramente durante questo anno stravolto gli equilibri interni e riproposto una immagine della popolazione gazawi estremamente diversa da quella che i media mainstream e Hamas cercano di disegnare. Ha dimostrato che i gazawi possono portare avanti battaglie popolari creative e nonviolente e non sono solo manichini in mano a terroristi armati di razzi.

Nel frattempo Hamas e Israele stanno trattando una possibile tregua che includerebbe anche il “contenimento” delle proteste lungo la barriera da parte di Hamas che, anche se non controlla il movimento, ha facoltà di polizia interna e repressione. Sarà interessante sia capire come la popolazione di Gaza reagirà a questo possibile elemento sia monitorare quali scenari vi saranno per gli abitanti della Striscia all’indomani delle elezioni del 9 aprile.